Olio estero spacciato per italiano: Ecco da dove arriva l’olio che mettiamo in tavola
16/03/2015 – E’la frode dell’anno. Dal porto di Livorno, dove sbarcano camion di olio tunisino congelato fino al sud Salento, dove alcuni oleifici fanno carte false, l’inchiesta di Danilo Lupo ripercorre il filo di una frode milionaria che specula sul crollo della produzione di extravergine made in italy. I produttori onesti sono in rivolta, ma le frontiere sono un colabrodo: “colpa del parlamento, che ci ha disarmato” dicono i controllori (videomaker Antonio Palmieri)
Tangenti grandi opere, il gip: un vestito sartoriale per il ministro Maurizio Lupi e un Rolex da 10mila euro al figlio, in occasione della laurea
16/03/2015 – Un abito a Lupi, Rolex e lavori al figlio. Il ministro, mai chiesto favori. Sono alcuni dei regali che gli arrestati avrebbero fatto al ministro delle Infrastrutture e ai suoi familiari, secondo quanto si legge nell’ordinanza del giudice di Firenze in merito all’inchiesta sulle tangenti per gli appalti legati alle grandi opere che stamani ha portato all’aresto di quattro persone.
Il vestito sartoriale A regalare il vestito al ministro sarebbe stato Franco Cavallo, uno dei quattro arrestati oggi che secondo gli inquirenti aveva uno «stretto legame» con Lupi tanto da dare «favori al ministro e ai suoi familiari». «Da una telefonata del 22 febbraio 2014 – si legge nell’ordinanza – emerge che Vincenzo Barbato», un sarto che avrebbe confezionato un abito per Emanuele Forlani, della segreteria del ministero, «sta confezionando un vestito anche per il ministro Lupi».
Il rolex al figlio di Lupi Al figlio Luca, invece, sarebbe stato regalato un orologio. «Va segnalato – scrive il giudice – il regalo fatto dai coniugi Perotti al figlio del ministro Lupi in occasione della sua laurea: trattasi di un orologio Rolex del valore di 10.350 euro che Stefano Perotti (arrestato oggi, ndr) fa pervenire a Luca Lupi tramite Franco Cavallo».
Lavori «Effettivamente, Stefano Perotti», l’imprenditore arrestato, «ha procurato degli incarichi di lavoro a Luca Lupi», scrive il gip che annota inoltre che il 21 ottobre 2014, uno degli indagati, Giulio Burchi, «racconta anche al dirigente Anas, ing. Massimo Averardi, che Stefano Perotti ha assunto il figlio del ministro Maurizio Lupi».
L’intercettazione «Ho visto Perotti l’altro giorno, tu sai che Perotti e il ministro sono non intimi, di più. Perchè lui ha assunto anche il figlio, per star sicuro che non mancasse qualche incarico di direzione lavori, siccome ne ha soli 17, glieli hanno contati, ha assunto anche il figlio di Lupi, no?». Poi, il primo luglio 2014, sempre Burchi a Averardi: «il nostro Perottubus ha vinto anche la gara, che ha fatto un ribasso pazzesco», ha vinto «anche il nuovo palazzo dell’Eni a San Donato e c’ha quattro giovani ingegneri e sai uno come si chiama? Sai di cognome come si chiama? Un giovane ingegnere neolaureato, Lupi, ma guarda i casi della vita». «Perotti – continua il gip – nell’ambito della commessa Eni, stipulerà un contratto con Giorgio Mor, affidandogli l’incarico di coordinatore del lavoro che, a sua volta, nominerà quale ‘persona fissa in cantierè Luca Lupi» per 2 mila euro al mese.
La replica di Lupi «Non ho mai chiesto all’ingegner Perotti nè a chicchessia di far lavorare mio figlio. Non è nel mio costume e sarebbe un comportamento che riterrei profondamente sbagliato», replica Lupi in una nota, precisando che il figlio lavora a New York dai primi di marzo. «Mio figlio Luca si è laureato al Politecnico di Milano nel dicembre 2013 con 110 e lode dopo un periodo di sei mesi presso lo studio americano SOM (Skidmore Owings and Merrill LLP) di San Francisco, dove era stato inviato dal suo professore per la tesi. Appena laureato ha ricevuto un’offerta di lavoro dallo stesso studio per la sede di New York», spiega Lupi.
