L’agronomo: “Ecco perché sono sani i prodotti a Caivano e nell’ex area Resit”
Parla Antonio Di Gennaro, docente della Federico II: “A noi non interessa la concentrazione di inquinanti nel terreno o nell’acqua, ma negli alimenti. Le piante fanno assorbimenti selettivi e non prendono gli inquinanti, o li depistano in altre zone della pianta, non commestibili”
“I nostri prodotti sono assolutamente sicuri in tutta la piana campana. Anche nelle zone più critiche”. Ad affermarlo è il professore della Federico II, Antonio di Gennaro, agronomo, che spiega al Desk come fa ad essere così certo della garanzia di qualità dei prodotti agricoli della regione.
Quali sono le analisi fatte sui prodotti e le zone prese in esame?
“Siamo partiti dall’area intorno alla Resit di Giugliano e da Caivano con un protocollo di caratterizzazione molto ampio, ovvero tutti i possibili contaminanti organici e inorganici, non solo piombo e cadmio. Non ci interessa sapere se siamo a norma di legge, ma se ciò che mangiamo è sano. La grande distribuzione continua a comprare prodotti campani, che superano i loro controlli capillari”.
Cosa è emerso dalle analisi?
“A noi non interessa quale concentrazione di inquinanti ci sia nel terreno o nell’acqua, ma qual è la loro concentrazione negli alimenti. II prodotti sono sani. L’ecosistema agricolo funziona grazie al sistema suolo – pianta, non beve tutto quello che l’uomo mette nel terreno ed ha una straordinaria autodepurativa. Le piante fanno assorbimenti selettivi e non prendono gli inquinanti, o li depistano in altre zone della pianta, non commestibili”.
Le piante hanno questo sistema depurativo, funziona anche per i foraggi?
“Lì possono esserci dei problemi di accumulo, ma la filiera del latte e della mozzarella è paradossalmente la più controllata, perciò è sicura”. Fonte
Nessun allarme per le coltivazioni in campania, GIUGLIANO
Istituto Superiore di Sanità: I prodotti coltivati in Campania sono sani, nessuna presenza di inquinanti in frutta e verdura
I prodotti ortofrutticoli coltivati a Giugliano, in piena terra dei fuochi sono, secondo gli studi riportati dall’Istituto Superiore di Sanità, assolutamente edibili e privi di sostanze derivanti dall’inquinamento che tanto sta facendo discutere in questi ultimi mesi. I risultati delle indagini, comunicati dal commissario alle bonifiche Mario di Biase rilevano come non siano stati riscontrate alte concentrazioni di metalli pesanti in frutta e verdura e tantomeno nelle falde acquifere esaminate.
IL MONITORAGGIO- Le analisi effettuate dal Dipartimento Ambiente, certificate dall’Istituto Superiore di Sanità hanno riscontrato alti livelli di inquinamento in un area di circa due chilometri quadrati, un area già sottoposta a sequestro, e non utilizzata a fini agricoli, risultata di proprietà della famiglia Vassallo a San Giuseppiello. Il commissario alle bonifiche ha chiesto l’inibizione alle coltivazioni per l’intera area per poter, successivamente, procedere alle bonifiche del caso.
LE ANALISI- Hanno riguardato in particolar modo la presenza nei suoli di Cromo e Zinco. Nella zona denominata Area Vasta di Giugliano in Campania, è la sola zona di San Giuseppiello che ha riscontrato, a seguito di 12 carotaggi in diversi punti, una elevata concentrazione di sostanze inquinanti. Secondo i dati raccolti dall’ARPAC la restante area, corrispondente a circa duemila ettari, sarebbe esente da qualsiasi tipo di inquinante tossico.
