Sentenza Mafia Capitale, Marco Travaglio Asfalta Il Pd: “Evviva Erano Solo Ladroni. Ed Ora Fuori Dai Cog…. I Pericolosi Incensurati 5 Stelle”
23/07/2017 – Evviva, erano solo ladroni! Evviva, non erano anche mafiosi! Evviva, a Roma la mafia non c’è! Erano tutte calunnie contro la nostra bella Capitale morale! E ora, per favore, fuori dai coglioni quei pericolosi incensurati dei 5 Stelle! Aridatece i puzzoni che, poveretti, si limitavano a rubare! Uno legge i titoli e gli articoli di giornalini&giornaloni sulla sentenza del processo all’ex Mafia Capitale, ora derubricata a Tangentopoli Capitale e, pur abituato a tutto, non può far altro che scompisciarsi.
Sia per i delirii dei garantisti all’italiana che esultano come se avessero vinto la bambolina, sia per quelli speculari e contrari dei vedovi inconsolabili dell’associazione mafiosa, caduta nel giudizio di primo grado. Noi abbiamo sempre pensato e scritto, dopo i due blitz del 2014 e del 2015 con decine di arresti e centinaia di indagati per associazione mafiosa, corruzione, concussione, turbativa d’asta, estorsioni e altre delizie, che il sacco di Roma perpetrato per almeno un decennio da destra&sinistra fosse ampiamente provato da fotografie, filmati, intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti e testimonianze.
E che, come in ogni processo, la qualificazione giuridica dei fatti si prestasse a diverse letture, che dipendono dal libero convincimento di ogni giudice e anche dalla vetustà e ambiguità delle norme sull’associazione mafiosa rispetto alle evoluzioni sempre nuove del malaffare.
Dunque nessuno poteva né può dire con certezza né che quella banda di criminali non sia mafia, né che lo sia – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano nell’editoriale di oggi 22 luglio 2017, dal titolo “Ladro è bello”.
L’associazione mafiosa non è un’invenzione della Procura: è stata confermata in varie pronunce cautelari e anche di merito da diversi giudici “terzi” (gip, gup, Riesame, addirittura Cassazione) e negata da altri (in ultimo dal Tribunale che per ora ha l’ultima parola e dunque, per convenzione, ha ragione).
Ma quando i giudici dicevano “sì mafia”, venivano da molti bollati come “appiattiti sui pm” e “servi della Procura”, mentre ora che il Tribunale dice “no mafia” viene da molti applaudito come “garantista” e “coraggioso”.
Infatti il Foglio di Ferrara e del rag. Cerasa – celebri per attaccare qualunque indagine o processo e difendere qualunque condannato dell’orbe terracqueo (salvo ci siano di mezzo i 5Stelle) – si spellava le mani per lo “splendido giudice che con coraggio ha cancellato” il 416-bis. Oh bella, e da quando in qua il Foglio prende per buona una sentenza? Solo quando gli dà ragione, non fateci l’abitudine.
Se lo splendido giudice che con coraggio ecc. avesse confermato il 416-bis, sarebbe uno dei tanti brutti, sporchi, cattivi e “appiattiti”. – Articolo su Il Fatto Quotidiano.
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Caso Consip. L’editoriale odierno di Travaglio che farà incazzare Renzi e PD
18/06/2017 – Dalla vigilia di Natale, cioè dallo scoop di Marco Lillo sull’inchiesta Consip, attendevamo questo momento. Chiedevamo al governo di scegliere da che parte stare: da quella dell’ad renziano di Consip Luigi Marroni, che accusa il ministro renziano Lotti, i generali renziani Del Sette e Saltalamacchia di avere spifferato notizie segrete sull’indagine e le intercettazioni di Napoli; e il padre di Renzi e il suo mediatore-faccendiere Carlo Russo di averlo ricattato per pilotare appalti verso imprenditori amici (come Romeo) e amici degli amici (cioè del giro di Verdini).
Se il governo riteneva Marroni un calunniatore, doveva rimuoverlo all’istante dal vertice della società del Tesoro e lasciare ai loro posti il ministro e i due generali. Se viceversa il governo riteneva che Marroni dice cose vere, doveva lasciarlo al suo posto e rimuovere Lotti, Del Sette e Saltalamacchia. Tenendo ben presente che la magistratura – a cui governo e Pd hanno sempre ribadito “massima fiducia” (almeno in quella romana) – aveva indagato Lotti, Del Sette e Saltalamacchia, ma non Marroni, semplice testimone e non sospettato di alcun reato. L’unica cosa da non fare, in nome del principio di non contraddizione, era di salvare tutti, accusatore e accusati: così infatti avremmo certamente avuto qualche delinquente in delicatissime funzioni pubbliche (i possibili favoreggiatori Lotti, Del Sette e Saltalamacchia, o l’eventuale calunniatore Marroni). Eppure finora il governo ha fatto proprio questo.