«In attesa del visto per lavorare negli Stati Uniti – prosegue – (un primo visto l’ha ricevuto nel giugno 2014, subito dopo il matrimonio, per ricongiungimento con la moglie che è ricercatrice in Italia e in America), ha lavorato da febbraio 2014 a febbraio 2015 presso lo studio Mor di Genova con un contratto a partita Iva per un corrispettivo di 1.300 euro netti al mese. Nel gennaio 2015 gli è stata reiterata l’offerta dello studio SOM, gli è quindi finalmente arrivato il visto e dai primi di marzo mio figlio lavora a New York». «Ripeto – conclude il ministro -, non ho mai chiesto nulla a nessuno per il suo lavoro, mi sembra, inoltre, dato il suo curriculum di studi, che non ne avesse bisogno».
Secondo il ministro delle infrastrutture Ercole Incalza (leggi il ritratto) «era ed è una delle figure tecniche più autorevoli che il nostro Paese abbia sia da un punto di vista dell’esperienza tecnica nazionale che della competenza internazionale, che gli è riconosciuta in tutti i livelli». «Non a caso – ha detto il ministro – è la persona che viene definita come il padre della legge obiettivo ed il padre della possibilità che nel nostro Paese si siano realizzate le grandi opere». «Dobbiamo dimostrare che in Italia – ha concluso Lupi – si possono fare opere grandi, piccole e medie con trasparenza, certezza dei tempi, delle risorse e della qualità». Fonte Il Messaggero
QUANDO LUPI DIFENDEVA INCALZA:
Corruzione, Tangenti su Grandi opere TAV – EXPO: gli arresti continuano senza sosta
FIRENZE 16/03/2015 – Quattro persone arrestate in blitz del Ros, tra loro il super manager del Ministero dei Lavori Pubblici E. INCALZA l’intoccabile dell’alta Velocità, (ora consulente esterno e storico dirigente del ministero dei Lavori pubblici) ed oltre 50 indagati.
Corruzione, induzione indebita, turbativa d’asta ed altri delitti contro la Pubblica amministrazione, sono alcune delle accuse che hanno portato all’arresto del super-dirigente del ministero dei Lavori pubblici (ora consulente esterno) Ercole Incalza, uno dei quattro arrestati dell’inchiesta del Ros e dei dei pm fiorentini Giuseppina Mione, Luca Tirco e Giulio Monferini. Gli altri sono gli imprenditori Stefano Perotti e Francesco Cavallo, e Sandro Pacella, collaboratore di Incalza. Gli indagati sono oltre 50, fra loro anche dei politici che, sottolinea l’Ansa citando fonti vicine alle indagini, non sarebbero “di primissimo piano”. Nel mirino la gestione illecita degli appalti delle cosiddette Grandi opere per quello che i magistrati definiscono un “articolato sistema corruttivo che coinvolgeva dirigenti pubblici, società aggiudicatarie degli appalti ed imprese esecutrici dei lavori”.
Le ordinanze di custodia cautelare sono in corso di esecuzione dalle prime ore di questa mattina a Roma e a Milano da parte dei militari dell’Arma che stanno anche effettuando in diverse regioni un centinaio di perquisizioni di uffici pubblici e sedi societarie riconducibili agli indagati.
Uno degli imprenditori arrestati vive a Firenze ed è titolare di una società di ingegneria impegnata in alcuni grandi lavori, come Tav Firenze, City Life e Fiera Milano, Metro 5 Milano, Fiera di Roma, Autostrada Salerno Reggio Calabria. L’inchiesta nasce dagli appalti per l’Alta velocità nel nodo fiorentino e per il sotto-attraversamento della città. Da lì l’inchiesta si è allargata a tutte le più importanti tratte dell’Alta velocità del centro-nord Italia ed a una lunga serie di appalti relativi ad altri Grandi Opere, compresi alcuni relativi all’Expo.