LE COLTIVAZIONI- I prodotti della terra non presenterebbero, dunque, qualsivoglia controindicazione al consumo umano. Non sono stati, infatti, rilevati livelli elevati di metalli, tali da destare preoccupazione. Dai risultati ottenuti –secondo quanto riportato dalla nota del Dipartimento Ambientale- i prodotti ortofrutticoli prelevati nell’area di Giugliano in Campania, sono conformi con quanto riportato nella normativa di settore per Cadmio e Piombo. Nel campione cavolo rapa si notano valori elevati di tallio e rame, probabilmente derivanti da Sali utilizzati come antiparassitari. In generale, per quanto attiene ai microinquinanti inorganici non presenti nel succitato regolamento 1881/2006, i valori di concentrazione riscontrati nei campioni di ortofrutta non si discostano da quanto emerge dalla letteratura italiana ed internazionale. Fonte
Vincenzo De Luca indagato per corruzione. Coinvolto anche il figlio
Secondo i magistrati le spese di un comizio elettorale nel 2010 sarebbero state pagate da un imprenditore che aveva un affare immobiliare nel Comune. La vicenda risale al 2010 quando il sindaco si candidò a presidente della Regione Campania. Le spese per il comizio in piazza Plebiscito a Napoli sarebbero state pagate dall’imprenditore Giuseppe Amato. A fare da tramite l’imprenditore amico di Piero De Luca, Mario Del Mese, anche lui iscritto nel registro degli indagati
Vincenzo De Luca è indagato per corruzione e abuso di ufficio dalla Procura di Salerno. Il sindaco di Salerno e viceministro delle infrastrutture e dei trasporti del governo Letta stavolta non è nei guai per le vicende relative al Crescent. Pochi giorni fa, dopo il sequestro del grattacielo che sfregia il Lungomare della città De Luca era finito sulla graticola.
IN MOLTI AVEVANO chiesto a Matteo Renzi, vincente nel primo round delle elezioni primarie del Pd anche grazie al suo appoggio, se non fosse il caso di mollare un supporter così ingombrante, già indagato per abuso d’uffico e falso in atto pubblico. Ora le polemiche sono destinate a riaccendersi. Le accuse che il Fatto è in grado di rivelare, sono più imbarazzanti per il sindaco di Salerno, giunto al quarto mandato.
Non solo perché il reato contestato, la corruzione, è più grave ma anche perché stavolta insieme a De Luca è indagato anche il figlio Piero, appena asceso a un ruolo di peso nel firmamento politico della sinistra campana. Piero De Luca è infatti uno dei quattro delegati all’assemblea nazionale per la Campania in qualità di capolista pro Renzi della circoscrizione Salerno-costiera. Oltre ai due De Luca, c’è anche un terzo indagato: Mario Del Mese, nipote di Paolo, ex parlamentare Dc e già presidente della commissione finanze dell’Udeur ai tempi del governo Prodi. Mario Del Mese è il personaggio centrale della vicenda insieme a Giuseppe Amato, erede del pastificio Antonio Amato.
Vincenzo De Luca è stato iscritto sul registro degli indagati per corruzione nel novembre del 2012 e ha ricevuto la notifica dell’avviso di proroga delle indagini negli ultimi giorni di maggio. Il governo era appena nato e chissà se il viceministro avrà informato Enrico Letta e Matteo Renzi. Forse avrà glissato, memore di quanto era accaduto con altre accuse. De Luca era stato candidato nel 2010 alle regionali nonostante fosse indagato per accuse che poi si sono rivelate infondate. Proprio per una vicenda legata alle spese affrontate a margine del comizio più importante di quella campagna elettorale, secondo quanto risulta al Fatto, Vincenzo De Luca è ora indagato per corruzione. Giuseppe Amato, 39 anni, erede del pastificio Antonio Amato, ha raccontato ai pm di avere pagato alcune fatture per le spese relative al comizio sul palco montato a piazza del Plebiscito a Napoli nel 2010. A chiedergli di pagare le imprese che si erano occupate del comizio – secondo Amato Jr – era stato Mario Del Mese, un imprenditore molto vicino al figlio di De Luca, Piero.
Da canto suo Amato era interessato ai buoni uffici del comune di Salerno al quale aveva presentato una richiesta di variante urbanistica per un immobile del pastificio Amato. Nel novembre del 2012 Giuseppe, detto Peppino, Amato racconta la sua versione ai pm che indagano sul crac del pastificio. Il pm Vincenzo Senatore segreta l’atto e decide con l’allora procuratore Franco Roberti di creare un fascicolo separato che viene affidato ad altri due sostituti procuratori: Guglielmo Valenti e Antonio Cantarella. Allo scadere dei sei mesi i magistrati hanno notificato a Vincenzo De Luca, difeso dall’avvocato Paolo Carbone, e agli altri due indagati, il figlio Piero e il suo amico Mario Del Mese, l’avviso di proroga delle indagini, richiesto al Gip Maria Zambrano. L’avvocato Carbone, raggiunto dal Fatto, si è rifiutato di commentare.