Poi l’altro giorno la Procura di Roma ha riascoltato Marroni, già sentito sei mesi fa dal Noe e dai pm di Napoli. E Marroni, dopo aver rifiutato di ritrattare le sue accuse davanti agli avvocati di Tiziano Renzi, le ha confermate (almeno secondo l’Ansa).
Subito dopo, come tarantolato, il Pd è uscito da sei mesi di letargo e ha vergato in fretta e furia una mozione che impegna il governo a cacciarlo da Consip e ieri ha fatto dimettere tutto il Cda per farlo decadere. Cioè: mandano via il testimone dello scandalo per tenersi gli inquisiti. Il messaggio è quello tipico della mafia: chi collabora con la giustizia senza riguardi per gli amici è un traditore da punire; chi invece è indagato per le soffiate e i favoreggiamenti a chi voleva truccare l’appalto più grande d’Europa, è un giglio di campo da premiare.
Si dirà: Renzi&C. avranno almeno le prove che Marroni s’è inventato le accuse a Lotti, Del Sette, Saltalamacchia, babbo Tiziano e Russo; e i cinque accusati l’avranno querelato per calunnia. Invece niente querele e nessun accenno a calunnie nella mozione Pd. Perché allora lo mettono alla porta?
Tenetevi forte, perché qui si sfiora il capolavoro ed è giusto renderne onore agli otto firmatari: i senatori Zanda, Martini, Lepri, Maran, Maturani, Borioli, Marcucci e Mirabelli.
Premessa: “Dall’analisi dei dati del bilancio consuntivo relativo all’anno 2016 emergono dati positivi sull’operato della Consip con il sostanziale raggiungimento degli obiettivi prefissati”. Quindi non è per incapacità, scarso rendimento o risultati fallimentari che lo vogliono cacciare. Anzi. E perché allora?
1) “Sulla Consip pende un’inchiesta giudiziaria per accertare reati penalmente perseguibili che vedono coinvolti a vario titolo l’amministratore delegato e dirigenti della società”. E qui i Magnifici Otto mentono sapendo di mentire: i reati penalmente perseguibili non vedono coinvolto ad alcun titolo l’ad della società (Marroni è solo testimone), bensì il dirigente Gasparri, già arrestato (col suo presunto corruttore Romeo), reo confesso e cacciato; e, fuori da Consip, il quintetto Lotti, Del Sette, Saltalamacchia, Vannoni, Renzi sr. e Russo. Ma di loro, essendo indagati, la mozione Pd non parla.
2) “Da notizie sull’inchiesta giudiziaria… risulta che l’ad Consip avrebbe testimoniato alla magistratura di aver ricevuto esplicite richieste, da soggetti esterni alla società, finalizzate ad orientare gli esiti di importanti gare d’appalto indette dalla Consip… e non avrebbe provveduto a denunciare tempestivamente alla magistratura i fatti indirizzati ad alterare il corretto svolgimento delle gare e non avrebbe provveduto a revocare o sospendere le relative procedure d’appalto… venendo meno ai doveri di professionalità e ai criteri di onorabilità e correttezza richiesti ai manager di una società a totale partecipazione pubblica” e violando “il codice etico di Consip che prevede per amministratori e dirigenti di operare nei rapporti con i terzi con imparzialità, trasparenza e correttezza”. Questo è vero e, in un Paese serio, basta e avanza per rimuovere un dirigente pubblico per motivi non penali, ma etici e deontologici. Ma a una condizione: che il Pd precisi i “soggetti esterni alla società” che rivolsero a Marroni “esplicite richieste finalizzate ad orientare gli esiti di importanti gare d’appalto”. I loro nomi sono noti proprio grazie alla testimonianza di Marroni (e di nessun altro), oltreché alle intercettazioni del Noe e dei pm napoletani Carrano e Woodcock: Carlo Russo e Tiziano Renzi. Naturalmente Marroni potrebbe esserseli inventati. Nel qual caso, non ci sarebbe motivo di rimuoverlo per non aver denunciato pressioni inesistenti (e resterebbe da spiegare perché un mini-faccendiere di Scandicci e il padre dell’allora premier parlavano con l’ad di Consip; e perché Romeo incontrava Russo e poi metteva per iscritto di voler ripagare “T.” con 30 mila euro al mese e “C.R.” con 5 mila a bimestre).
