Pensioni, compie 40 anni il decreto che fece nascere le babypensioni (e che ci costa ancora oggi lo 0,4% di Pil)
Era il 29 dicembre 1973 quando il governo di Mariano Rumor inaugurò la controversa stagione delle baby pensioni, con un Dpr (decreto del presidente della Repubblica, all’epoca Giovanni Leone) destinato ai dipendenti pubblici che avessero lavorato per 14 anni, sei mesi e un giorno, se donne sposate e con figli; meno generose (si fa per dire) le condizioni per gli altri, ossia 20 anni per gli altri statali, 25 anni per i dipendenti degli enti locali (in epoca pre-federalismo, ancora pochi).
Paura sempre più diffusa di non andarci prima dei 70 anni, problema esodati che Bersani rinfaccia a Monti. E’ questa la carne viva del tema pensioni. Però c’è una storia dimenticata ma viva: è la storia delle baby pensioni. Quei 531mila trattamenti pensionistici pagati, ancora nel 2011, a chi con una legge del 1973, ha potuto lasciare il lavoro con appena 19 anni e mezzo di contributi o anche meno se erano “donne con prole”. Mezzo milione e passa di baby pensionati che costano la bellezza di 9,5 miliardi di euro l’anno, esattamente il doppio di quanto costa agli italiani, tutta insieme, la tanto vituperata casta. Già, perché i 180mila politici grandi, medi, piccoli e piccolissimi si mangiano 4/5 miliardi di euro per esistere, stipendi, palazzi, vitalizi, benefit, autisti e tutto il resto compresi, compresi anche i Batman.
A poco è servita la retromarcia decisa meno di dieci anno dopo il decreto Rumor, quando a Tangentopoli esplosa, un altro provvedimento omnibus di fine anno, il decreto legislativo 503 del 30/12/1992 (“Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421”), corse a cancellare la possibilità di smettere di lavorare e incassare una pensione ancora nel fiore degli anni (gli stessi, all’incirca, in cui i precari di oggi provano riescono nelle migliori delle ipotesi a entrare nel mondo del lavoro). Restò il conto da pagare: un esborso per la previdenza pubblica pari a circa lo 0,4% del Pil nazionale l’anno.
di Marco lo Conte – leggi l’articolo completo
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