SULLO SFONDO della nuova indagine c’è la vecchia inchiesta sulla bancarotta del pastificio Amato. Giuseppe Amato jr ha patteggiato una condanna a 3 anni e 6 mesi per le distrazioni del patrimonio dello storico pastificio che nel 2006 era stato sponsor della Nazionale nei mondiali vinti in Germania. Amato jr ha detto ai pm: “Mario Del Mese mi raccontava di viaggi in Lussemburgo per raggiungere Piero De Luca al quale portava soldi da versare sul conto in Lussemburgo, proventi della Ifil”. E ha aggiunto: “Mario Del Mese mi riferì che Piero De Luca in realtà era un socio occulto della Ifil”. Ifil C&D è una società chiave dell’inchiesta. De Luca Jr non è mai stato socio e nega tutto.
Ora i magistrati salernitani hanno avviato una rogatoria in Lussemburgo per verificare le accuse. Piero De Luca lavora in Lussemburgo come referendario presso la Corte di Giustizia e sui suoi viaggi il sito della cronista Angela Cappetta, il più dettagliato sulle vicende salernitane, ha già rivelato altri particolari emersi durante l’inchiesta. Come i biglietti aerei pagati dalla società Ifil C&D di Mario del Mese per il Lussemburgo alla moglie di Piero De Luca e alla ex moglie di Vincenzo De Luca, Rosa Zampetti, madre di Piero. di Marco LILLO Fonte
Malato grave muore in carcere. La madre: “Non ho numero della Cancellieri”
E’ morto in carcere Federico Perna, 34 anni, di Pomezia. E’ la vittima numero 142 del 2013 in un reclusorio italiano. Ma il suo caso farà molto discutere. Si parla già di un nuovo caso Cucchi e la procura di Napoli ha già aperto un’inchiesta. La madre ha diffuso delle foto in cui Federico Perna presenta il volto tumefatto. “L’hanno pestato”, dice. “Per tenerlo buono gli davano psicofarmaci”, sostiene l’avvocato.
Da dieci giorni perdeva sangue dalla bocca quando tossiva e lamentava dolori allo stomaco, secondo quanto sostiene la madre Nobila Scafuro “Mio figlio è morto venerdì scorso 8 novembre, alle 17 di sera. L’ho sentito al telefono l’ultima volta il martedì precedente, mi disse che perdeva sangue dalla bocca quando tossiva. Si trovava nel padiglione Avellino, nella cella 6, assieme ad altre 11 persone. Federico non doveva restare in carcere, ma essere ricoverato in ospedale: aveva bisogno di un trapianto di fegato ed era stato dichiarato incompatibile con la detenzione da due diversi rapporti clinici, stilati dai dirigenti sanitari delle carceri di Viterbo e Napoli Secondigliano.
Invece da Secondigliano è stato trasferito a Poggioreale, dove le sue condizioni di salute si sono ulteriormente aggravate: sputava sangue, letteralmente, e chiedeva il ricovero disperatamente da almeno dieci giorni lamentando dolori lancinanti allo stomaco”. Racconta anche di avere presentato molte istanze chiedendo l’incompatibilità carceraria. “Ma le istanze sono state tutte rigettate dai magistrati di sorveglianza”. E dichiara alla giornalista del Fatto Quotidiano, Silvia D’Onghia: “Non ho il numero del ministro Cancellieri, ma vorrei porle tre domande: perché Federico era ancora dentro, visto che era malato gravissimo ? Perché non è stato ricoverato martedì, quando ha chiesto di non andare in discoteca ma di essere curato ? E perché l’hanno massacrato di botte ? ”.
La signora ha infatti diffuso anche le terribili immagini in cui si vede Federico sul lettino dell’obitorio con il volto tumefatto. “ Lo hanno picchiato perché teneva una lattina di Coca Cola in fresco sotto il rubinetto dell’acqua”, dice la madre al Fatto Quotidiano. Per tenere buono Federico in carcere gli venivano somministrati pesanti dosi di psicofarmaci, denuncia la famiglia al Fatto Quotidiano. “Questo faceva sì che il ragazzo non potesse provvedere alla propria cura quotidiana – spiega l’avvocato della famiglia, Camillo Autieri.
Molte circostanze sono ancora da chiarire. Il Movimento Cinque stelle ha presentato un’interrogazione parlamentare il sottosegretario Beretta si sottolinea che lo stato psicofisico del detenuto era scadente e molto compromesso. Tuttavia, si legge, Perna avrebbe rifiutato alcuni ricoveri. E soffriva di disturbo borderline. E’ stata comunque avviata un’indagine ispettiva interna per accertare le cause.