Ercole Incalza è una figura di primissimo piano nell’ambito del ministero dei Lavori Pubblici. A0rrivato nel 2001 come capo della segreteria tecnica di Pietro Lunardi (governo Berlusconi), è rimasto alle Infrastrutture per quattordici anni, attraversando sette governi: è passato attraverso Antonio Di Pietro (governo Prodi), fino a Lupi, con il governo Letta e poi con il governo Renzi. Tutti gli aggiornamenti su FONTE
Cucù, Sorpresa! Il taglio dell’Irap 2014 non c’è più: Renzi si è rimangiato il tanto agognato taglio dell’Irap nel 2014
11/03/2015 – Promesso per lo scorso anno, rimandato al 2015 per problemi di bilancio. Ma nessuno ne parla. Detto in una frase: il governo Renzi si è rimangiato il tanto agognato taglio dell’Irap nel 2014 per evitare di sforare il limite del 3% sul deficit. Questa è la notizia, che naturalmente nessuno dei telegiornali si è preoccupato di dare. Anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, intervistato da Massimo Giannini durante la trasmissione Ballarò di martedì 10 marzo, si è ben guardato dal menzionare quanto è successo all’Irap nel 2014, lodando invece il meraviglioso taglio dell’odiata imposta regionale sulle attività produttive a partire dal 2015.
Partiamo dall’inizio: il taglio dell’Irap nel 2014, deciso dal governo Renzi in primavera, era un taglio del 5% realizzato attraverso una diminuzione dell’aliquota, per diventare a regime un taglio del 10% a partire dall’anno successivo. Peccato che durante il 2014 la congiuntura economica è andata molto peggio di quanto preventivato dal governo, e nel contempo il processo di revisione della spesa capitanato dal commissario Carlo Cottarelli è stato in buona sostanza mandato in soffitta dal governo stesso: non per niente l’impegno triennale di Cottarelli, così come previsto al momento della nomina da parte del predecessore Letta, si è trasformato in un solo anno di lavoro, con risultati tutt’altro che esaltanti, peraltro.
Economia in recessione e mancati tagli alla spesa si traducono quasi meccanicamente in minore spazio per tagliare le tasse. Il governo Renzi ha dovuto pubblicamente prenderne atto a settembre, con la Nota di Aggiornamento al Def, e successivamente con la Legge di Stabilità: pur finanziando alcuni interventi con deficit aggiuntivo, restava il problema di rimangiarsi qualcuno dei tagli di imposte già implementati. Dal punto di vista politico, rimangiarsi i cosiddetti 80 euro di bonus Irpef sarebbe stato un autentico suicidio. Il governo Renzi, quindi, si è visto costretto a intervenire retroattivamente sul taglio Irap, cercando di nascondere la cosa attraverso l’invenzione di una nuova versione del taglio stesso – salari a tempo indeterminato esclusi dalla base imponibile -, ma solo a partire dal 2015.
Facciamo un po’ i conti: dal momento che le imposte – a parte il gioco degli acconti – si pagano nell’anno successivo, il mancato taglio dell’Irap nel 2014 non dà un vantaggio in termini di cassa agli equilibri del 2014, ma lo dà in termini della cosiddetta “competenza”, poiché quell’imposta riguarda il valore aggiunto prodotto durante quell’anno. Dal punto di vista della competenza, la relazione tecnica alla Legge di Stabilità ci spiega che il mancato taglio dell’Irap per il 2014 vale 2 miliardi di euro di miglioramento per il deficit, che – ai fini dei vincoli europei sui conti pubblici – è appunto calcolato per competenza e non per cassa. Qualche giorno fa, l’Istat ha comunicato che il deficit per il 2014 è esattamente il 3 per cento. Solo per un pelo, quindi, non abbiamo sforato il famoso limite che nacque a Maastricht: 2 miliardi di euro valgono all’incirca lo 0,125% di Pil: se il governo non si fosse rimangiato il taglio dell’Irap si sarebbe assestato intorno al 3,125%, ossia sopra il limite del 3 per cento.
