Ambiente e salute

LA GRANDE TRUFFA DEI SERVIZI TELEFONICI

By admin

February 20, 2015

Sono dieci milioni gli italiani che utilizzano servizi aggiuntivi via internet dal proprio smartphone. Il 4 per cento di loro non ha mai chiesto di farlo, ma si è ritrovato abbonato al prezzo di centinaia di euro alle offerte più strane, dal porno alle suonerie. Come può accadere? E soprattutto chi ci guadagna? L’Antitrust e l’Agcom hanno multato le compagnie telefoniche per 5 milioni, ma l’inganno continua grazie ad app che si autoinstallano sul telefono e al ruolo del “publisher”, ovvero chi gestisce la pubblicità con società basate spesso all’estero.

Ci sono quattro modi con cui ci possono truffare facendoci pagare decine o centinaia di euro per servizi non richiesti sul cellulare. Le vittime di questa megatruffa nel 2014 sono state circa 500mila, ma il problema riguarda potenzialmente 10 milioni di italiani per un giro di affari di 800 milioni di euro all’anno e in continua crescita.

Sono il riflesso negativo del boom congiunto di smartphone, app e internet mobile. Gli utenti infatti vengono abbonati automaticamente dopo aver usato applicazioni o navigato su pagine web via cellulare. Può capitare anche su siti e app normalissimi: il pericolo è infatti contenuto in pubblicità di terze parti, che può apparire ovunque. Abbonamenti carissimi – 5 euro a settimana – per cose che spesso si trovano gratis. E che quindi è molto raro che l’utente voglia pagare consapevolmente: giochi, contenuti erotici, suonerie. C’è chi si è ritrovato abbonato a più servizi e l’ha scoperto solo a mesi di distanza, dopo aver letto, con stupore, la bolletta.

Chi ha cercato di contattare il proprio operatore, per spiegazioni ed eventuali rimborsi, il più delle volte ha incontrato un muro di gomma. “Non dipende da noi, il servizio è di altri”. “Persino: i soldi non vanno a noi”, quando invece dietro queste attività c’è un business che coinvolge tanti soggetti, operatori compresi, come l’hanno ricostruito le due autorità Antitrust e Agcom nei giorni scorsi. La prima, con una multa totale di 5 milioni di euro ai quattro operatori mobili. La seconda, con una bozza di delibera che stabilisce nuove regole a tutela dell’utente e che andrà in vigore in primavera.

Tra le righe della decisione Antitrust si legge, in particolare, che all’operatore va dal “30 al 60 per cento” dei costi di abbonamento. Ma tra i soggetti in gioco non ci sono soltanto il gestore telefonico e la società che fornisce il servizio. Ce n’è anche un terzo, a quanto appurato dalle indagini fatte da Agcom (con la Polizia Postale): il cosiddetto “publisher”. È l’azienda che mette la pubblicità – di quei servizi – sui siti normali per conto del network pubblicitario. Il più delle volte è proprio il publisher il vero colpevole dell’inganno. Questo è un elemento nuovo, mai emerso finora. “A compiere l’illecito a volte è solo il publisher, azienda che ha spesso sede in Paesi extra europei e quindi non è perseguibile facilmente. Il fornitore del servizio può esserne o no complice”, spiega una nostra fonte.

Il giro d’affari di 800 milioni di euro è una stima del Politecnico di Milano per il mercato “mobile vas” (value added services), mentre Agcom ha appurato che sono circa 10 milioni gli italiani che hanno avuto questi addebiti. Certo, è impossibile stabilire quanti di questi siano stati truffati e quanti abbiano in effetti richiesto i servizi. Ma la percentuale delle contestazioni (sempre su dati Agcom) è molto alta: il 4 per cento. A questo bisognerebbe sommare coloro che, per via dei piccoli importi, non hanno protestato o che non si sono nemmeno accorti del problema. Già, perché le bollette degli operatori mobili tendono a nascondere questi abbonamenti in altre voci: è una delle cose che la delibera Agcom vuole correggere, imponendo più trasparenza in bolletta.

L’inganno, di per sé, può avvenire in molti modi. Noi ne abbiamo individuati quattro. Il primo è banale: la pubblicità o la pagina di attivazione (a cui si accedere con un clic – volontario o no – sulla pubblicità) contiene informazioni ingannevoli. Non dice con chiarezza che c’è un costo o che cliccando l’utente viene abbonato. Dal secondo al quarto si entra invece nel regno di trucchi che hanno molto a che fare con la pirateria informatica. È possibile ingannare l’utente attraverso banner invisibili, nascosti in una pagina di un sito qualunque o su una app.

Noi clicchiamo sullo schermo, normalmente, per lo scrolling della pagina e non sappiamo di aver cliccato sulla pubblicità, che fa poi aprire un’altra pagina dove si attiva all’abbonamento. Qui servirebbe un secondo clic dell’utente, per conferma, ma può entrare in gioco la casualità (con i touchscreen sono facili i clic involontari) oppure altri trucchi. Agcom ha scoperto che alcune pubblicità o alcune pagine dei servizi riescono a trovare da soli i codici informatici corrispondenti al clic. Noi non facciamo niente ma la pagina invia lo stesso l’informazione “l’utente ha fatto un clic”, simulandolo nel linguaggio informatico. Il quarto metodo richiede invece un malware, che si è installato sul nostro sul cellulare, in modo da obbligarlo a fare questo famigerato clic. Alcuni, sofisticati, fanno apparire la pagina del servizio ogni volta che l’utente riceve una telefonata. Noi portiamo all’orecchio il telefono, senza sapere che si è aperta da sola la pagina con il tasto “abbonami” e involontariamente ci clicchiamo con la guancia o l’orecchio.

Dopo questo clic, il fornitore del servizio contatta l’operatore mobile, che gli fornisce il numero di telefono dell’utente, su cui può avvenire l’addebito. Tutto in automatico. È su questo passaggio di informazioni che si sono concentrate le nuove decisioni dell’Antitrust e di Agcom. Per la prima volta hanno messo in discussione la liceità di questa prassi degli operatori, che mai hanno chiesto all’utente l’autorizzazione per fornire a terzi il numero (sebbene questa informazione viaggi in forma anonima). Insomma, l’Antitrust accusa gli operatori non solo di non aver tutelato abbastanza gli utenti; ma – ed è la novità dell’ultima decisione – di aver messo in piedi un sistema che di per sé è lesivo dei nostri diritti. Agcom va nella stessa direzione: chiede, nella delibera, che gli operatori permettano l’addebito del servizio solo se l’utente scrive il proprio numero di telefono sulla pagina relativa. Mai più clic, mai più passaggi di numeri, quindi.

Contattati da Repubblica, gli operatori si giustificano nelle stesso modo: assicurano di aver attivato sistemi di tutela dell’utente, per controllare che i clic di attivazione siano consapevoli. Ma, a quanto pare, non basta, secondo le due autorità. La battaglia non è finita, tutt’altro. Adesso comincia il bello. “Non è detto che Agcom riuscirà a imporre il nuovo sistema agli operatori, dato che equivale a stravolgere i meccanismi di un mercato, tutelato dalle specifiche del decreto Landolfi del 2005″, dice Marco Pierani, responsabile dei rapporti istituzionali di Altroconsumo. Che adesso lancia la campagna “rimborso di massa” per gli utenti frodati. La stessa Agcom sta mettendo in piedi un sistema per facilitare i rimborsi.

Chissà se gli operatori saranno davvero disposti a concedere i rimborsi. E se rinunceranno a combattere la delibera Agcom andando fino al Tar del Lazio. E non è nemmeno scontato che sarà sufficiente l’obbligo ad attivare i servizi solo a fronte del numero di telefono dell’utente. I truffatori potrebbero inventare trucchi per carpirlo in automatico dal cellulare. Il numero di telefono è infatti una delle informazioni che un cellulare e le sue app comunicano in rete durante la navigazione. Partiamo comunque da una situazione in cui siamo alla quasi totale mercé dei truffatori. Ad oggi infatti il solo rimedio che abbiamo di tutelarci è chiedere agli operatori di impedire qualsiasi servizio a valore aggiunto sul proprio numero. Ma così blocchiamo anche i servizi desiderati. Come quelli con cui la banca ci avvisa via sms per l’uso della carta di credito. Una cosa è certa: per la prima volta, il vaso di Pandora di questi servizi è stato scoperchiato dalle autorità. Adesso bisognerà vedere se si avrà la forza (e il coraggio) di andare fino in fondo, a tutela degli utenti. FONTE