La vera sfida dei 5 Stelle. Una nuova missione per battere Salvini & C.
02/11/2019 – E’ inutile girarci intorno. La sconfitta del campo progressista, delle forze dell’attuale maggioranza, non è solo elettorale: è politica, nel senso pieno del termine – di politiche e programmi che non riscontrano più il favore dei cittadini – ma è anche e soprattutto valoriale. Perché questa è la verità: la destra salviniana e meloniana, con la sua inedita miscela di individualismo, xenofobia, razzismo, nazionalismo, sovranismo, sta vincendo alle urne, ma soprattutto sta conquistando una vera egemonia. Una egemonia valoriale, appunto. E non solo nelle istituzioni rappresentative, ma nella società e in tutte le sue articolazioni.
Il problema non è più riconquistare i consensi perduti, provare a collezionare più seggi in Parlamento, nelle Regioni e nei Comuni. Cosa che si deve pure fare per dare agli elettori leggi e amministrazioni migliori. Il problema è ribaltare il declino che sta cogliendo l’intera società nel più profondo del suo sentirsi, che è coscienza morale, civile, modo di essere cittadini. Il problema è dare soluzione a questa crisi valoriale, che non sarà questione di uno o due anni, ma molto, molto più lunga e impegnativa. Possiamo darci questo compito così come oggi sono le forze schierate nel capo progressista? La risposta è No, lo dimostra il fatto che la crisi di consensi elettorali si sta trasformando progressivamente in crisi interne dei partiti di questa maggioranza, crisi che potrebbe presto trasmettersi agli equilibri di governo.
Nel Partito democratico si sta aprendo un dibattito sulla necessità di un cambio di nome, di una rifondazione. Riportando l’orologio indietro di venti anni, ai tempi del superamento del Partito comunista e della Democrazia cristiana, quando si invocava la nascita di una nuova, moderna forza politica capace di cogliere il cambiamento, la famosa Cosa. Il rischio è che si avvii verso una operazione di semplice maquillage cambiando nome e logo e lasciando insolute il resto delle questioni aperte. Nel M5S si afferma la necessità di una riorganizzazione e di una rielaborazione programmatica che dovrebbe anche avere importanti risvolti organizzativi. Una aspirazione ormai dichiarata che è aperta, piena e franca ammissione di una difficoltà, una inadeguatezza di cui si stenta a definire i contorni. Vedremo cosa succederà nel Pd e a cosa porterà il suo travaglio.
Per quanto riguarda il M5s è indispensabile che il dibattito interno sia all’altezza della sua storia. Ha rivoluzionato la politica in Italia, con le grandi battaglie per la legalità, la lotta ai privilegi, l’impegno per l’ambiente e i beni comuni. Ma sta esaurendo la sua spinta propulsiva dopo avere meritoriamente grillizzato l’intero sistema. Missione compiuta, dunque? Sì, per la gran parte. Che è importante, storica, direi. Ma adesso, che fare? Possiamo darci una missione nuova, come ci si chiede. Ma di che tipo? Una strada da percorrere potrebbe essere quella di salvaguardare e tutelare gli interessi di movimento, di parte, di partito. Per inseguire i consensi perduti, che nella prossima – sempre più vicina? – legislatura rischiano di tradursi in una sparuta rappresentanza parlamentare destinata a recitare al massimo il ruolo di battagliera minoranza.
Ma vale la pena impegnarsi per una simile prospettiva? Vale la pena spendere le energie di militanti ed elettori per assicurarsi qualche seggio alla Camera o al Senato mentre fuori la casa brucia? Per fare che, blindare una ristretta, ininfluente nomenklatura? Non è necessario. Non è necessario sopravvivere e vivacchiare, impiccati pure alla necessità di rivedere regole interne, statutarie, che la forza prorompente del movimento da tempo ha decretato come superate e anacronistiche. Con questo sopravvivere forzato si rischia di macchiare una storia nobile destinata a restare negli annali.
La necessità di darci una nuova missione può imporre invece un compito più alto. Dopo avere cambiato profondamente la politica nel nostro Paese, possiamo, dobbiamo affrontare a viso aperto le ragioni di una crisi che ci investe e che ha radici in questioni, nodi che da soli non possiamo sciogliere, che è l’emergenza epocale causata dalle paure della nostra società preda della globalizzazione incontrollata, delle diseguaglianze sociali, della distribuzione iniqua della ricchezza, dell’emergenza climatica, dell’innovazione a senso unico, di un modo di produrre che fa a pugni con i principi minimi di umanità.