3) “A tali fatti si sarebbe poi aggiunta la rimozione dagli uffici dell’ad Consip della strumentazione utilizzata dagli inquirenti per le attività investigative… con conseguente condizionamento delle indagini in corso”. Altro fatto vero. Ma, prima di usarlo per cacciare Marroni, il Pd dovrebbe accompagnarlo con i nomi di chi avvertì il manager delle indagini e delle microspie e di chi beneficiò del condizionamento delle indagini. Anche quei nomi li conosciamo grazie alla testimonianza di Marroni, confermata dall’ex sindaco di Rignano Lorenzini e ritenuta attendibile dai pm di Napoli e Roma che hanno indagato Lotti, Del Sette e Saltalamacchia per la soffiata e babbo Renzi e Russo per traffico d’influenze. Se Marroni deve andarsene per avere ricevuto e poi svelato la soffiata, devono andarsene anche i quattro che l’hanno fatta. Quanto ai due beneficiari (babbo Tiziano e Carlo Russo), non ricoprono cariche pubbliche e dunque Pd e governo non possono far loro nulla: ma d’ora in poi Renzi&C. dovranno smettere di difenderli, se non considerarli politicamente responsabili, vista la fede assoluta nelle parole di Marroni. Se queste bastano a cacciare Marroni, devono bastare a cacciare o a giudicare colpevoli anche gli altri. O sono vere per tutti, o non lo sono per nessuno. Vie di mezzo non ne esistono.
Anzi, visti i ruoli che ricoprono, prima si devono cacciare i quattro autori della soffiata e solo poi si dovrà pensare a chi l’ha ricevuta. Se il ministro Lotti e i due generali dell’Arma ricevono notizie illecite su un’indagine segreta e non solo non denunciano il grave delitto in veste di pubblici ufficiali, ma lo aggravano trasmettendo la notizia al vertice Consip e contribuendo a rovinare l’inchiesta, come possono restare al governo e guidare i Carabinieri di tutt’Italia e della Toscana? Possibile che i doveri di “denunciare tempestivamente alla magistratura” e i “criteri di onorabilità, correttezza, imparzialità e trasparenza” siano richiesti solo all’ad di Consip e non a un ministro e a due comandanti della Benemerita?
Se, come scrivono Zanda & C., la permanenza di Marroni “delegittima gli attuali vertici e il management della Consip”, ne lede “l’immagine”e compromette il “rigoroso rispetto della legalità”, a maggior ragione la permanenza di Lotti, Del Sette e Saltalamacchia delegittima il governo Gentiloni e l’intera Arma, ne lede l’immagine e compromette il rigoroso rispetto della legalità. Quindi, alla luce dei nobili principi enunciati dalla mozione Pd (che finalmente taglia corto con i gargarismi renziani sul “tutti innocenti e inamovibili fino alla condanna in Cassazione”), prima si cacciano Lotti, Del Sette e Saltalamacchia, poi magari si passa a Marroni. Se sventuratamente dovesse accadere il contrario, saremmo autorizzati a sospettare che Marroni viene punito non per quel che ha fatto, ma per quel che ha detto: cioè per non aver ritrattato le accuse ad amici e parenti di Renzi. E a domandarci che differenza passa fra la politica e la mafia. – FONTE
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TRAVAGLIO: “I CINQUE STELLE RESTANO IN TESTA AI SONDAGGI PERCHÉ NON RUBANO!”
Marco Travaglio dice una grande verità: “I Cinque Stelle hanno tanti difetti, ma non si sono ancora decisi a rubare: forse questo è il vero problema che inquieta tante persone e la ragione per cui continuano ad essere in cima ai sondaggi nonostante il linciaggio che subiscono quotidianamente da tutte le parti”. Condividi se sei d’accordo!
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Davigo, Lavia, Salvini e Travaglio si confrontano sulle inchieste Consip e Banca Etruria
Di Martedì, puntata del 16 maggio scorso. In diretta si è celebrato il processo mediatico alle famiglie Boschi e Renzi dopo le ultime vicende dei casi Banca Etruria e Consip. Pubblici ministeri di grande prestigio come Piercamillo Davigo e Marco Travaglio. Avvocato difensore Mario Lavia dell’Unità, nominato d’ufficio (infatti si limita al classico “mi rimetto alla clemenza della Corte”) dal Presidente Giovanni Floris che ha condotto con la consueta perizia il dibattimento. Giuria popolare: il pubblico presente.
Mentre la requisitoria di Travaglio si diffonde per dimostrare che – contrariamente a quanto sostiene la difesa – l’atto d’accusa pubblicato sul Fatto quotidiano non scagiona affatto Matteo Renzi, Davigo ha esplorato nuove frontiere del diritto processuale penale spingendosi persino a spiegare – tra larghi consensi della giuria – che le uniche sentenze veramente assolutorie sono quelle che accertano e dichiarano l’insussistenza del fatto.
Le altre, che si limitato ad affermare che “il fatto non costituisce reato”, sono la testimonianza di un colpevole che l’ha fatta franca, perché prima la politica ha modificato, con dolo e malizia, la legge penale, abolendo i reati sui quali le valorose procure avevano indagato.
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Renzi e il suo babbo smascherati in diretta. Guardate cosa ha detto.. Tutto il #RenziConsip minutoxminuto
17/05/2017 – Renzi chiamò papà Tiziano, “Non dire bugie, non ti credo”. CONSIP – L’inchiesta Nel libro di Marco Lillo, l’intercettazione sulla cena tra il padre dell’ex premier e l’imprenditore Romeo. E il genitore replica: “Al ristorante mai, al bar non ricordo”.
Il 2 mattina Tiziano Renzi parla al telefono con il figlio Matteo. I magistrati lo marzo 2017 alle 9. 45 di – stanno intercettando nell’ambito dell’inchiesta Consip nella quale il padre dell’ex premier in quel momento è indagato per traffico di influenze con il “facilitatore” e amico Carlo Russo. Si tratta di una vicenda complicata, svelata dal Fatto Quotidiano e ignorata a lungo dalle altre testate, su un presunto caso di corruzione, traffico illecito di influenze e soffiate istituzionali in cui sono coinvolti un imprenditore napoletano, Alfredo Romeo; alcuni dirigenti della società di via Isonzo che si occupa di gran parte degli acquisti della Pubblica amministrazione; lo stesso Tiziano Renzi; alcuni uomini dell’Arma e l’attuale ministro dello Sport, Luca Lotti, ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio di marcata fede renziana.
L’INCHIESTA ha due filoni principali. Nel primo, Alfredo Romeo, ora in carcere, è accusato di aver corrotto un funzionario Consip. Mentre Carlo Russo e Tiziano Renzi sono accusati perché di concerto, sfruttando le relazioni esistenti tra il padre del neo segretario Pd e Luigi Marroni (amministratore delegato di Consip), si facevano promettere indebitamente da Romeo l’erogazione di somme di denaro mensili, come compenso per la loro mediazione verso Marroni in relazione allo svolgimento delle gare.
Nel secondo filone, invece, Lotti è accusato, insieme a degli ufficiali delle forze dell’ordine, di aver rivelato ad alcuni dirigenti della centrale acquisti che c’era un’indagine in corso nei loro confronti.
Quel 2 marzo padre e figlio conversano al telefono. Tiziano è stato convocato nella Capitale per il giorno successivo, il 3 marzo. Dovrà recarsi a Piazzale Clodio: alle tre del pomeriggio lo attende una coppia di pm. Paolo Ielo, enfant prodige del pool di Milano ai tempi di Mani Pulite, ora divenuto l’uomo forte della Procura di Roma di Giuseppe Pignatone. Da due mesi il procuratore aggiunto sta svolgendo le indagini sul caso Consip e ha arrestato da poco, con l’accusa di corruzione, proprio Alfredo Romeo. Al fianco di Ielo c’è la pm Celeste Carrano della Procura di Napoli, che ha avviato l’inchiesta e ha raccolto gran parte delle prove con i carabinieri del Noe (Nucleo Operativo Ecologico). Insieme, chi ha costruito l’azione penale e chi l’ha finalizzata, sentiranno la versione di Tiziano Renzi sui suoi rapporti con Romeo, con il “facilitatore” Carlo Russo nonché con l’amministratore delegato di Consip, Luigi Marroni.
Dall’invito a comparire notificatogli due settimane prima, il padre dell’ex premier ha scoperto di essere indagato per traffico illecito di influenze. Il figlio sa bene che per quel reato la pena prevista è molto blanda. La vera posta in gioco non è la reclusione fino a tre anni per il papà ma il destino politico del figlio. Per questo Matteo, dopo la lettura dei giornali, ha un diavolo per capello e quella mattina non ce la fa a trattenersi e chiama il padre, che è intercettato
L’attuale segretario del Pd ha appena letto l’intervista ad Alfredo Mazzei pubblicata su Repubblica. Il titolo annuncia tempesta:“Il teste e la cena nella bettola: ‘Il manager parlò di strategie con il padre di Matteo’”. La mano freme e si avvicina al cellulare. L’attacco del pezzo gli fa scendere un brivido lungo la schiena: “Una cena segreta. Un tavolo per tre. Tiziano Renzi, Alfredo Romeo e Carlo Russo. In una ‘bettola’ romana, il padre dell’ex premier, l’imprenditore accusato di una ‘sistematica offerta di corruzione’ e il rampante ‘facilitatore’ toscano amico del Giglio magico siedono insieme. E discutono di affari. Romeo li raggiunge ‘da un ingresso riservato attraverso il cortile di un palazzo’. L’incontro riservato dunque – scrive quel giorno il quotidiano diretto da Calabresi – ci fu. Un testimone eccellente ora racconta”.
È TROPPO. Matteo Renzi picchia le dita sullo schermo del suo iPhone. Se il padre ha incontrato Alfredo Romeo nel periodo in cui l’amico Carlo Russo contrattava un pagamento di 30 mila euro al mese per Tiziano con lo stesso Romeo, la cosa è grave. Matteo vuole capire. Il papà lo ha messo in una situazione che può costare la sua candidatura a premier.
Il pezzo è uscito su Repubblica, non sul Fatto Quotidiano. Stavolta il “rottamatore” no n può far finta di nulla e le rassegne stampa non possono ignorare la notizia come puntualmente hanno fatto per due mesi e mezzo con gli scoop del nostro giornale sulle indagini relative alle soffiate presunte di Lotti e dei carabinieri o sui pizzini di Romeo a Russo con i 30 mila euro per “T”, Tiziano Renzi, secondo gli inquirenti.
Stavolta tutti ne parleranno e l’ex premier non può girarsi dall’altra parte. Alfredo Mazzei, il testimone che tira in ballo Tiziano, Matteo lo conosce bene. È l’ex tesoriere del Pd della Campania, in ottimi rapporti con i fedelissimi del neo segretario: l’avvocato Alberto Bianchi e Maria Elena Boschi. Non è, dunque, solo un amico di Alfredo Romeo. Inoltre, quelle cose dette a Repubblica, Mazzei le ha già dette tre mesi prima ai pm. Non c’è da scherzare.
È Matteo che chiama al telefono il padre. Sa che rischia di essere intercettato e non a caso dice cose da manuale di educazione civica tipo: “Babbo devi dire tutta la verità ai magistrati”. Però qua e là nella conversazione esce fuori l’animo “familista” del leader del Pd. Come quando suggerisce di non rivelare che a un ricevimento con alcuni imprenditori era presente anche sua madre, Laura Bovoli. Durante la chiamata emerge chiaramente la sfiducia di Matteo verso Tiziano: il figlio teme che il padre possa mentire anche a lui. Non solo all’Italia e ai pm. Renzi in quel momento non è più premier né deputato. È solo un figlio infuriato con il padre che rischia di rovinargli la carriera politica.
Appena Tiziano risponde al telefono il figlio gli fa: “Non puoi dire che non conosci Mazzei perché lo conosco anche io”. Matteo Renzi è terrorizzato dall’interrogatorio che si terrà il giorno dopo a piazzale Clodio. Dice al padre che “è una cosa molto seria” e gli intima: “Devi ricordarti tutti gli incontri e i luoghi, non è più la questione della Madonnina e del giro di merda di Firenze per Medjugorje”.
Tiziano, che è devoto alla Madonna e crede nelle sue apparizioni, lo ferma: “Non devi dire così” ma il neo segretario del Pd in quel momento se ne frega del santuario, dell’Erzegovina e dei pellegrinaggi e pensa solo alle conseguenze politiche del caso Consip: “Stai distruggendo un’esperienza”, dice. Si capisce che non si fida del padre alla vigilia dell’interrogatorio:“Devi dire nomi e cognomi” gli intima e poi aggiunge che questa storia è delicata per lui perché“Mazzei è l’unico che conosco anche io”.
Poi Matteo arriva al dunque: “È vero che hai fatto una cena con Romeo?”. La risposta non è netta ma sibillina. I carabinieri nel brogliaccio annotano: “Tiziano dice di no e che le cene se le ricorda ma i bar no”. Cioè, Tiziano Renzi nega un incontro al ristorante (“la bettola”) come è stato riferito ai pm e ai giornali da Mazzei che a sua volta l’aveva appreso da Romeo in persona. Però, se il no sui ristoranti è netto, non lo è altrettanto quello su un possibile incontro con l’imprenditore campano in un bar.
LA TELEFONATA assume un tono drammatico e quasi edipico. Al figlio che gli ha appena detto che su questa storia rischia di chiudersi la sua esperienza politica, Tiziano non riesce a replicare con voce autorevole da padre: “Matteo ascolta: io non ho mai incontrato Romeo. Fidati”. No, Tiziano cincischia e fa davvero tenerezza ascoltare questo nonno di 65 anni con nove nipoti che si trova a rispondere all’interrogatorio del figlio 42enne rifugiandosi in corner nella distinzione tra i bar e i ristoranti. A questo punto Matteo gli dice: “Non ti credo”. Il leader Pd lo incalza e i carabinieri annotano: “Matteo gli dice che non crede che non si ricordi di avere incontrato uno come Romeo”. Tiziano è all’angolo tiene il punto e insiste: “Non me lo ricordo” poi però aggiunge: “L’unico può essere stato…”. Matteo lo interrompe e gli ribadisce la sfiducia: “Non ti credo e devi immaginarti cosa può pensare il magistrato. Non è credibile che non ricordi di avere incontrato uno come Romeo, noto a tutti e legato a Rutelli e Bocchino”.
Allora Tiziano si arrovella pensando al passato e dice che“quando lui ha fatto il ricevimento al Four Season c’erano una serie di imprenditori ma c’era anche Lalla (Laura Bovoli, madre di Matteo Renzi, nda) e siamo andati via subito”. Probabilmente Tiziano fa riferimento a un convegno al Four Season con esponenti del mondo delle imprese ai tempi delle primarie di fine 2012 contro Bersani. Ma Matteo non lo fa finire e gli dice:“Non dire che c’era mamma altrimenti interrogano anche lei”. (…) Matteo sa che quella del Four Season comunque non è una situazione legata all’indagine Consip e torna a chiedere: “Hai incontrato Romeo in un’altra situazione?”. Tiziano ancora una volta risponde che non ne ha memoria. A quel punto Matteo molla la presa e formula la sua fosca previsione sul destino di entrambi: “Andrai a processo, ci vorranno tre anni e io lascerò le primarie”.
TIZIANO si difende: “Se non me lo ricordo non posso farci nulla”. Matteo con tono beffardo gli dice di continuare a dire che è andato da Luigi Marroni per la storia dell’installazione della Madonnina all’ospedale Meyer e che Carlo Russo è solo un padrino di battesimo. Però poi aggiunge freddo: “Io non voglio essere preso in giro e tu devi dire la verità in quanto in passato la verità non l’hai detta a Luca e non farmi aggiungere altro. Devi dire se hai incontrato Romeo una o più volte e devi riferire tutto quello che vi siete detti”.
Dopo l’invito a non dire della mamma, Matteo torna però istituzionale in chiusura di telefonata: “Non puoi dire bugie o non mi ricordo e devi ricordarti che non è un gioco”. Poi chiede a che ora vedrà l’avvocato Bagattini e Tiziano dice “ora”. Matteo ribadisce: “Digli tutta la verità”. Poi lo saluta e attacca.
di Marco Lillo
Il Fatto Quotidiano, 16 maggio 2017.
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Ong e migranti, Travaglio su Zuccaro: “I politici prima lo chiamano per capire, poi gli dicono stai zitto”
05/05/2017 – “Il problema dell’immigrazione non si risolverà con l’inchiesta del pm di Catania Carmelo Zuccaro” – Così il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio a Otto e mezzo (La7), commenta il clamore suscitato dall’intervista del pm catanese. “I politici chiamano i procuratori per farsi spiegare quel che succede nel mediterraneo, poi quando il magistrato parla gli dicono di stare zitto, di parlare solo con gli atti.
Il procuratore” – prosegue Travaglio – “Ha semplicemente detto che è in possesso dei rapporti di Frontex, in cui si evidenzia un crollo di richieste alle capitanerie di porto perché gli scafisti chiamerebbero direttamente alcune Ong, mettendosi d’accordo. Se adesso i trafficanti non si bagnano nemmeno i piedi perché dalla Libia chiamano l’Ong e a poche miglia c’è la consegna del carico, succede che il traffico rimane intoccabile e impossibile arrestare gli scafisti”
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Travaglio svergogna i politici sul caso ONG: “Sembrano cretini da bar”
29/04/2017 – In questa politica di cretini da bar sport, dove ogni problema serio diventa subito un derby tra partito dei vaccini e partito dei virus, partito delle guardie e partito dei ladri, partito dell’Europa e il partito anti-Europa, ora abbiamo pure il partito delle Ong e il partito degli affogatori, cui corrispondono il partito della Procura di Catania e il partito anti. Mai che i nostri politici riescano a prendere una posizione equilibrata a partire dai fatti (come ha fatto ieri anche l’Osservatore Romano) e ad agire di conseguenza. Le organizzazioni non governative sono impegnate in una gran varietà di attività, spesso supplendo alle lacune e alle latitanze dei governi. I quali sono ben felici di finanziarle per fare i lavori, spesso ingrati, che essi non possono o non vogliono fare.
Tra questi, il salvataggio dei migranti nel Mediterraneo che, dopo la frettolosa chiusura di Mare Nostrum a vantaggio dello sciagurato Frontex, è stato sottratto per motivi di bilancio ai governi ed esternalizzato: cioè subappaltato alle Ong, con le Guardie costiere ridotte a dirigere il traffico. Tra le Ong c’è di tutto: organizzazioni serie e meritorie, come Medici senza frontiere, Save the children e molte altre, e qualche congrega di furbastri che nessuno può escludere si tuffino a capofitto nel business dei migranti per marciarci e mangiarci, magari in combutta con gli scafisti – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano nell’editoriale di oggi 29 aprile 2017, dal titolo “Il derby dei cretini”.
È già accaduto con le cooperative “sociali” incistate nel lucrosissimo giro dei centri di accoglienza: una gallina dalle uova d’oro che, secondo le accuse della Procura di Roma (confermate da confessioni, condanne e patteggiamenti), consentiva ai soliti noti di “trarre profitti illeciti immensi”. Lo diceva alla sua segretaria, nei suoi karaoke telefonici, il ras della coop rosso-nera 29 Giugno, Salvatore Buzzi: “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”. Se questo avveniva a valle, dopo l’arrivo dei migranti sul suolo italiano, non ci sarebbe nulla da meravigliarsi se avvenisse anche a monte, durante il trasporto dei disperati dalla costa libica alla nostra. È quello che ipotizza la Procura di Catania (ma anche di Trapani e altre città siciliane), divulgate dal capo Carmelo Zuccaro. Il quale dispone anche di intercettazioni dei nostri servizi segreti, legittime per legge a scopo preventivo, ma inutilizzabili (non essendo disposte da un giudice) a fini processuali. Per questo il procuratore ne ha parlato, senza violare alcun segreto investigativo – pare non ci siano indagati e, anche se ci fossero, non sono stati rivelati – nell’ambito della doverosa “leale collaborazione fra poteri dello Stato”.
Quando un pm scopre una grave disfunzione amministrativa o un fenomeno che può danneggiare lo Stato, è bene che lo segnali alle autorità politiche che possono intervenire: poi, per gli eventuali reati, vedrà lui. I tempi, gli ambiti e i poteri della giustizia penale sono del tutto incompatibili col pronto intervento su un pericolo incombente. Se un vigile nota un’auto in divieto di sosta che sta bruciando accanto a una pompa di benzina, anziché perder tempo a compilare la multa chiama i pompieri per spegnere l’incendio. Idem per l’allarme di Zuccaro, pienamente giustificato dal potenziale pericolo, anzitutto per la vita dei migranti: se lo scafista sa di poterli rifilare dopo qualche chilometro alla nave di un’Ong, userà natanti sempre più insicuri e adotterà ancor meno precauzioni per la loro incolumità. Il tutto approfittando di quel gigantesco Far West che è il Mediterraneo, terra di tutti e di nessuno per l’inerzia dei governi europei e dell’inesistenza di quello libico (il regime-fantoccio di Serraj tenuto in piedi dalla finzione internazionale e neppure in grado di stipendiare la sua guardia costiera, che sbarca il lunario nei modi più strani). Se poi risulta da intercettazioni (utilizzabili o meno conta poco: contano i fatti) che alcune Ong e alcuni scafisti comunicano telefonicamente per passarsi la staffetta, parlare di accuse e sospetti infondati è ridicolo. Così come aprire pratiche al Csm sul magistrato che lancia l’Sos, invitarlo a “parlare con gli atti” (campa cavallo), accusarlo di criminalizzare le Ong, cioè intimargli il silenzio per continuare a ignorare il problema.
Delle due l’una: o Zuccaro è un folle che s’inventa fatti inesistenti, e allora il Csm che l’ha appena nominato procuratore di Catania dovrebbe trasferirsi in blocco in un reparto psichiatrico assieme a lui; oppure qualcuno dovrebbe occuparsi dei fatti che denuncia. Non delle ipotesi di reato, che spetterà ai giudici valutare. Ma di un fenomeno preoccupante in cui s’è imbattuto nelle sue indagini, ma che non spetta a lui bloccare. Le Ong (a parte quelle che si scoprissero implicate in traffici o finanziamenti criminali) si propongono di salvare vite a ogni costo, anche a costo di violare qualche regola. Specialmente quelle composte da medici, che rispondono al giuramento di Ippocrate prim’ancora che al Codice penale. Ma gli Stati e i governi (stavamo per dire l’Europa, poi ci è scappato da ridere) devono fare le leggi e poi farle rispettare. E la gestione di migrazioni bibliche da un capo all’altro del Mediterraneo spetta a loro, non a organizzazioni benemerite finché si vuole, ma pur sempre private. C’è un Parlamento? Indaghi. Abbiamo un governo? Acquisisca gli elementi dei suoi servizi segreti, se non vuole ascoltare i pm (peraltro già auditi a Catania da una delegazione del Parlamento Ue) e agisca di conseguenza. Corridoi umanitari? Ritorno a Mare Nostrum? Taglio dei fondi alle Ong opache? Centri di raccolta e smistamento dei profughi sulle coste libiche cogestiti da Tripoli e Roma? Decidano loro: li paghiamo apposta. Ma, se un pm indica la luna in fondo al mare, non provino più a mozzargli il dito. (di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) Articolo completo sul Numero di oggi.
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TRAVAGLIO: “Per evitare di tornare alle urne o i 5Stelle si alleano con il PD o con la Lega”
22/04/2017 – Su un’alleanza PD – M5S alle prossime elezioni, il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio, è possibilista.
Intervenendo sulla domanda di Lilli Gruber a Otto e mezzo su La7, il direttore spiega le ragioni auspicate dal filosofo Massimo Cacciari e dal costituzionalista Gustavo Zagrebelsky: “Dato che nel polo di centrodestra c’è Berlusconi disponibile a governare col PD, col rifiuto della Lega e della Meloni, senza per questo avere i voti sufficienti per governare, l’unica soluzione per evitare di ritornare alle urne, è un’alleanza dei 5 stelle o con il PD o con la Lega”. Travaglio sottolinea le divergenze tra i 5stelle e il partito di Salvini, in quanto il movimento di Grillo è molto più forte al sud. Pertanto l’alleanza potrebbe produrre un forte ridimensionamento del numero dei deputati: “Io non me lo vedo Fico o Di Maio che fanno un’alleanza con Salvini che li tratta come dei cani che puzzano. L’alleanza col PD è difficilissima, visto che se ne dicono di tutti i colori ma soprattutto ci sono molte divergenze programmatiche, ma non così ampie come col centrodestra.
Adesso – conclude il direttore – se vogliono provare seriamente a governare seguire il suggerimento di Zagrebelsky: dire prima delle elezioni ‘Noi vogliamo fare queste 10 cose. chi ci sta? Se Renzi torna ad essere quello delle origini, ci potrebbero essere dei punti d’intesa”
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CONSIP E LE ACCUSE. L’INTERVISTA CHE HA FATTO INFURIARE TUTTO IL PD: ECCO L’INTERVENTO SOTTO PROCESSO
15/04/2017 – Marco Travaglio a Otto e mezzo – #RenziConsip. Non ho avuto paura delle cause che mi ha fatto Berlusconi, Previti, Dell’Utri, figuriamoci se ho paura di un teppistello e la sua famiglia.
«L’UNICA COSA CHE NON MI FA PAURA OVVIAMENTE SONO LE QUERELE E LE CAUSE CIVILI, SONO TALMENTE ABITUATO COME TUTTI I GIORNALISTI CHE FANNO QUESTO MESTIERE CON LA PENNA E NON CON LA LINGUA! NON HO AVUTO PAURA DELLE CAUSE CHE MI HA FATTO BERLUSCONI, CHE MI HA FATTO PREVITI, CHE MI HA FATTO DELL’UTRI, FIGURIAMOCI SE HO PAURA DELLE CAUSE CHE MI FA QUESTO #TEPPISTELLO E LA SUA FAMIGLIA .. !»
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