Il magistrato che sta seguendo il caso si è riservato novanta giorni per ottenere i risultati dell’autopsia. Fonte
SCANDALOSO! Rifiuti, arriva la sanatoria della vergogna.
Un colpo di spugna per lavare i peccati ambientali dei sindaci. Mentre i Comuni bombardano gli italiani con avvisi di pagamento della Tares, il governo Letta condona loro milioni di euro di multe sui rifiuti. E dunque, niente sanzioni ai sindaci per “eccesso di discarica”. All’Italia della Terra dei Fuochi mancava giusto questo, il trattamento differenziato per primi cittadini inadempienti, con “collegata” deroga, sanatoria e liberatoria per disastri ambientali passati e futuri. Che spunta proprio nel cuore dell’Agenda Verde del governo approvata venerdì scorso. Incredula Legambiente, proteste si levano da diverse regioni d’Italia, in primis la Liguria, dove si è materializzata una condanna della Corte dei Conti agli amministratori locali a rifondere l’erario del danno da loro provocato con l’insufficiente raccolta differenziata. Il punto è che la maggior parte dei sindaci ora si ritrova quella tagliola al collo, visto che la metà delle regioni italiane porta ancora il 50% di rifiuti in discarica e solo 1.300 amministrazioni locali hanno raggiunto dall’obiettivo fissato dalla legge 152/2006 di portare la differenzia al 65% entro il 2012.
Migliaia di sindaci, dunque, potrebbero essere chiamati a pagare di tasca propria le multe che la legge prevedeva in forma di maggiorazione, la cosiddetta “ecotassa”, nella misura del 20% del tributo sui rifiuti in eccesso conferiti in discarica dai comuni inadempienti. Costi su cui l’erario può rivalersi, come è accaduto a Recco (Genova), dove lo scorso maggio la magistratura contabile ha condannato gli amministratori a risarcire lo Stato per un milione di euro. In soccorso dei sindaci è arrivato, niente meno, il ministro dell’Ambiente. Il disegno di legge collegato alla legge di stabilità – presentato come primo tassello dell’Agenda Verde del governo ora all’attenzione della Camera – mette un bel cerotto al problema.
L’articolo 18 introduce una semplice modifica normativa che ha però l’effetto di una generale sanatoria perché sostituisce le scadenze degli obiettivi di legge fissati ormai sette anni fa e le deferisce nel tempo, sgravando di riflesso da eventuali azioni di responsabilità gli amministratori che, nel frattempo, non li hanno rispettati. Il tetto del 65%, che doveva essere conseguito l’anno scorso, slitta di 4 anni e arriva al 2016. Il provvedimento accorda anche il raggiungimento in “comode rate” dei livelli successivi previsti dalla legge del 2006 e che altri Paesi d’Europa, più civili, hanno raggiunto da anni: il 35% conseguito nel 2006 potrà essere raggiunto nel 2014, il 45% raggiunto nel 2008 per noi sarà un obiettivo tassativo solo nel 2015, cioè 7 anni dopo.
“E’ una cosa vergognosa – sbotta il vicepresidente di Legambiente, Stefano Ciafani – un provvedimento che premia gli amministratori che non rispettano gli obblighi di legge e penalizza quelli virtuosi, un controsenso rispetto al principio di equità economico-ambientale per cui chi più inquina più paga. Anziché pensare al condono per i sindaci, spostando gli obiettivi che non hanno rispettato, il governo dovrebbe incentivare il riciclo rendendolo meno costoso della discarica e dell’inceneritore. Solo così possiamo centrare gli obiettivi che l’Europa ci chiede”.
Dall’Europa multe per 100 milioni
Sono quattro le procedure di infrazione Ue all’Italia per eccessivo conferimento di rifiuti, discariche abusive e fuori norma. Allo stato più avanzato la 2003/2077, relativa a 218 discariche da bonificare in 18 regioni, che pende davanti alla Corte di giustizia. L’Italia rischia una multa di 61,5 milioni di euro e una multa giornaliera di 256.819 euro per ogni giorno successivo alla sentenza fino al momento di messa in regola. Altre procedure riguardano la Campania, per cui abbiamo già ricevuto una condanna con richiesta di sanzioni per 10 milioni e 250mila euro l’anno che dopo tre anni sono arrivate a quota 34 milioni. Segue la procedura sul ciclo rifiuti in Lazio innescata dalla discarica di Malagrotta (chiusa il 1 ottobre). E’ allo stadio di parere motivato, invece, la 2011/2215 su 102 discariche fuori legge in 14 regioni.