Rispetto a tutto questo manca un pensiero. Ed è una carenza che richiede una colossale mobilitazione, non solo politica, ma anche scientifica, sociologica, filosofica, direi. Siamo in grado da soli di fare tutto questo? E possono altri, da soli, farlo per proprio conto? Non credo, il compito è così grande da esigere nuove sfide, nuove sfide che abbiamo il dovere di affrontare anche a costo di biodegradarci definitivamente, scioglierci in qualcosa di più grande. Una prospettiva ancora oggi oscura e indefinita, ma certamente più ambiziosa, nobile e duratura. – (Lettera aperta del Sen. M5S Primo Di Nicola)
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Calderoli “in difesa” avverte i giallorossi: “In Aula non faremo passare niente”
02/09/2019 – Per il nascente governo giallorosso, i numeri parlano già di una maggioranza traballante, tanto in Aula quanto nelle Commissioni. E per il senatore Roberto Calderoli sembra di essere a “oggi le comiche”, “se non ci fosse in ballo il futuro del Paese”.Non si capisce cosa vogliano fare Pd e Movimento 5 Stelle, la cui unione inizia già ad essere incerta, ancora prima di cominciare, ma “dal primo governo Prodi in poi tutti gli esecutivi hanno ballato al Senato”. E non solamente per i voti in Aula, ma anche per quelli nelle Commissioni.Ed è proprio sulle Commissioni (sei in Senato) che potrebbe puntare la Lega, avendone la presidenza, per mettere in difficoltà il nuovo esecutivo. Calderoli, infatti, spiega in un’intervista a Libero, che “il presidente è quello che convoca le sedute della Commissione, riunisce l’ ufficio di presidenza che deve decidere il calendario delle discussioni e se questo non viene votato all’ unanimità deve andare in Commissione.
E qui, non in tutte Pd e M5S hanno la maggioranza, quindi dovranno trattare e perdere tempo. Molto tempo”.Ma non solo. Il nascente esecutivo potrebbe essere messo in seria difficoltà anche da una serie di emendamenti e intoppi regolamentari: “Sotterrerò il governo sotto milionate di emendamenti”, minaccia Calderoli, annunciando che intende mostrare “a Conte e a suoi ministri cose che nemmeno si immaginano”.E sul governo gialloverde dice: “Salvini ha fatto benissimo a rompere coi grillini. Era da marzo che l’ atteggiamento dei 5Stelle era cambiato”. L’ex vicepremier “ha fatto bene ad andare contro i giochi di palazzo. La gente vuole il voto. I partiti no. Giusto rompere e se ci sono delle responsabilità di Matteo le divido volentieri con lui, perché la mozione di sfiducia al Senato, assieme a Romeo l’ ho scritta io”.
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“Terremoto” a Palazzo Madama, il senatore Michele Pazzaglini indagato. “Donazioni dirottate”
22/06/2019 – Un’ipotesi di peculato, sei di abuso d’ufficio e una di truffa. Queste le accuse mosse all’ex sindaco e attuale senatore della Lega Giuliano Pazzaglini, in concorso con l’ex presidente della Croce Rossa di Visso Giovanni Casoni. Per la procura, Pazzaglini avrebbe dirottato circa 120mila euro di donazioni su due società, costituite ad hoc per intercettare la generosità arrivata da tutta Italia verso i terremotati. Il procuratore capo Giovanni Giorgio ha chiesto alla Finanza di riesaminare le donazioni, e nei giorni scorsi ha inviato l’avviso di conclusione delle indagini.
Una contestazione, relativa all’accusa di peculato, riguarda una raccolta di denaro a favore dei commercianti del Comune fatta dal maceratese Vincenzo Cittadini con Moto Nardi, e dai motoclub Amici di strada di Civitanova e New Riders; 10.300 euro vennero consegnati al sindaco, che però non avrebbe versato quei soldi sul conto del Comune. Dopo le indagini, quella somma è stata messa sotto sequestro dal tribunale.
