Politca

Pubblicità ingannevole per politici menzogneri

By admin

November 21, 2013

Il famoso finanziamento pubblico ai partiti, istituito nel lontano 2 maggio 1974*, data in cui venne con la legge Piccoli n.195 del 2 maggio 1974. Tale legge interpretò il sostegno all’iniziativa politica come puro finanziamento alle strutture dei partiti presenti in Parlamento, con l’effetto di penalizzare le nuove formazioni politiche. La proposta venne effettuata da Flaminio PIccoli della Dc e la norma venne approvata in soli 16 giorni con il consenso di tutti i partiti tranne il Partito Liberale Italiano.

La nuova norma era stata giustificata dagli scandali Trabucchi del 1965, e petroli del 1973. Dopo i due scandali il Parlamento con la legge Piccoli voleva rassicurare l’opinione pubbkica che, attraverso il sostentamento diretto dello Stato, si sarebbe finalmente scongiurato il rischio di collusione e corruzione da parte di lobbies e grandi interessi economici. L’intento originario del finanziamento pubblico quindi fu proprio quello di evitare che i partiti politici finissero per venire strumentalizzati dalle lobbies di potere. Da qui il divieto per i partiti di percepire finanziamenti da strutture pubbliche e anche l’obbligo di pubblicità di iscrizione a bilancio dei finanziamenti provenienti dai privati. Nel 1974 il PLI tentò di raccogliere le firme per un referendum abrogativo della norma, ma non riuscì a trovarne in numero sufficiente e non se ne fece nulla.

Nel 1978 si tenne finalmente il referendum indetto dai Radicali per l’abrogazione della legge 195/1974. Nonostante l’invito a votare “no” da parte di tutti i partiti, il “si” raggiunse il 43,6%, un successo straordinario ma che non servì ad approvare il referendum. Nel 1980 una proposta di legge voleva introdurre il raddoppio del finanziamento pubblico ma venne messa da parte quando scoppiò lo scandalo Caltagirone, una brutta storia di finanziamenti elargiti da imprenditori a politici e partiti. Le prime modifiche arrivarono però con la legge n.659 del 18 novembre 1981 che introdusse il raddoppio dei finanziamenti pubblici, il divieto per partiti e politici di ricevere finanziamenti dalla pubblica amministrazione e da enti pubblici, e infine l’inroduzione di una nuova forma di pubblicità per i bilanci, ovvero che i partiti da quel momento poi avrebbero dovuto depositare un rendiconto finanziario annuale su entrate e uscite.

Si arriva quindi alla storia recente, con il referendum abrogativo promosso dai Radicali nell’aprile 1993 che ha visto il 90,3% devi voti a favore dell’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti. Erano altri tempi, i tempi di Tangentopoli, egià allora la fiducia degli italiani nei confronti della politica era ai minimi termini. Nello stesso dicembre 1993 il Parlamento aggiornò, con la legge n.515 del 10 dicembre 1993, la legge esistente sui rimborsi elettorali, definiti “contributo per le spese elettorali”, e venne applicata subito in occasione delle elezioni del 27 marzo 1994. Nemmeno tre anni dopo però, con la legge n.2 del 2 gennaio 1997, il finanziamento pubblico ai partiti venne de facto reintrodotto. Tra le altre cose questo provvedimento prevedeva la possibilità per i contribuenti al momento della dichiarazione dei redditi, di destinare il 4 per mille dell’imposta sul reddito al finanziamento di partiti e movimenti politici., per un massimo di 56.810.000 euro. Il ricorso subito presentato dai Radicali non venne però accettato dalla Corte Costituzionale.

Ci pensò poi la legge n.157 del 1999 a reintrodurre a pieno titolo le nuove norme in materia di rimborso delle spese elettorali e un finanziamento pubblico completo per tutti i partiti politici. Fu qui che passò infatti il concetto che il rimborso elettorale previsto non dovesse necessariamente avere attinenza diretta con le spese effettivamente sostenute per le campagne elettorali. La legge 157 sarebbe poi entrata ufficialmente in vigore con le elezioni politiche italiane del 2001. Infine le disposizioni successive avrebbero trasformato in annuale il fondo e avrebbero abbassato dal 4 all’1% il quorum per ottenere il rimborso elettorale.

La riforma del 2012 : la legge 96

Bisogna evidenziare che nel marzo 2012 il GRECO (GRoups d’Etats contre la COrruptions/Group of States against Corruption), un organismo formatosi in seno al Consiglio d’Europa per aiutare gli Stati aderenti nella lotta contro la corruzione, ha redatto un “Rapporto di valutazione sulla trasparenza del finanziamento dei partiti politici” nel quale si sono sottolineate varie storture nel sistema italiano di finanziamento della politica.

Il 6 luglio 2012 è stata definitivamente approvata la legge recante “Norme in materia di riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti e dei movimenti politici, nonché misure per garantire la trasparenza e i controlli dei rendiconti dei medesimi (…)”. Una delle novità introdotte è l’intento di adottare un “testo unico” in materia, sebbene questo non sia un fatto inedito considerando che già l’art.8 della l. 157/1999 conteneva una delega analoga al governo (mai attuata).

La legge 96, oltre a ridurre con effetto immediato a 91 milioni di euro l’ammontare del finanziamento pubblico (rispetto agli 182 milioni previsti), ha introdotto un criterio-base rigido e non più variabile, distinguendo il contributo pubblico in una sorta di “doppio binario”, perché separa il contributo come “rimborso” delle spese per le consultazioni elettorali e quale “contributo” per l’attività politica, dal contributo “a titolo di cofinanziamento”, assegnando rispettivamente il 70% ed il 30% dei 91 milioni di euro complessivamente previsti.

Riguardo il primo “tipo” di finanziamento (ovvero il “rimborso” più “contributo”), la riforma mantiene i 4 fondi (elezioni di Camera, Senato, Europarlamento e Consigli regionali) con assegnazione di 19,5 milioni di euro per ciascun fondo, e chiedendo quale requisito semplicemente il candidato eletto, eliminando la soglia dei voti validi. E’ rimasto inalterato, invece, il criterio di ripartizione delle somme tra le varie liste. Particolare è, poi, la riduzione sanzionatoria del 5% dell’ammontare di finanziamento per le liste aventi diritto alle somme che abbiano più di 2/3 dei candidati dello stesso sesso.

Riguardo il secondo “tipo” di finanziamento (ovvero il “contributo a titolo di cofinanziamento”), invece, per ciascuno dei 4 fondi sono assegnati 6,285 milioni di euro. Per questo finanziamento, però, i criteri cambiano perché le liste hanno diritto ad esso non solo se ottengono il candidato eletto, ma pure se ottengono il 2% dei voti validi conseguiti nell’elezione della Camera, a prescindere dall’elezione alla quale si fa riferimento. Riguardo il “quantum”, ciascun partito avente diritto a questa forma di finanziamento ottiene la metà delle somme acquisite annualmente tramite le quote associative e le erogazioni liberali, ponendo però come massimo computabile 10.000 euro per ciascun contributo. Altri limiti concernono, poi, le somme in relazione ai voti ottenuti, infatti la formazione politica può, in valore percentuale al fondo di riferimento, ottenere un rimborso massimo proporzionale al numero di voti validi conseguiti nell’ultima elezione. Per incentivare la contribuzione ai partiti, peraltro, si sono aumentate le “detrazioni per oneri” al 24% per l’Irpef, con una previsione al 26% per l’anno 2014. Tuttavia deve precisarsi che al fine di beneficiare delle detrazioni è necessario che l’erogazione sia effettuata in favore di un partito rispondente a determinati requisiti.

Tornando all’impalcatura generale della legge, una delle maggiori novità della riforma è la previsione secondo la quale le formazioni politiche che hanno diritto al finanziamento debbano dotarsi di un “atto costitutivo” e di uno “statuto” da trasmettere in copia ai Presidenti di Camera e Senato entro 45 giorni dall’elezione. Essi debbono indicare l’organo competente ad approvare il rendiconto, il soggetto responsabile della gestione economico-finanziaria. Non solo. La norma impone che tali atti debbono essere conformati a principi democratici nella vita interna, con particolare riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e ai diritti degli iscritti.

