I rimpatri di Salvini sono meno di quelli del governo Renzi
21/07/2019 – «La priorità sono le espulsioni». Dalla fredda Helsinki, dove ha partecipato al vertice informale dei ministri dell’Interno, Matteo Salvini ribadisce la volontà di rimandare indietro i migranti irregolari. E tuttavia non lo sta facendo. In campagna elettorale Salvini aveva promesso seicentomila rimpatri, ma a un anno dall’entrata in carica del governo giallo-verde siamo all’1% di quella cifra.
Dati alla mano questo governo, al di là delle parole, sta rimpatriando meno persone del governo precedente. I dati che Il Sole 24 Ore ha ottenuto dal Viminale non vanno nella direzione indicata dal ministro: nei primi sei mesi del 2019 il governo ha portato a termine 3.299 rimpatri. Ipotizzando che nei prossimi sei mesi ne rimpatri altrettanti si arriverà a 6.598 rimpatri, meno dei 7.383 dell’anno 2017 e dei 7.981 nel 2018. Se si considera il primo anno di governo invece, da giugno 2018 a giugno 2019, i rimpatri sono stati 7.286, comunque meno di quando governavano Gentiloni e Renzi.
Qualcuno potrebbe obiettare che gli sbarchi sono calati di molto, ma i rimpatri si fanno sulle persone sbarcate almeno due anni prima, non sulle persone appena sbarcate. In termini assoluti, l’Italia è al sesto posto per ordini di espulsione dietro alla Francia (105.560), la Spagna (59.255), la Grecia (58.325), la Germania (52.930) e la Polonia (29.375).
Ma ci sono altri modi per rimpatriare i migranti irregolari? In base alla normativa 115/2008, per allontanare un migrante irregolare è possibile far ricorso a tre opzioni: l’accompagnamento coatto, il ritorno incentivato, l’espulsione con obbligo di lasciare il paese con mezzi propri. Il primo è costoso e, come abbiamo visto dai dati, non sta dando i risultati sperati. L’ultimo è inefficace perchè si basa sulla volontà del migrante di andarsene. I rimpatri incentivati invece sono quelli meno costosi e più praticati in Europa.
Secondo l’ufficio statistico comunitario, lo scorso anno nella Ue ci sono stati 113.630 rimpatri, di cui più della metà volontari (57.545). Nel 2017 la Germania ha sborsato 104 milioni di euro per i rimpatri, ripartiti in poco più di 37 milioni per i rimpatri forzati e 67 milioni per i rimpatri volontari. L’Italia, invece, ha affrontato costi molto più contenuti che ammontano a 11 milioni di euro, dei quali la maggior parte, 9,7 milioni, sono stati destinati ai rimpatri forzati e la restante parte ai rimpatri volontari (dati del Parlamento Europeo).
Anche per i rimpatri volontari assistiti il trend italiano è negativo: nel 2017 dall’Italia le persone incentivate economicamente a lasciare il paese e a tornare nel paese di origine (Tunisia, Marocco, Nigeria eccetera) sono state 869, nel 2018 questo numero è salito a 1.161, ma nella prima parte dell’anno 2019 è crollato ad appena 135 unità.
A meno di improvvise inversioni di tendenza, immaginando che il trend sia costante, a fine anno ci potremmo trovare ad aver incentivato meno di 300 persone a lasciare l’Italia. Un dato inspiegabile visto che per incentivare i rimpatri l’Italia potrebbe utilizzare fonti Ue. Il 31 ottobre scorso il ministero dell’Interno ha annunciato lo stanziamento di 12 milioni di euro per il finanziamento di progetti legati al Rimpatrio Volontario Assistito e Reintegrazione di almeno 2.700 cittadini di paesi terzi. I finanziamenti provengono dal Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione (Fami), istituito dall’Unione europea nell’aprile 2014.
Infine, anche sui Dublinanti (i migranti che sono sbarcati in Italia e poi hanno passato il confine illegalmente verso il nord Europa) il governo non sta ottenendo risultati migliori dei precedenti. Secondo l’Ispi nel 2018 l’Italia ha accettato il massimo numero di trasferimenti di Dublinanti di sempre. Austria, Francia, Svizzera e Germania hanno trasferito verso l’italia circa 6.300 migranti che, dopo essere arrivati in Italia, erano andati nei loro paesi. – [Ilsole24ore.com]
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