I casi di abuso d’ufficio riguardano invece altre donazioni, che Pazzaglini avrebbe dirottato su due società: la Sibil Projetc, di cui era socio, e la Sibil Iniziative, amministrata da Giovanni Casoni. A chi contattava il Comune per devolvere qualcosa, il sindaco avrebbe detto che se i soldi fossero finiti nel bilancio comunale sarebbe stato complicato utilizzarli per i terremotati. Era più semplice, avrebbe detto, girarli alle due società che si occupavano di iniziative in favore di chi aveva perso tutto. In realtà per la procura l’intenzione di Pazzaglini sarebbe stata quella di avvantaggiare le società.
Nella maggior parte dei casi si tratta di somme modeste. Una eccezione è la donazione della Emilbanca, a luglio del 2017: 91mila euro. Pazzaglini avrebbe chiesto alla banca di versare i soldi alla Pro loco. Poi all’inizio di settembre avrebbe convocato il direttivo della Pro loco per riaprire la collaborazione. In un secondo incontro avrebbe parlato della donazione in arrivo, specificando che parte dei soldi dovevano servire per le casette temporanee per i commercianti, un’altra parte per digitalizzare l’archivio storico, seimila per la Pedalata della Sibilla, e almeno 12mila però dovevano andare alla Sibil Iniziative come rimborso per l’organizzazione delle varie manifestazioni. L’ipotesi di truffa infine riguarda il fatto che un assegno, da duemila euro, sarebbe stato incassato in banca dalla compagna di Casoni.
La versione di Giuliano Pazzaglini
«Eravamo rimasti in quattro gatti a Visso dopo il sisma, e in quattro gatti siamo riusciti a far ripartire il Comune. A questo punto, ha avuto ragione chi non ha fatto nulla e si è limitato a lamentarsi». C’è amarezza nella voce del senatore leghista Giuliano Pazzaglini, ma anche la fermezza di chi è sicuro di poter dimostrare «di aver agito in buona fede e nell’interesse della collettività». «La costituzione delle società era una cosa nota, fin da subito sono stato trasparente nel dire che in quella fase di necessità avrei contribuito in quel modo, l’ho detto in consiglio comunale. La nostra contabilità non ha utili, perché abbiamo solo fatto in modo che le donazioni fossero impegnate fino all’ultimo euro per lo scopo per cui erano state donate. Oltretutto, ho un parere del consigliere giuridico del commissario speciale alla ricostruzione che mi dà ragione: lo avevamo consultato per un’altra fattispecie, che però si attaglia benissimo anche a questa. Per il Comune e per i commercianti era stato escluso che ci fossero due ipotesi di delocalizzazione, e la nostra unica ipotesi era l’area del Parco Hotel da demolire, la nuova piazza. Allora ho pensato di scendere in campo come soggetto terzo, per dare modo ai commercianti di lavorare fino a quando non fosse stata pronta la nuova piazza».
Il senatore assicura di aver sempre avuto la massima trasparenza, «ma anziché motivo di linearità e correttezza è sembrato che volessi perseguire chissà quale intento. Se avessi voluto fare imbrogli non avrei usato la mia società, è evidente. La Sibil Iniziative tra l’altro ha quattro soci, io ho partecipato alla realizzazione della Pedalata per la Sibilla che ha consentito al Comune di avere un finanziamento da un milione di mezzo, gestendo tre operazioni per diecimila euro, tutte rendicontate. Dai bilanci risulta che le società a cui ho partecipato non hanno avuto un euro».