Perché alla fine si andrà a parare lì, sulle quattro procedure aperte che rischiano di costarci oltre 100 milioni di euro (come spiega nel dettaglio il box a fianco) e cui presto potrebbero aggiungersene altre. Per la felicità del contribuente italiano. “Quell’articolo spinge nella direzione contraria agli obiettivi indicati dall’Europa perché incentiva ulteriormente i Comuni verso il rifiuto in discarica. Se passa la proroga per il nostro Paese sarà ancora più difficile arrivare alla soglia del 50% diriciclaggio dei rifiuti a livello nazionale entro il 2020, come chiede l’Europa”. Ma quello che conta, a quanto pare, è rimandare il rischio imminente delle multe ai primi cittadini sull’ecotassa.
“Non si pagheranno fino a tutto il 2014 e dal 2015 le pagheranno solo i comuni che non avranno raggiunto nell’anno precedente solo il 35% di differenziata, non di più. E le multe che dovrebbero pagare quest’anno si pagheranno addirittura nel 2017. Una vera beffa per i Comuni virtuosi che hanno già raggiunto questo obiettivo lo scorso anno, come previsto dal decreto legislativo 152 del 2006″.
Ma non è una questione di guerra ai sindaci. “Il punto è che il collegato ambientale alla legge di stabilità prevede che gli incentivi per gli acquisti verdi arriveranno proprio dal pagamento delle multe sull’ecotassa, che però si pagherebbero solo a partire dal 2015”. Insomma, sanatoria con pasticcio. Resta da capire chi sono i mandanti. Ha pochi dubbi La Casa della Legalità e Cultura di Genova che ha seguito da vicino la vicenda di Recco. Il provvedimento era stato invocato proprio dal Presidente della Liguria Claudio Burlando che in una nota ufficiale del 4 aprile scorso aveva chiesto al presidente della Conferenza Stato-Regioni l’attivazione di una procedura che consentisse “tramite la definizione di un Accordo di programma tra Ministero dell’Ambiente, Regione ed enti locali interessati, di ottenere una deroga rispetto agli obiettivi fissati dalla normativa nazionale”. Se il provvedimento non sarà fermato alla Camera, a questo punto, il desiderio dei sindaci inquinatori (e di Burlando) sarà legge.
“Non si sa come andrà a finire. Ma noi faremo pressione sui parlamentari per togliere di mezzo quell’articolo vergognoso” promette Ciafani, che ricorda l’infausto destino del decreto Ronchi del 1997 che obbligava tutti i Comuni ad abbandonare entro due anni la tassa sui rifiuti a tariffa per quella a consumo. “In 16 anni non è mai stato tradotto in obbligo di legge per l’opposizione dei sindaci, che preferivano incassare i maggiori oneri derivanti da un calcolo a metro quadro, e grazie alla sponda del Parlamento, dove ogni due anni veniva votata la proroga”. Oggi ci risiamo, con l’aggravante della sanatoria per il passato dei sindaci inquinatori.
Di Thomas Mackinson e Ferruccio Sansa
Fonte: ilfattoquotidiano.it
Terra dei fuochi, l’ex finanziere: “Miei colleghi insabbiarono inchieste su veleni”
Giuseppe Carione, maresciallo in pensione, racconta gli sversamenti di rifiuti nei campi in provincia di Caserta. “Ora lì crescono le fragole, nessuno ha mai scavato: se i pm me lo chiedono, li accompagno sul posto”
Colpa della camorra, certo. E anche di certa imprenditoria senza scrupoli. Ma se per anni è stato possibile sversare nei campi della Terra dei Fuochi qualsiasi genere di veleno, questo è avvenuto anche grazie al silenzio di pezzi dello Stato, che dovevano controllare i luoghi e perseguire i criminali. Ma qualcuno non ha fatto il suo dovere. Lo afferma un maresciallo in pensione della Guardia di Finanza, che ha raccontato ai magistrati di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) una storia che fa venire i brividi. Si chiama Giuseppe Carione e per quindici anni, dal 1989 al 2004, è stato in servizio presso la compagnia di Aversa con il grado di maresciallo capo e la qualifica di verificatore fiscale.
