Ambiente e salute

Napoli. L’ultima lettera di Marcello D’Orta: «È colpa dei rifiuti se ho il cancro. Combatto con la scrittura»

By admin

November 19, 2013

«Il Paradiso me lo immagino come un grande vicolo di Napoli. Però con il mare e pieno di sole». Così il maestro-scrittore Marcello D’Orta, morto oggi dopo una lunga battaglia contro il cancro, ha parlato dell’Aldilà nel suo ultimo libro “Cuore di Napoli” (Rogiosi), in libreria da qualche giorno.

Forse l’autore di “Io speriamo che me la cavo” sentiva avvicinarsi il momento della fine, che combatteva a suon di scrittura. Davvero prolifica, negli ultimi tempi, la sua produzione: da un libro su Leopardi fino a uno sui favolosi anni ’60. Non si è mai risparmiato, scrivendo fino all’ultimo giorno.

Le parole, la passione per la narrativa, come traccia di eternità sulla terra, un “amuleto” contro il male. «Penso di aver trovato l’antidoto giusto – spiegò D’Orta in una lunga, commovente, lettera inviata a “Il Giornale” poco più di un anno fa -. Scrivere, scrivere, scrivere… Troppi libri in un anno? Forse».

D’Orta si è sempre battuto per fornire agli occhi dell’Italia un’immagine positiva della sua città, parlando di sogni e speranze, di sentimenti e di idee; uniche cose in grado di “sconfiggere” la camorra e altri mali. Come quello dei rifiuti, che il maestro ha visto direttamente proporzionale all sua malattia. «Quando, alcuni mesi fa, mi fu diagnosticato un tumore, il primo pensiero fu: la monnezza – scriveva nella sua lettera al Giornale -. È colpa, è quasi certamente colpa della monnezza se ho il cancro. Donde viene questo male a me che non fumo, non bevo, non ho – come suol dirsi – vizi, consumo pasti da certosino? Mi ricordai, in quei drammatici momenti che seguirono la lettura del referto medico, di recenti dati pubblicati dall’Organizzazione mondiale della sanità, secondo cui era da mettersi in relazione l’aumento vertiginoso delle patologie di cancro con l’emergenza rifiuti. Così sono stato servito: radiochemioterapie, due interventi chirurgici, altro, tant’altro. A chi devo dire grazie? Certamente alla camorra. {googleAds}

{/googleAds} I rifiuti si accumulano perché la camorra impedisce di raccoglierli, sabota gli impianti di raccolta, fa scioperare i netturbini, corrompe i funzionari dei controlli. Da noi la monnezza ha dimensioni ciclopiche. È stato calcolato che messi in fila, i sacchetti dell’immondizia arrivano da Napoli a Mosca, coprono 17 campi di calcio, riempiono 12 Empire State Building (…) Il tumore contro il quale combatto rischiava di piegare la mia dignità, di rendere buie le mattine che si aprono davanti alla mia finestra, nella mia casa del Vomero. Buie come quelle che spesso quando ero piccolo, nel Vico Limoncello, nel cuore della città antica, vivevo come un incubo… Ma a quei tempi c’era un motivo fisico. Nel senso che la stradina era così stretta che la luce del sole non filtrava e in una famiglia con dieci componenti era anche complicato conquistarselo lo spazio. Ora rischio di non vederla più perché il male è duro da combattere (…). Ma la scrittura è la mia vita. Quella che l’anno scorso stava per lasciarmi. Basterà? Credo di sì. Perché per la malattia fisica possono, quando possono, qualcosa i medicinali. Per il male dell’anima la scrittura può essere un ottimo farmaco». Fonte