«Vivevamo nella situazione più disperata – ricorda l’ex sindaco –, l’80 per cento della popolazione era evacuata. Ho rinunciato all’aumento dell’indennità, mi hanno accusato per i rimborsi delle spese che avevo muovendomi con la mia auto ed è venuto fuori che avevo preso meno di quello che mi spettava. Non so cosa mi si contesti». Ieri Pazzaglini ha incontrato l’avvocato Giuseppe Villa, che lo difende con l’avvocato Giancarlo Giulianelli: «Abbiamo visto una parte degli atti, e preso atto che si tratta di un enorme malinteso, oppure ci sono aspetti da approfondire. Lunedì decideremo se presentare una memoria o chiedere di essere sentito per dare la mia versione». – [MSN.COM]
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Solinas ripristina i vitalizi ai politici in Sardegna e Zedda attacca: “Pensate solo ai privilegi”
12/06/2019 – Senatore e presidente di regione. Ma non basta. Ora si parla di vitalizi ai politici e l’ex sindaco di Cagliari e adesso principale oppositore nel consiglio regionale della Sardegna Massimo Zedda ha attaccato Solinas, eletto con il centro-destra e, soprattutto, sfruttando l’effetto Salvini. Dopo la polemica del doppio incarico, ecco che si apre il caso legato a un vizio che sa di prima Ha detto Zedda: “La prima proposta di legge della maggioranza leghista e sardista, illustrata ai capigruppo dal presidente del Consiglio regionale, riguarda il ripristino, comunque lo si voglia giustificare e definire, degli assegni vitalizi da riconoscere ai consiglieri regionali. Non la continuità territoriale, non la vertenza latte, non il porto canale di Cagliari, ma dopo tre mesi la prima legge è per le pensioni dei consiglieri regionali. Dicono sempre: “prima gli italiani, prima i sardi”. Ma la verità è che pensano solo a se stessi. Pensano solo ai privilegi e alle pensioni per i consiglieri regionali. Sono trascorse poche ore dall’anniversario della scomparsa di Enrico Berlinguer, ma io scelgo la questione morale che per me non è dimenticata.
La proposta è sostenuta dai capigruppo di maggioranza, compreso quello del partito Fratelli d’Italia dell’onorevole Truzzu, candidato alla carica di Sindaco di Cagliari. Contrari i capigruppo dell’opposizione. La spesa, a carico delle cittadine e dei cittadini, nel bilancio regionale, per il solo 2019 è pari a 1.149.984 €, che si ripeterà per gli anni a venire di questa legislatura per un totale di 5.749.920€. Ho già rinunciato una volta, dimettendomi, appena proclamato Sindaco, dalla carica di consigliere regionale poche settimane prima di maturare la pensione, a un vitalizio che sarebbe stato di 1.850 euro al mese, dopo solo due anni sei mesi e un giorno, che avrei percepito al compimento del sessantacinquesimo anno di età. Con due legislature, la precedente normativa prevedeva un vitalizio di quasi 4.000 € netti al mese al compimento del sessantesimo anno di età e così via.
Un insegnante, un dipendente, nel pubblico e nel privato, un commerciante e un imprenditore, un libero professionista, dopo 41 anni di lavoro, percepiscono una pensione di 1.450 € al mese, a seconda dei contributi versati. Non ho problemi, come non ne ho avuto a rinunciare già una volta al vitalizio, a dichiarare oggi la mia assoluta contrarietà a questa proposta di legge che, se approvata, contribuirebbe a garantire privilegi a pochi e ad aumentare la distanza tra la politica e i cittadini. Mi sembra che lo slogan, che questa maggioranza leghista e sardista utilizza, vada cambiato, non più “prima gli italiani, prima i sardi”, ma “prima noi e i nostri privilegi, prima noi senatori e deputati, prima noi presidenti di regione con doppio incarico, prima noi onorevoli consiglieri regionali, prima noi capi di gabinetto lombardi”. E pazienza per tutti quelli che stanno male, per coloro che hanno perso il lavoro e per i giovani che vorrebbero trovarlo”. – [FONTE]
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Solinas, Governatore sardo e senatore. Il doppio incarico è espressamente vietato dalla legge. Ma a Palazzo Madama non c’è traccia di dimissioni
11/06/2019 – Il caso è stato sollevato a livello locale da Massimo Zedda, ex candidato presidente del centrosinistra, ma ha già varcato i confini nazionali. Christian Solinas è stato eletto a febbraio – e proclamato ufficialmente il 20 marzo – governatore della Regione Sardegna. Ma da marzo dello scorso anno è anche senatore della Repubblica. Sulla scheda di Palazzo Madama risulta vicepresidente del gruppo parlamentare “Lega-Salvini premier-Partito sardo d’azione”, membro della commissione Bilancio, vicepresidente della commissione Antimafia.
TRE PRESENZE IN DUE MESI. Una situazione di incompatibilità che il governatore aveva modo di risolvere da oltre due mesi. La Costituzione stabilisce all’articolo 122 che “nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e ad una delle Camere del Parlamento”. Ma al momento non risulta che abbia inviato all’ufficio di presidenza del Senato richiesta di dimissioni. Il presidente della Giunta delle elezioni, Maurizio Gasparri, è all’oscuro ma assicura che “nei prossimi giorni il caso sarà all’esame insieme con quello di quanti sono stati eletti, per esempio, al Parlamento europeo”.
Contattato da La Notizia, il portavoce di Solinas esclude che, pur occupando la doppia poltrona, stia percependo emolumenti doppi (“Assolutamente no”, è la risposta), ma non ci chiarisce se al momento sia pagato dalla Regione o da Palazzo Madama. Né è in condizione di dirci se la richiesta di dimissioni sia stata inoltrata o meno (“Solinas è malato e non è rintracciabile”). In realtà uno solo è lo stipendio che può percepire. La legge (n. 56 del 2014) stabilisce infatti che “resta fermo in ogni caso il divieto di cumulo con ogni altro emolumento; fino al momento dell’esercizio dell’opzione, non spetta alcun trattamento per la carica sopraggiunta”.
Se si sbirciano i resoconti stenografici da quando è stato proclamato governatore – dal 20 marzo si contano 20 sedute dell’aula – Solinas risulta presente tre volte: 20 e 21 marzo e 28 maggio. Tutti gli altri giorni risulta in congedo. Dunque se al momento Solinas stesse percependo lo stipendio da senatore, nonostante le numerose assenze – tutte giustificate – gli emolumenti previsti gli sarebbero corrisposti in toto. Compresa la diaria – ossia i rimborsi per le spese di soggiorno a Roma – che per i senatori ammonta a 3.500 euro al mese salvo “decurtazioni per ogni giornata di assenza dai lavori parlamentari“, recita il sito di Palazzo Madama alla voce “trattamento economico” dei senatori.
EFFETTO BOOMERANG. Decurtazioni che, grazie ai congedi, Solinas sarebbe finora riuscito a scongiurare. In realtà Solinas – secondo quanto riportato ieri sera dall’Ansa – avrebbe cercato di dimettersi già più di una volta, ma la Lega, cioè il partito con cui è stato eletto in Senato, gli avrebbe sempre chiesto di aspettare l’esito dei quattordici ricorsi presentati all’indomani delle Regionali in Sardegna. Un’attesa che potrebbe rivelarsi un boomerang: i ricorsi, infatti, se accolti dal Tar Sardegna – mercoledì 12 giugno la prima udienza – avrebbero l’effetto di far perdere il posto nell’Assemblea isolana a tutti gli otto eletti del secondo partito più votato, cioè il Carroccio. Una situazione che renderebbe, secondo alcuni, il ritorno a elezioni inevitabile. Ma c’è anche chi rispetta la Costituzione: è il caso di Massimiliano Fedriga dimessosi dal Parlamento dopo la nomina a governatore del Friuli-Venezia Giulia. E di Marco Marsilio (FdI) che ha lasciato il Senato nei termini dopo l’elezione a governatore dell’Abruzzo. – [LaNotizia.it]
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Blitz della finanza sul gruppo Biasotti, presunta maxi evasione per 9 milioni
14/05/2019 – La guardia di finanza di Genova ha perquisito le sedi del gruppo Biasotti, società che si occupa di compravendite di auto di lusso e fondata dal senatore e coordinatore regionale di Forza Italia Sandro Biasotti, che però non è indagato. Le fiamme gialle, coordinate dal procuratore aggiunto Francesco Pinto, indagano su una presunta maxi frode milionaria, attraverso intermediazioni fittizie con società inesistenti per evadere l’Iva. Il periodo sotto indagine va dal 2015 al 2018. Diverse le persone indagate.
La procura di Genova fa sapere che il senatore Sandro Biasotti non è indagato nella operazione della Guardia di Finanza che ha perquisito le sedi del gruppo da lui fondato. Le fiamme gialle di Genova hanno acquisito documentazione cartacea e informatica presso le sedi di Autobi, Novelli 1934, Bimauto (del gruppo Biasotti), e Autoveicoli Erzelli spa. L’ipotesi di reato è di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. Secondo gli investigatori sarebbero state evase nel 2014 imposte per 1,8 milioni di euro, oltre 2 milioni nel 2015 e oltre 5 milioni nel 2016. Oltre alle sedi delle società sono state perquisite le abitazioni di Barba e Manfredi.
Sono due le persone indagate nell’inchiesta. Si tratta del legale rappresentante del gruppo Antonio Barba (cognato di Sandro Biasotti) e Enrico Manfredi, titolare delle società fittizie a cui venivano vendute le auto. Secondo la guardia di finanza, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Pinto, il gruppo Biasotti avrebbe fatto numerose vendite di auto a presunti esportatori, in realtà missing traders (evasori professionali), che erano privi di qualsivoglia operatività commerciale nel settore, in pratica vere e proprie teste di legno, che rilasciavano false lettere di intento nelle quali rappresentavano il diritto a concludere operazioni di acquisto esenti Iva per poi trasferire le auto ad altri acquirenti a prezzi estremamente vantaggiosi.
Biasotti è un gruppo di concessionarie Mercedes, Smart, Volkswagen, Bmw e Mini su Genova, Asti e Alessandria, creato dall’omonimo imprenditore a partire dalla fine degli anni Novanta. A novembre del 2018 ha annunciato un’alleanza con la famiglia piemontese di Marco Utili, attiva a sua volta con una rete di concessionarie in Piemonte, per dar vita a un gruppo con oltre oltre 400 milioni di euro di fatturato, 500 dipendenti tra Piemonte e Liguria. Biasotti sarebbe rimasto con il 60% del gruppo, era stato annunciato in quell’occasione, affidando però la gestione al gruppo di Utili.
Quanto a Sandro Biasotti, 71 anni a luglio, è stato presidente della Regione Liguria tra il 2000 e il 2005, e prima dell’elezione nel 2018 a senatore con Forza Italia era stato era stato deputato per due legislature con il centro-destra.
Sandro Biasotti ha affermato in una nota di non essere indagato nell’ambito dell’indagine che ha portato la guardia di finanza di Genova a perquisire le sedi del gruppo Biasotti: “Non sono indagato in quanto – dichiara -, da quando faccio politica non ho mai più ricoperto incarichi operativi o dirigenziali nelle aziende di famiglia”.
“Comunque mi riferiscono – aggiunge – che l’accusa è totalmente infondata in quanto si tratta di vendite di auto assolutamente residuali ai volumi delle aziende (9 milioni di fatturato in 2 anni, su altre 600) vendute e fatturate a commercianti che hanno presentato documentazione idonea per l’esportazione senza pagare l’Iva. Prima di procedere alla vendita le società della mia famiglia hanno verificato tale documentazione presso gli uffici delle Agenzia delle entrate – conclude -. Le aziende della mia famiglia negli anni scorsi hanno avuto altre verifiche su identiche operazioni sempre dimostrando tale correttezza ed estraneità alle eventuali accuse”. – [FONTE]
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M5s chiede le dimissioni di Renzi: “Ha strumentalizzato una bimba con sindrome di down”
09/11/2018 – La polemica su Rocco Casalino e sul video (interpretazione, esasperazione o altro che fosse) risalente al 2004 non si affievolisce neanche oggi, soprattutto dopo le accuse lanciate ieri da parte del Pd e dal senatore Matteo Renzi che ha chiesto anche le dimissioni del portavoce del presidente del Consiglio. Ieri l’ex presidente del Consiglio ha parlato di sua nipote, Maria, che ha la sindrome di Down, per accusare Casalino delle sue parole.
Oggi è arrivata la replica del MoVimento 5 Stelle con un post sul blog delle Stelle dal titolo: “Strumentalizzare una bambina con sindrome di Down per infangare Casalino: Renzi ha toccato il fondo”.
“Stavolta si è spinto davvero oltre”, è l’accusa del M5s contro il senatore del Pd: “Usare sua nipote, che ha una sindrome di down, per infangare Rocco Casalino è veramente qualcosa di ignobile e squallido. Lo sappiamo, Renzi appena può non perde occasione per alimentare bufale senza né capo e né coda. Gli italiani lo conoscono, le fake news sono il suo pane quotidiano da sempre e non gli crede più nessuno. Ma provare a far passare la recita di un personaggio durante una simulazione in un corso di giornalismo per un punto di vista, usando la disabilità di una bambina, ci fa riflettere sulla direzione vergognosa che questi politicanti hanno preso pur di gettare ombre su chi lavora, giorno dopo giorno, per far fronte alle tante responsabilità professionali che gli sono affidate”.