Carione dice di aver visto sotterrare schifezze di ogni tipo nei campi tra Aversa, Lusciano e Parete, nella provincia casertana. Dice che alcuni colleghi finanzieri, tra i quali colonnelli e generali, sapevano tutto, ma hanno chiuso un occhio e non hanno indagato. Dice che su quei terreni ora ci fanno crescere le fragole. “Se i magistrati me lo chiedono, li porterò nei luoghi precisi dove scavare. Ci sono andato qualche tempo fa, nessuno ha mai scavato, una parte è desertificata, non c’è manco l’erba, in un’altra parte invece ci sono serre coltivate, vi crescono le fragole: chissà chi le ha mangiate in questi anni”. Carione è parte lesa di un procedimento penale nato dai suoi esposti contro alcuni alti ufficiali delle fiamme gialle, denunciati per presunti occultamenti di inchieste e accertamenti fiscali.
Nei mesi scorsi, tramite una memoria di tre pagine indirizzata al gip, il maresciallo ha rincarato la dose contro i suoi ex colleghi: sarebbero stati complici anche dell’avvelenamento dei terreni agricoli. Accuse tutte da verificare. Ma Carione è preciso e circostanziato. Si riferisce a fatti del 2002. Porta all’attenzione degli inquirenti un’esperienza maturata sul campo. E precisa che gli appostamenti grazie ai quali scoprì lo smaltimento illegale di rifiuti tossici nelle campagne del casertano furono compiuti grazie alle ‘imbeccate’ di colui che pochi anni dopo sarebbe diventato uno dei pentiti di camorra più ascoltati dalla magistratura campana: l’imprenditore Gaetano Vassallo, il ‘ministro dei rifiuti’ del clan Bidognetti, uno dei principali accusatori di Nicola Cosentino nel processo Eco4. Vassallo, che all’epoca si era ritagliato il ruolo di ‘informatore’ della polizia giudiziaria, mosso forse anche dallo scopo di eliminare dal mercato qualche concorrente ai suoi business, avvisò il maresciallo e l’allora comandante della compagnia di Aversa “che era in atto, in Agro, tra Aversa e Lusciano (o Parete) un grosso traffico di rifiuti pericolosi smaltiti su terreni agricoli da parte dei fratelli Roma (Elio e Generoso) di Trentola Ducenta”.
Ecco il resoconto di Carione sull’esito della soffiata, passaggio chiave della memoria al Gip: “Osservammo alcuni camion con cassoni che scaricavano su una tenuta di terreno agricolo, incolto e senza piante, grossi quantitativi di fanghi umidi di colore grigio scuro, mentre un grosso escavatore meccanico provvedeva immediatamente ad occultarli sotto terra. Tale camion entrava in una fabbrica di trattamento rifiuti con impianto industriale sita alla periferia nord di Trentola Ducenta, in provincia di Caserta, nelle immediate adiacenze della strada che porta a Ischitella ed attigua a un ristorante denominato Il Mericano. Da quel momento non ho saputo più nulla – afferma Carione – e, per quanto mi è dato sapere, non venne informata l’autorità giudiziaria. Non venne effettuato alcun sequestro di terreno agricolo, ove venivano occultati i rifiuti, né sequestrati automezzi, né vennero effettuati arresti di individui seppure vi era la flagranza di una serie di reati ambientali, sanitari, associativi, riciclaggio e fiscali”.
Insomma, quegli sversamenti rimasero impuniti, sostiene il maresciallo, che nelle sue denunce fa nomi e cognomi dei presunti responsabili dell’insabbiamento. Per loro la Procura ha chiesto due volte l’archiviazione, il Gip sta valutando. Indagine complessa, delicata. Il pm, per proteggere l’identità degli alti ufficiali coinvolti, li ha iscritti nel registro degli indagati usando nomi fittizi. La vicenda ebbe sviluppi particolari. Carione fu improvvisamente trasferito a Ischia. Nel 2005, tre anni dopo quei misteriosi intombamenti di fanghi tra Aversa e Lusciano, i fratelli Roma furono arrestati dai carabinieri per traffico illecito di rifiuti. Oggi il maresciallo in pensione si augura che le sue segnalazioni abbiano finalmente un seguito. Undici anni dopo. Per salvare il salvabile. Fonte
Il vulcanologo americano Flavio Dobran prevede un’eruzione catastrofica di Vesuvio Ed Etna
NEW YORK – Il professor Flavio Dobran, docente della New York University, prevede che l’Etna e il Vesuvio saranno protagonisti di eruzioni catastrofiche.