Gli imprenditori che pensavano di pagare un po’ meno tasse nel 2015 si sono pertanto trovati la bella sorpresa di un taglio che non esiste più. Nel 2015 avremo entrate straordinarie grazie alla voluntary disclosure – a occhio tra i 5 e i 10 miliardi di euro – e il triplice dividendo regalatoci da Draghi ed emiri: tassi di interesse, cambio euro/dollaro e petrolio bassi. L’incasso della voluntary disclosure è una partita straordinaria che non si ripete negli anni successivi, i quali dal punto di vista dei conti pubblici sono presidiati da gigantesche clausole di salvaguardia su Iva e accise, qualora la revisione della spesa non porti gli esiti preventivati.
Gli imprenditori sono già stati fregati una volta, quindi. E adesso non resta loro che sperare nella nuova versione del taglio Irap, sempre che il governo non cambi un’altra volta idea, costretto dall’incapacità di tagliare la spesa pubblica corrente. Parliamoci chiaro: l’incertezza sulle tasse fa malissimo agli investimenti, perché induce gli imprenditori a rinviare spese produttive, ed è figlia di questa impostazione di bilancio totalmente refrattaria ai tagli di spesa. È questa la strada per fare crescere un paese almeno al 2% all’anno? La risposta è un pacato ma sonoro «No!». FONTE
“Renzi cancella la nostra dignità”: Protesta a Firenze contro gli sgomberi, si incatenano tra i turisti
09/03/2015 FIRENZE – E anche nella “rossa” Firenze esplode la protesta contro gli sgomberi. Nel mirino c’è Matteo Renzi, il premier che a parole ti fa sentire in paradiso e nei fatti ti spedisce all’inferno. Sfrattati e senza casa si sono incatenati alla balaustra che delimita la fontana del Nettuno, detto anche Biancone, tra i turisti di piazza Signoria.
La protesta: “Renzi cancella la nostra dignità”
La protesta è stata promossa dal Movimento di lotta per la casa con riferimento in particolare agli sgomberi “di 150 persone, tra cui trenta bambini, da due stabili vuoti da anni”. Oltre a coloro che si sono legati alla balaustra, alla protesta hanno preso parte altri manifestanti, tra cui alcuni bambini. Scanditi slogan “contro il governo Renzi che cancella i diritti” mentre in un cartello era scritto “Renzi’s party doesen’t respect human rights”. Ancora “Questa città non è solo monumenti e musei”, “Basta sgomberi, diritti e dignità per tutti”, “la legge Saccardi – con riferimento all’assessore toscano alle politiche per la casa – cancella il diritto alla casa”.
I dati di Firenze e la rabbia degli sfrattati
Un cartello elencava: “Undicimila case vuote, cento sfratti al mese, tremila famiglie in attesa delle case popolari”. “Continueremo con queste azioni a sorpresa – ha detto Lorenzo Bargellini del Movimento di lotta per la casa – .Quanto accaduto con due sgomberi in contemporanea è gravissimo, sia per le modalità (forze dell’ordine entrate con i manganelli, strada chiusa), sia perché avvenuti senza prospettive alternative. Da un anno a questa parte a Firenze e in Italia c’è un clima difficilissimo, con una politica contro i ceti sociali più deboli”. FONTE
Una Rolls Royce dei cieli: L’elicottero di Renzi ci costa 8mila euro l’ora
03/04/2015 -L’elicottero Agusta Westland AW 139 con cui ieri il premier Matteo Renzi si stava recando da Firenze a Roma prima di essere costretto ad atterrare nei pressi di Arezzo dalle condizioni meteo e proseguire il viaggio in auto. A volerlo nella flotta del 31° stormo che si occupa per l’Aeronautica Militare del trasporto delle Alte cariche dello Stato (cosiddetti voli blu), era stato Silvio Berlusconi. E i giornali di sinistra (in primis l’Espresso e La Repubblica) non avevano certo perso tempo nel criticare la scelta. Alla quale il nuovo paladino del centrosinistra Renzi pare essersi più che adeguato senza che da quelle stesse pagine si strilli più di tanto allo scandalo.