Il M5s riporta le parole di Enrico Fedocci, colui che invitò Casalino a un corso di giornalismo per essere intervistato dagli studenti, con lo scopo di sollecitarli. “Questi sono i fatti e quella a cui stiamo assistendo è l’ennesima operazione sudicia di certa stampa e di quelli come Renzi, gente con credibilità pari a zero, a cui è rimasto solo l’infamare e lo screditare per avere qualcosa da dire – attacca ancora il M5s -. Renzi straparla di dignità, proprio lui che è un mentitore seriale riconosciuto, proprio lui che ha provato ad ingannare milioni di italiani e che strumentalizza bambine con la sindrome di down per risaltare le sue tesi riprovevoli ed in malafede. C’è sempre un limite tra il vergognoso e il ridicolo: Renzi saltella con disinvoltura da una parte all’altra ininterrottamente da quando è in politica ma stavolta ha davvero, tristemente, toccato il fondo”. E il post si conclude con un appello netto: “Renzi dimettiti!”. – FONTE
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L’ultima figuraccia in diretta di Renzi, Massimo Franco: ‘Temo che il senatore Renzi stia regalando altri voti ai 5Stelle’ (VIDEO)
17/10/2018 – “Temo che il senatore Renzi stia regalando altri voti ai 5Stelle”. Si è conclusa così la lite tra Massimo Franco e Matteo Renzi a DiMartedì, programma condotto da Giovanni Floris su La7. Il giornalista del Corriere della Sera ha ricordato all’ex premier che in un tweet dell’agosto scorso aveva scritto che questo governo non sarebbe durato fino a Capodanno e “tra settembre e ottobre ci divertiremo, prepariamoci che ci richiameranno”. Renzi ha negato di aver fatto queste affermazioni e ha accusato Franco di aver detto una “balla”.
Il conduttore Floris è intervenuto nel dibattito citando le dichiarazioni di Renzi, che aveva detto durante una diretta Facebook: “Presto toccherà di nuovo a noi, a settembre-ottobre vedrete che ci sarà da divertirsi”. Renzi ha replicato: “‘A settembre-ottobre ci sarà da divertirsi’ io l’ho sempre detto perché credo, e lo stiamo dimostrando adesso, che il governo, purtroppo, sta imboccando la strada sbagliata. È diverso dal dire che noi abbiamo la certezza che alla fine dell’anno questo governo va a casa e ce ne sarà un altro”. Floris ha controbattuto: “Mi perdoni, visto che ne avete discusso, mi pare che il punto sia che non era un tweet ma era una frase su Facebook”. Guarda il video:
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Il senatore M5s Alberto Airola ha tentato il suicidio
18/08/2018 – Trovato dalla sorella in una pozza di sangue nella vasca da bagno, aveva scritto una lettera alle forze dell’ordine e una ai famiglia, con le sue ultime volontà. Alberto Airola, senatore del Movimento 5 Stelle, ha provato a suicidarsi nella sua abitazione di Torino. Soccorso e trasportato in ospedale, è adesso fuori pericolo. Secondo quanto raccontato da La Stampa, il senatore avrebbe scritto «una lettera indirizzata alle forze dell’ordine, per fugare ogni dubbio sulla paternità del gesto. E un’altra diretta ai famigliari: poche righe scritte di «mio pugno» con le ultime volontà.
A trovarlo, riverso in una pozza di sangue nella vasca da bagno accanto a un flacone di ansiolitici, sarebbe stata la sorella, precipitatasi giovedì notte a Torino, «preoccupata per le condizioni del fratello che sarebbero precipitate nelle ultime settimane. Lo scorso settembre 2017 Airola era stato brutalmente aggredito vicino casa, ai giardini Alimonda, da un gruppo di ragazzi che erano stati ripresi da lui perché facevano troppo baccano.
«La notizia ci colpisce e ci addolora profondamente», hanno fatto sapere i parlamentari M5S in una nota. «Siamo vicini ad Alberto e ai suoi familiari, cui manifestiamo il massimo sostegno possibile e tutto il nostro affetto e vicinanza. In questo momento cosi’ delicato chiediamo agli organi di stampa e a tutti di dimostrare il dovuto rispetto evitando appostamenti in ospedale ed ogni altro atto possa disturbare la famiglia di Alberto».
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