“All’improvviso il Vesuvio che sonnecchia dal 1944, esploderà con una potenza mai vista. Una colonna di gas, cenere e lapilli si innalzerà per duemila metri sopra il cratere. Valanghe di fuoco rotoleranno sui fianchi del vulcano alla velocità di 100 metri al secondo e una temperatura di 1000 gradi centigradi, distruggendo l’intero paesaggio in un raggio di sette chilometri, spazzando via strade e case, bruciando alberi,asfissiando animali, uccidendo forse un milione di esseri umani” spiega con dovizia di particolari il professore americano.
Le eruzioni non dureranno molto, intorno ai 15 minuti, ma saranno talmente potenti da poterle descrivere come esplosioni. Insieme alla sua equipe, Flavio Dobran ha studiato l’Etna e il Vesuvio. “Certo non sarà tra due settimane, però sappiamo con certezza che il momento del grande botto ci sarà sia per l’Etna che per il Vesuvio, anche se è su quest’ultimo che i nostri test si sono soffermati con particolare attenzione.
La conferma viene dalla storia: le eruzioni su larga scala arrivano una volta ogni millennio. Quelle su media scala una volta ogni 4-5 secoli. Quelle su piccola scala ogni 30 anni.
Si tratta di un’ipotesi documentata, frutto di studi approfonditi con la sola incognita della data in cui tutto ciò si verificherà: «Questo purtroppo non possiamo prevederlo – precisa il professor Dobran – Certo non sarà tra due settimane, però sappiamo con certezza che il momento del grande botto arriverà. La conferma viene dalla storia: le eruzioni su larga scala arrivano una volta ogni millennio. Quelle su media scala una volta ogni 4-5 secoli. Quelle su piccola scala ogni 30 anni. Ebbene, l’ultima gigantesca eruzione su larga scala è quella descritta da Plinio il Vecchio: quella che il 24 agosto del 79 dopo Cristo distrusse Ercolano e Pompei uccidendo più di duemila persone».
Dobran ha progettato un simulatore vulcanico globale: si tratta di un modello informatico in grado di ricostruire le passate eruzioni dei vari vulcani, e quindi anche del Vesuvio, per descrivere quelle future. «Il simulatore vulcanico globale – continua il vulcanologo – dopo aver analizzato i dati, ha disegnato uno scenario infernale: appena 20 secondi dopo l’esplosione il fungo di gas e ceneri incandescenti ha già raggiunto i 3mila metri di altezza, da dove collassa lungo i fianchi del cono. Un minuto dopo, la valanga ardente si trova già a due chilometri dal cratere. In tre minuti ha già raggiunto Ottaviano, Somma Vesuviana e Boscoreale. In quattro minuti sono spacciate Torre del Greco ed Ercolano. Sessanta secondi dopo è la volta di Torre Annunziata».
E in Italia quale è l’opinione dei vulcanologi? “È il magma che spinge e vuole salire a far tremare il suolo della Campania” sostiene il professor Giuseppe Luongo mentre il suo collega Paolo Gasparini si esprime così: il vulcano è “un cono edificato dai prodotti eterogenei delle eruzioni, poggiato su un basamento di calcare che inizia a 2-3 chilometri di profondità (…) non si vedono altre sacche magmatiche sopra il bacino, cioè sopra i 10 km”.
Giuseppe Luongo insiste: “Il magma, per risalire in superficie, non dovrà vincere la resistenza di rocce rigide che lo sovrastano per uno spessore di 10 km, al contrario potrebbe trovare una facile via di risalita lungo i percorsi già occupati da masse atemperature elevata“. Fonte
Storia di un sindaco che gioca a fare il re
Nel dicembre 2008 Vincenzo De Luca, con altri 46 imputati, viene rinviato a giudizio per truffa ai danni dello stato e falso in relazione alla vicenda relativa alla delocalizzazione delle Manifatture Cotoniere Meridionali, in qualche modo legata all’inchiesta Sea Park del 2005. Nell’aprile 2009 il rinvio viene confermato per De Luca ad altri 13 imputati (tra cui il già sindaco di Salerno, Mario De Biase, ed il presidente dell’Unione Industriali di Napoli, Gianni Lettieri)[70][71]. A marzo 2013 è dichiarata la prescrizione, rifiutata da De Luca e dagli imputati, in attesa di una pronuncia nel merito prevista per il successivo 19 giugno. Il 19 giugno il pm Montemurro chiede l’assoluzione per tutti gli imputati.