L’AW 139, costruito presso le officine Agusta di Vergiate in provincia di Varese, è un elicottero biturbina costruito in circa 700 esemplari per le forze armate di mezzo mondo. Ha una velocità di crociera di 290 chilometri orari e può volare a oltre 5mila metri di quota. Il tempo di volo tra Firenze e Roma, per Matteo Renzi, sarebbe stato di circa un’ora a fronte dell’ora e mezza circa che ci impiega il Frecciarossa. La differenza dei costi è però enorme. Trascurando la presenza della scorta, che comunque Renzi avrebbe avuto con se anche se fosse andato inj treno o in auto, è impossibile sapere quanto costi un’ora di volo al 31° Stormo dell’aeronautica.
Per avere, però, un ordine di grandezza, è possibile vedere quanto costa un’ora di volo con lo stesso tipo di apparecchio utilizzato dagli elisoccorso. Cifre di cui è zeppo internet. Sul sito x-plane.it, ad esempio, è riportato un costo orario per l’AW 139 di circa 8.400 euro. Col Frecciarossa, un biglietto di sola andata da Firenze Santa Maria Novella a Roma Termini costa 100 euro a persona in classe Executive, la più costosa. Mettiamo anche che renzi e scorta abbiano riservato l’intera classe executive, che ha otto posti, avrebbero speso 800 euro. Cioè circa un decimo del costo dell’elicottero. Ma Palazzo chigi non ci sente: “Ragioni di sicurezza”: Renzi, in treno, non ci può viaggiare (Mattarella sì). Eh, i tempi (qualcjhe mese fa, mica anni) in cui si spostava in bici e persino col taxi… FONTE
“Vincenzo m’è Padre a me”: Una delle regole auree del giornalismo è che fa notizia l’uomo che morde il cane, non il cane che morde l’uomo.
Se però tutti i cani smettono di mordere gli uomini e tutti gli uomini iniziano a mordere i cani, la regola va ribaltata. Leggete questa piccola notizia di provincia e ditemi voi se non è venuto il momento di pensarci seriamente. L’Asl di Prato organizza un corso anti-corruzione per i suoi 150 dipendenti e affida le cinque lezioni a S. S., ex direttore generale dell’Asl di Pistoia, appena condannato dalla Corte dei Conti a restituire all’Erario 60 mila euro per consulenze esterne inutili e anzi dannose per le finanze pubbliche, e perciò pure indagato dalla Procura per abuso d’ufficio. Alcuni dipendenti-studenti della Cgil protestano con una lettera in cui contestano anche la nomina di S. S. nell’“organismo indipendente di valutazione del personale”: “Che esempio dà la nostra Asl?”. Ma il direttore amministrativo dell’Asl pratese che ha organizzato i corsi e li ha affidati al condannato replica testualmente: “La scelta è ricaduta su S. S. per le sue indubbie capacità nella materia: non è un caso che tuttora collabori con Il Sole 24 Ore in qualità di esperto. Il fatto che sia stato condannato dalla Corte dei Conti perché ha firmato una delibera su un incarico esterno per noi significa veramente poco. Io stesso firmo centinaia di quelle delibere, solo ieri ho messo 2-300 firme. Anche altri direttori generali toscani sono finiti nel mirino della Corte dei Conti e lo stesso presidente del Consiglio ha avuto problemi da sindaco di Firenze. Incappare in incidenti di percorso perché si firma una delibera che poi si rivela sbagliata fra centinaia non mi sembra così scandaloso”.
Qual è la notizia? Che un dirigente pubblico condannato per danno erariale e indagato per abuso tenga corsi anti-corruzione a dipendenti pubblici? Che venga per questo – e per la sua collaborazione al giornale della Confindustria (nota culla di legalità) – ritenuto “un esperto”? Che una sentenza che lo dipinge come uno scialacquatore di denaro pubblico venga ritenuta da un collega una quisquilia, quasi un titolo di merito, perché così fan tutti, compreso il premier? Che alcuni discepoli si siano ribellati a cotanto maestro? Oppure la notizia, semplicemente, non esiste perché è così in tutta Italia?
In Sicilia, nel breve volgere di un mese, il consigliere comunale di Palermo Giuseppe Faraone, primo dei non eletti in Regione nella lista dell’antimafioso Rosario Crocetta e ultimamente passato alla Lega Nord, finisce in galera per estorsione mafiosa.
Il simbolo della Confindustria antimafia, Antonello Montante, viene indagato per mafia. E il presidente della Camera di commercio e vicepresidente dell’aeroporto di Palermo, Roberto Helg, alfiere della battaglia anti-racket, viene arrestato mentre incassa una mazzetta di 100 mila euro e, quando lo acchiappano, dichiara sereno: “Ne avevo bisogno , ho la casa pignorata”. In Calabria il neogovernatore Pd Mario Oliverio fa una giunta di quattro assessori, tutti indagati (uno anche per ‘ndrangheta). In Veneto il governatore leghista Luca Zaia, appena ricandidato da Salvini a furor di popolo padano, nomina alla Commissione anti-corruzione regionale due dirigenti già finiti in manette, uno per turbativa d’asta e l’altro per peculato e malversazione.
In Campania il candidato del Pd a governatore è il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, che ha vinto le primarie col 52% (80 mila voti): purtroppo, avendo una condanna in primo grado per abuso d’ufficio, non potrà mai sedersi sulla poltrona più alta della Regione perché per la legge Severino è già decaduto prim’ancora di essere eletto. Ergo, corsa contro il tempo in Parlamento per modificare la Severino: fra una legge dello Stato e il consenso popolare – dicono i giuristi per caso – prevale il secondo. E meno male che Riina e Provenzano negli anni 80 non pensarono di candidarsi a Corleone, sennò altro che 52%.
Tutto ciò avviene perché gli italiani hanno la classe politica che si meritano, o perché la classe politica, a furia di insistere, ha finalmente i cittadini che si merita? Le classi dirigenti degli ultimi 30-40 anni hanno lavorato scientificamente per cancellare ogni traccia di cittadinanza, opinione pubblica e società civile, sostituendole con greggi sempre più belanti di disoccupati, analfabetizzati, disperati, pronti a tutto pur di strappare un posto nella società, o semplicemente un posto, punto: non più cittadini, ma sudditi adusi a chiedere in ginocchio come favore ciò che spetterebbe loro come diritto. E ora che hanno ottenuto il loro scopo, mentre porgono l’anello da baciare ai propri clientes, fanno pure gli spiritosi con le primarie e le elezioni che non hanno più neppure bisogno di truccare: “Che sarà mai una condanna, i cittadini mi hanno scelto, è il bello della democrazia”.
Sì, la democrazia di Miseria e nobiltà, la farsa di Edoardo Scarpetta. La democrazia di quelli che “a casa nostra nel caffellatte non ci mettiamo niente: né il caffè, né il latte”. Quelli che “io non faccio il cascamorto: se casco, casco morto per la fame”. Quelli che “l’ho detto io: sposatevi il cuoco! Cuoco: che bella parola, cuoco!”. Quelli che “torno nella miseria, però non mi lamento: mi basta di sapere che il pubblico è contento”. Quelli che “Vincenzo m’è padre a me”. Quelli che “Peppinie’, tu mi devi chiamare papà”. Quelli che “Don Vince’, basta che mi fate mangiare e io vi chiamo pure mamma”. E non avevano ancora conosciuto Vincenzo De Luca.
Vincenzo m’è padre a me
di Marco Travaglio
Il Fatto Giovedì, 5 Marzo 2015
Operazione antiriciclaggio della Guardia di Finanza di Torino, segnalata una fiduciaria: Bloccati 16,7 milioni dei Ligresti Stavano per finire in Svizzera
16/02/2015 – Tra il 24 e il 30 gennaio 2014 i Ligresti avevano tentato di spostare in Svizzera 16,7 milioni di euro attraverso una fiduciaria milanese. A scoprire il trasferimento di denaro è stato il nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Torino, che da tempo indaga sui Ligresti per il presunto falso in bilancio su Fonsai, attualmente a dibattimento. Nell’ambito dell’attività antiriciclaggio le fiamme gialle hanno segnalato alla Banca d’Italia e al ministero dell’Economia una fiduciaria milanese e il suo direttore per non aver adempiuto all’obbligo di comunicazione di operazioni sospette poste in essere dalla famiglia Ligresti per oltre 16,7 milioni euro.
L’indagine – uno dei vari filoni in cui si è articolata l’inchiesta sui Ligresti – è partita proprio a fine di gennaio 2014, quando vennero sottoposti a sequestro conservativo da parte del gip di Torino 2,5 milioni di euro che Gioacchino Ligresti – il minore dei figli di Salvatore, fratello di Jonella e Giulia – stava cercando di trasferire in Svizzera sui conti della lussemburghese Limbo Invest sa, una delle holding che custodivano il 30% di Premafin, la controllante di Fonsai durante l’era Ligresti. I successivi accertamenti – è scritto in una nota della Gdf – hanno fatto emergere che durante la latitanza di Gioacchino Paolo Ligresti, che ha evitato l’arresto nel 2013 perché in Svizzera, la fiduciaria aveva dato ordine ad un istituto di credito (presso il quale vi erano depositi e titoli, dovrebbe trattarsi di Banca Sai) di eseguire ulteriori movimentazioni su azioni Unipol–Sai, fiduciariamente intestate a Limbo Invest, Canoe Securities e Hike Securities, le altre società di riferimento di Jonella e Giulia Ligresti. Si tratta delle azioni frutto della fusione tra Premafin, Unipol, Fonsai e Milano Assicurazioni, che i Ligresti avrebbero inteso trasferire, per un controvalore di 14 milioni, su conti svizzeri intestati fiduciariamente alle holding. L’intervento della Guardia di Finanza nei primi di febbraio ha fatto sì che le successive movimentazioni verso l’estero, già disposte, venissero interrotte.
Nonostante le indagini penali in corso, la fiduciaria avrebbe deliberatamente omesso di comunicare alle autorità il fatto che i Ligresti stessero ponendo in essere numerose transazioni finanziarie, per spostare all’estero il proprio patrimonio. Per la mancata comunicazione delle transazioni, ricorda la nota della Guardia di Finanza, la violazione a carico della fiduciaria e del direttore (i cui nomi non sono stati resi noti) potrà prevedere una sanzione amministrativa pari a circa 6,7 milioni di euro.Tra il 24 e il 30 gennaio 2014 i Ligresti avevano tentato di spostare in Svizzera 16,7 milioni di euro attraverso una fiduciaria milanese. A scoprire il trasferimento di denaro è stato il nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Torino, che da tempo indaga sui Ligresti per il presunto falso in bilancio su Fonsai, attualmente a dibattimento. Nell’ambito dell’attività antiriciclaggio le fiamme gialle hanno segnalato alla Banca d’Italia e al ministero dell’Economia una fiduciaria milanese e il suo direttore per non aver adempiuto all’obbligo di comunicazione di operazioni sospette poste in essere dalla famiglia Ligresti per oltre 16,7 milioni euro.
L’indagine – uno dei vari filoni in cui si è articolata l’inchiesta sui Ligresti – è partita proprio a fine di gennaio 2014, quando vennero sottoposti a sequestro conservativo da parte del gip di Torino 2,5 milioni di euro che Gioacchino Ligresti – il minore dei figli di Salvatore, fratello di Jonella e Giulia – stava cercando di trasferire in Svizzera sui conti della lussemburghese Limbo Invest sa, una delle holding che custodivano il 30% di Premafin, la controllante di Fonsai durante l’era Ligresti. I successivi accertamenti – è scritto in una nota della Gdf – hanno fatto emergere che durante la latitanza di Gioacchino Paolo Ligresti, che ha evitato l’arresto nel 2013 perché in Svizzera, la fiduciaria aveva dato ordine ad un istituto di credito (presso il quale vi erano depositi e titoli, dovrebbe trattarsi di Banca Sai) di eseguire ulteriori movimentazioni su azioni Unipol–Sai, fiduciariamente intestate a Limbo Invest, Canoe Securities e Hike Securities, le altre società di riferimento di Jonella e Giulia Ligresti. Si tratta delle azioni frutto della fusione tra Premafin, Unipol, Fonsai e Milano Assicurazioni, che i Ligresti avrebbero inteso trasferire, per un controvalore di 14 milioni, su conti svizzeri intestati fiduciariamente alle holding. L’intervento della Guardia di Finanza nei primi di febbraio ha fatto sì che le successive movimentazioni verso l’estero, già disposte, venissero interrotte.
Nonostante le indagini penali in corso, la fiduciaria avrebbe deliberatamente omesso di comunicare alle autorità il fatto che i Ligresti stessero ponendo in essere numerose transazioni finanziarie, per spostare all’estero il proprio patrimonio. Per la mancata comunicazione delle transazioni, ricorda la nota della Guardia di Finanza, la violazione a carico della fiduciaria e del direttore (i cui nomi non sono stati resi noti) potrà prevedere una sanzione amministrativa pari a circa 6,7 milioni di euro. FONTE
Possibile svolta, dialogo su reddito di cittadinanza e Rai: dal Pd sì a proposta Grillo
04/03/2015 – “Se le parole di #Grillo non sono mera propaganda, pronti a confrontarci nel merito delle questioni. Senza pregiudizi”. Così in un tweet, Roberto Speranza, capogruppo del Pd alla Camera, risponde all’apertura di Beppe Grillo al Pd sulla Rai e sul reddito di cittadinanza, lanciata questa mattina dal leader Cinque Stelle. “Su Rai e reddito di cittadinanza dialoghiamo con tutti, anche con il Pd. Ma ci deve essere onestà intellettuale”, aveva detto Grillo in un’intervista al “Corriere della Sera”.
Ok da Civati e Vendola – “Se questa è la partenza, questa è una buona giornata per la democrazia”. Pippo Civati commenta positivamente l’apertura di Beppe Grillo. “Se Grillo fosse stato sempre così, sarebbe stata tutta un’altra storia -dice il deputato dem-. Finalmente si concentra su argomenti importanti senza ‘tirarli’ addosso a nessuno e cambiando anche un pò su alcune cose, come sul reddito di cittadinanza”. Civati, che ha presentato una Pdl di riforma della Rai con Sel e altri deputati Pd, parla poi in dettaglio della questione della Tv pubblica: “La nostra Pdl è un messaggio al M5S e a tutti quelli che vogliono discutere e anche un invito a prendere le distanze da altre pratiche politiche, magari al grido di fuori la politica dalla Rai. Ma anche fuori il governo dalla Rai, dico io. Discutiamo, facciamo bene più che facciamo presto, partendo dal Parlamento e puntando su un percorso comune di forze diverse.
”Vogliamo la Rai dei cittadini e non dei partiti o del governo? Vogliamo come in tutta Europa il reddito minimo che puo’ essere una delle risposte contro la poverta’ e contro i ricatti? In Parlamento c’e’ una maggioranza possibile. Facciamolo. Ora. #Grillo #Sel”, scrive su twitter Nichi Vendola, presidente di Sinistra ecologia liberta’, rilanciando un suo blog dopo l’approvazione un anno fa a Montecitorio di una mozione di Sel per il reddito minimo. ADNKRONOS