La riforma ha poi rimodellato l’obbligo di rendicontazione (già esistente a partire dal 1974) per tutti i partiti che abbiano conseguito almeno un rappresentante tra Camera, Senato, Europarlamento e Consigli regionali, ovvero che (pur non avendo alcun candidato eletto) abbiano ottenuto almeno il 2% dei voti validi nelle elezioni per il rinnovo della Camera dei Deputati. La riforma ha previsto pure che gli stessi partiti debbano avvalersi, per il rendiconto, di una società di revisione iscritta nell’apposito albo speciale della CONSOB, tenuta al rispetto della disciplina generale di cui al d.lgs 39/2010, che effettua una verifica di regolarità più specifica, superando l’impostazione precedente che riteneva sufficiente l’avvalimento di revisori dei conti, tenuti peraltro ad una sottoscrizione semplice del contenuto del rendiconto senza ulteriori specificazioni. La legge 96/2012, inoltre, impone la pubblicazione sul sito Internet del partito del “rendiconto d’esercizio” (e del relativo verbale d’approvazione), degli allegati e della relazione della società di revisione. Va precisato che, comunque, continua ad effettuarsi il controllo della Corte dei Conti (previsto sin dalla legge 515/1993) sui consuntivi relativi a spese e contribuzioni per la campagna elettorale per il rinnovo di Camera e Senato.

L’art.9 della legge, inoltre, istituisce la “Commissione per la trasparenza e il controllo dei bilanci dei partiti e dei movimenti politici” con il compito di controllare i suddetti rendiconti. Essa è andata a sostituire il “Collegio dei revisori”, che ha cessato di svolgere le sue funzioni il 31 ottobre 2012. Rispetto al controllo “formale” che svolgeva quest’ultima, la nuova Commissione verifica la “conformità delle spese effettivamente sostenute e delle entrate percepite alla documentazione addotta a prova delle stesse” (cfr. art.9, comma quinto). La legge, inoltre, associa un catalogo sanzionatorio-amministrativo all’inosservanza degli obblighi prescritti. Questa riforma ha in un certo senso “spinto” le due Camere (sebbene non obbligate) a rivedere i propri Regolamenti e ad imporre l’obbligo di rendiconto anche ai “gruppi parlamentari”, sebbene con un certo ritardo del Senato della Repubblica rispetto a quanto accaduto alla Camera dei Deputati.

Un’altra novità della riforma è stata quella di abbassare a 5000€ (che era stato innalzato, nel 2005, per i contributi ai partiti a 50000€) l’importo al di sopra del quale scatta l’obbligo di “dichiarazione congiunta” da depositarsi presso la Camera dei Deputati per i contributi privati a partiti o candidati (per questi l’importo era 20000€), e ampliato il novero dei soggetti che non possono finanziare partiti o loro articolazioni, modificando la legge 195/1974.

Oggi dopo i recenti scandali si richiede da più parti a gran voce l’abolizione dei finanziamenti pubblici, ritenuti ormai un lusso vero e proprio in un periodo di crisi economica così devastante. Solo il M5S Presente in parlamento con 163 tra deputati e Senatori si è opposto con fermezza e determinazione, dimostrando coi fatti, con campagne elettorali a costo zero, rinunciando totalmente a 42 milioni di euro di rimborsi elettorali previsti. E con le donazione ricevute dai cittadini simpatizzanti hanno addirittura donato quasi mezzo milione di euro ai terremotati dell ‘abruzzo. Mentre i pariti di maggiornaza continuano con vistosi sprechi sotto gli occhi dei cittadini, nonostante la volontà popolare del 92% dell’ultimo referendum, reintroducono sotto falso nome “rimborsi elettorali”, il finanziamento pubblico ai partiti per mantenere in piedi inutili sedi di partito alimentando l’ira del cittadino contribuente, con vergognose appelli, l’attuale governo Letta pur di usufruire gli ultimi finanziamenti promette di abolire i rimborsi elettorali entro il 2017. admin