A maggio 2012 il pm Vincenzo Montemurro ha richiesto la prescrizione per la maxi inchiesta Sea Park per i reati di corruzione, truffa aggravata, truffa e falso nei confronti degli indagati De Biase, Grieco e Fortunato, proprietari dei suoli, e Santopietro e Benetti, imprenditori locali. Per il sindaco De Luca e gli altri dirigenti e funzionari comunali implicati nell’inchiesta, la prescrizione sarà richiesta dall’accusa il 25 giugno lasciando, dunque, in piedi le sole due accuse di associazione a delinquere e concussione. De Luca, però, insieme all’ex-sindaco De Biase, al dirigente comunale Di Lorenzo e il segretario generale Marotta, rinunciano alla prescrizione chiedendo di farsi giudicare nel merito per ottenere un’assoluzione piena.
Nel luglio 2010 viene condannato in primo grado dalla Corte dei Conti (sezione giurisdizionale di Napoli), insieme all’ex-sindaco De Biase ad alcuni dirigenti comunali, per questioni inerenti agli stipendi dei dirigenti del Comune di Salerno. De Luca viene condannato a pagare 23 000 euro, mentre De Biase 46 000 euro.
Il 6 luglio 2010 la Corte d’Appello di Salerno dichiara la prescrizione nei confronti di De Luca e degli altri imputati del processo per lo sversamento di rifiuti, nel 2001, nel sito di Ostaglio, non ancora completato. Nell’agosto 2001 si era verificato un enorme incendio degli stessi rifiuti. Il sindaco di Salerno, però, afferma di non essere stato lui a richiedere la prescrizione, come asserivano certi esponenti politici, ma di essere stata una scelta del tribunale giudicante, dopo dieci anni di processo.
Il 17 novembre 2010, De Luca, con gli altri indagati tra cui l’ex-sindaco Mario De Biase e l’ex-presidente dell’Asi Felice Marotta, è prosciolto, in campo penale, dalle accuse di associazione a delinquere e truffa relative alla costruzione di una centrale elettrica da 800 megawatt, a cui il sindaco si era opposto, sui suoli dell’ex-Ideal Standard. Il filone dell’inchiesta riguardante il possibile danno erariale è stato invece trasmesso dalla Procura Generale alla Corte dei Conti e al Ministero delle Attività Produttive.
Il 21 aprile 2011 è firmata dal procuratore capo di Salerno Franco Roberti la richiesta di rinvio a giudizio per peculato per il sindaco De Luca, Alberto Di Lorenzo e Domenico Barletta. Resa pubblica la notizia, in quanto momentaneamente secretata dallo stesso Roberti per non influenzare l’imminente votazione, solo a seguito delle elezioni comunali, l’udienza preliminare è fissata all’8 novembre. La vicenda risale al tempo in cui il sindaco era stato nominato commissario straordinario per la costruzione del termovalorizzatore di Salerno in relazione alla grave emergenza rifiuti di Napoli del 2008. Il pm Roberto Penna contesta, dunque, la nomina a project manager dell’ingegnere del comune Alberto Di Lorenzo, carica non prevista dall’ordinamento legislativo italiano. Nel novembre 2011 il gup Franco Orio dispone, sui richiesta dei legali dei tre imputati, il giudizio immediato. Il sindaco De Luca, infatti, si difende da tale accusa affermando che la figura di project manager, a cui sono dedicati numerosi congressi internazionali, è ampiamente utilizzata sia a livello locale che nazionale.
Il 15 maggio 2013 è stato condannato in primo grado, dal Tribunale di Napoli, per diffamazione aggravata nei confronti di Marco Travaglio, a seguito di alcune dichiarazioni fatte il 4 marzo 2010 nel corso di una pubblica manifestazione organizzata dal Partito Democratico per le imminenti elezioni regionali. In quell’occasione, De Luca affermò: “Quel grandissimo sfessato di Travaglio, che aspetto di incontrare per strada al buio qualche volta a Roma… questo pipì… è scorretto… parla in televisione dieci volte di cose che non capisce e su cui io non c’entro niente… Imbecille!… Aspetto di incontrarlo al buio”
NEL VIDEO Silvia Giordano (M5S) distrugge il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca indagato dalla procura: