Ambiente e salute

La paura fa 90, anche se rapporti USA ammettono che sono “mattoni volanti”

By admin

November 23, 2015

20/11/2015 – 90 cacciabombardieri F35 alla modica cifra di 13 miliardi di euro. Nonostante le polemiche civili e politiche e le mozioni parlamentari, il Governo Renzi ha ancora una volta deciso di fare di testa propria, confermando le previsioni di spesa annunciate in passato, ma anche l’ormai celeberrima coerenza del Presidente del Consiglio che nel giugno 2012 dichiarava puntualmente su Twitter: «Continuo a non capire perché buttar via così tanto sulle spese militari, a partire dalla dozzina di miliardi necessari a comprare i nuovi F-35. Anche basta, dai»…

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Oltre che sul limite sul contante, su IMU e Tasi, sull’articolo 18 e via dicendo, il Premier ha cambiato idea anche sulla Difesa, ma la cosa ormai non fa più notizia.

La conferma arriva direttamente dalla Legge di Stabilità 2016 attualmente in discussione alla Camera. Dispersa tra le centinaia di pagine gli innumerevoli allegati della Finanziaria c’è infatti una tabella molto particolare che ribadisce lo stanziamento delle risorse stabilite nel 2012, ignorando la mozione del Parlamento datata settembre 2014 che impegnava l’Esecutivo a dimezzare la spesa prevista per l’acquisto dei caccia militari da 13 a 6,5 miliardi di euro.

Nel dettaglio, consultando le pagine 618 e 619 dello “Stato di previsione del Ministero della Difesa per l’anno finanziario 2016 e per il triennio 2016-2018” è possibile visionare la tabella XI allegata al ddl Stabilità che fornisce il budget aggiornato al 2 luglio dell’anno in corso ( in riferimento alla situazione di consuntivo al 31 dicembre 2014, ) riguardante il programma Joint Strike Fighter, acronimo JSF. Alla voce “onere globale previsto” per il piano F35 troviamo infatti una cifra che non lascia spazio a dubbi, 12 miliardi e 356 milioni di euro, di cui 10 miliardi e 139 milioni per “acquisizione seconda chiamata”, vale a dire per la fase di sviluppo, produzione e supporto degli F35. A questi si aggiungono poi i 500 milioni relativi ai lavori di predisposizione di basi dell’Areonautica Militare e altre infrastrutture: Totale quasi 13 miliardi di euro appunto.

Insomma rispetto al 2012, anno in cui l’allora ministro della Difesa Di Paola aveva deciso di ridurre il numero di aerei da acquistare da 131 a 90 suddividendo il denaro stanziato fino al 2027 non è cambiato assolutamente nulla.

Una scelta che però non sorprende dati i reiterati silenzi e le dichiarazioni evasive rilasciate nel corso degli anni dai vertici di Governo e Difesa e che rendono difficile una ricostruzione precisa dei fatti.

Pochi sanno che il programma Joint Strike Fighter risale infatti al 1996, quando l’allora ministro Beniamino Andreatta (Governo Prodi) decise di partecipare al piano internazionale. Da quel giorno l’impegno italiano è stato modificato più di una volta. L’ultima nel settembre 2014, quando il Parlamento ha approvato la già citata mozione a prima firma Scanu (PD) che impegnava l’Esecutivo a “ riesaminare l’intero programma F35 per chiarirne criticità e costi con l’obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario originariamente previsto, così come indicato nel documento approvato dalla Commissione parlamentare Difesa della Camera dei deputati a conclusione dell’indagine conoscitiva sui sistemi d’arma”.

Parallelamente però vengono approvate altre tre mozioni: una di NCD, con cui l’Esecutivo si impegna a cercare “ogni possibile soluzione e accordo con i partner internazionali” per massimizzare i ritorni economici, occupazionali e tecnologici del piano; Una seconda di Scelta Civica la quale prevede un aggiornamento del programma F35 “in relazione alle esigenze di bilancio”. La terza, presentata da Forza Italia, che chiedeva la conferma del programma.

Il 25 maggio 2015 il ministro Pinotti presentò davanti al Parlamento il Documento Programmatico Pluriennale contenente un capitolo dedicato al programma JSF. All’interno del documento si legge nero su bianco l’intenzione di acquistare 38 F35 entro il 2020, vale a dire 7-8 aerei l’anno per 5 anni. Lo stesso testo parla in maniera molto vaga di una rimodulazione delle risorse, ma non del numero dei velivoli da acquistare. Per il 2015 il DPP parla di una spesa pari a 582,7 milioni di euro (solo 60 milioni in meno rispetto al programma precedente) , di cui 260 milioni per acquisizioni e supporto logistico, 66 per le predisposizioni e gli adeguamenti infrastrutturali ed altri 233 milioni di euro per il consolidamento dei ritorni industriali pianificati.

Poco più di un mese dopo (luglio 2015) il sito del Pentagono riportava che la Difesa Italiana ha firmato a inizio giugno un nuovo contratto con Lockheed Martin ordinando altri quattro F35 e portando così a 14 il totale dei velivoli acquistati dal nostro Paese. Un contratto relativo all’ordine del decimo lotto di F35 comprendente 4 aerei per 35 milioni di euro. Una cifra che però rappresenta solo una parte dei 150 milioni di euro che l’Italia dovrà pagare a rate nei prossimi anni. In aggiunta, lo scorso 30 giugno è stato siglato un altro contratto da 500 milioni di dollari relativo allo sviluppo del software di bordo.

Ricapitolando, il programma originario prevede di comprare 90 aerei. Per quanto riguarda gli ultimi anni, la suddivisione è la seguente: sei nel 2013, due nel 2014, due nel 2015, quattro nel 2016, cinque all’anno nel triennio 2017-2019 e nove nel 2020. In altre parole l’iter prosegue senza intoppi e soprattutto senza alcun dimezzamento.

Francesco Vignarca , coordinatore della Rete Italiana Disarmo ha sottolineato che “la Difesa, aggrappandosi alla formulazione un po’ fumosa della mozione Scanu, sta cercando di svicolare usando la scappatoia dei ‘ritorni economici’ del programma che compenseranno metà della spesa complessiva del programma, ma è il gioco delle tre carte, perché i ricavi derivanti dai contratti internazionali di manutenzione finiranno nelle casse delle aziende italiane coinvolte nel programma, non nelle casse dello Stato italiano”.

Nella mozione si legge infatti che la riduzione del budget finanziario previsto deve essere realizzata “ tenendo conto dei ritorni economici e di carattere industriale da esso derivanti”.

Allo stato attuale dei fatti bisogna però tenere in considerazione due cose: la prima riguarda il fatto che una mozione parlamentare è uno strumento del quale Montecitorio e Palazzo Madama possono servirsi per dare delle direttive al Governo sulle misure da varare o sulla linea da seguire su una determinata questione, ma nonostante la sua rilevanza, non comporta vincoli giuridici. Per cui l’Esecutivo può de facto assumersi la responsabilità politica di comportarsi diversamente dall’indirizzo indicato. Il Governo Renzi dunque non ha “violato” nessuna norma, ma si è limitato a fare ciò che la legge gli consente di fare , scelta condivisibile oppure no.

In secondo luogo, appare difficile in questi giorni non mettere in relazione le scelte portate avanti dalla Difesa nel corso dell’ultimo anno con quanto sta accadendo in Medio Oriente e soprattutto in Iraq e Siria. Gli attentati di Parigi hanno inferto un duro colpo all’Europa, facendo capire quanto la minaccia dell’ISIS sia reale e imminente. Guardando la situazione sotto questo punto di vista ci sorge spontanea una domanda: l’Italia si sta per caso preparando nel caso in la situazione dovesse degenerare ancora richiedendo un impegno armato del nostro Paese nell’ambito di una coalizione internazionale contro lo Stato Islamico? – FONTE

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