La “sentenza” della Corte dei Conti che stronca le concessioni autostradali e chi per anni ha finto di vigilare
Contro si pronunciò anche l’Antitrust. Tutto inutile e la proroga divenne la prassi per tutte le altre concessioni. Risultato? Nel 2003 i Benetton prendono il controllo e già due anni dopo gli investimenti effettuati erano inferiori di 2 miliardi rispetto ai 4,1 previsti dai piani finanziari 1997-2005. Soldi non accantonati ma “usati per finanza speculativa”, spiegò il ministero delle Infrastrutture in Senato nel giugno 2006. Dal 2004 si decise che le proroghe servivano perfino a sanare i contenziosi pregressi. Secondo il rapporto, la Corte dei conti ha “dichiarato illegittimo” l’ affidamento del 1997. L’ effetto, però, è stato nullo. La più grande convenzione è rimasta col vecchio impianto, senza “tante prescrizioni di garanzia e salvaguardia del bene pubblico”.
Nel 2008 il neonato governo Berlusconi blindò le concessioni per legge pur essendo contratti privati, per superare le critiche degli organi tecnici di controllo e con il Parlamento all’ oscuro dei documenti per poter valutare. Quella di Autostrade, per dire, era stata bocciata dal Nucleo per la regolazione dei servizi di pubblica utilità (Nars) anche perché conteneva una clausola mostruosa che garantisce ai Benetton un indennizzo gigante anche in caso di revoca per colpa grave, come “crolli e disfacimenti”, quello che è poi successo col ponte Morandi. Una norma illegittima secondo il rapporto, perché vietata dal codice civile. Insomma, la concessione si può revocare senza penali miliardarie.
Le critiche riguardano tutti gli ambiti, a partire dalla prassi con cui i concessionari affidano tutti i lavori in house, in barba alla legge (quella del 2017, peraltro, è molto blanda) e alle direttive Ue. In 20 anni si è messo in piedi un sistema “irrazionale”, con proroghe continue, ritardi nel mettere a gara le concessioni e modelli tariffari oscuri e penalizzanti che hanno generato incrementi “senza riscontro nei costi”, sempre più alti dell’ inflazione, anche grazie a “una sistematica sottovalutazione dei volumi di traffico”, e remunerato capitali mai investiti a rendimenti stellari a fronte della “costante diminuzione degli investimenti”. Dal 1993 i ricavi dei concessionari sono raddoppiati, da 2,5 a 6 miliardi, di cui un quarto finiscono in profitti. Critiche forti anche per l’ assenza di personale adeguato al ministero per effettuare i controlli, assai carenti.
Tirate le somme, la Corte dei conti raccomanda di cambiare passo e soprattutto “una rapida introduzione del nuovo sistema tariffario elaborato dall’ autorità dei Trasporti per riequilibrare i rapporti a vantaggio dello Stato”, visto che remunera solo il capitale davvero investito e riduce le tariffe. I signori del casello sono già sul piede di guerra. [FONTE]
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