Intrecci sospetti con le coop: Banche Aretine verso il processo

banca18/12/2015 – Per ora, il fronte giudiziario sul crac di Banca Etruria ha un’orizzonte abbastanza limitato. Due indagini, seguite direttamente dal procuratore capo della città toscana, Roberto Rossi. Per la prima è prossima la richiesta di rinvio a giudizio per l’ex presidente Giuseppe Fornasari, l’ex dg Luca Bronchi e l’ex direttore centrale Davide Canestri.

 

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Ai tre viene contestato solo l’ostacolo all’autorità di vigilanza: avrebbero fatto in modo da annebbiare i crediti in sofferenza nel bilancio 2012 alla vista agli 007 di via Nazionale, in particolare svalutando troppo poco il valore della Banca Del Vecchio, acquistata sei anni prima per 112 milioni nonostante il valore stimato già all’epoca fosse inferiore alla metà. E poi avrebbero venduto buona parte del patrimonio immobiliare della banca, raccolto nella società «Palazzo della Fonte», per 75 milioni di euro a un consorzio guidato dal colosso delle coop rosse Manutencoop. Un’operazione necessaria a ridare fiato alle asfittiche casse, che però presenterebbe una discreta anomalia: parte dei soldi – una ventina di milioni di euro – gli acquirenti li avrebbero ottenuti in prestito proprio da Banca Etruria. Se ne dovrebbe capire di più quando, probabilmente, si arriverà all’udienza preliminare, nei primi mesi del prossimo anno.Il secondo filone, allo stato contro ignoti, punta al periodo precedente il commissariamento della banca voluto da Bankitalia a febbraio scorso.

Nel mirino ci sarebbero i 185 milioni di euro spalmati su quasi duecento fidi, va da sé, in buona parte (quasi la metà) in sofferenza, autoconcessi a diciotto tra ex sindaci ed ex amministratori della banca. Anomalia già messa in rilievo anche da Bankitalia, che nella relazione accennava a finanziamenti votati in conflitto di interesse («13 amministratori e 5 sindaci – scrivono gli ispettori – hanno interessi in 198 posizioni di fido per un importo totale accordato al 30 settembre 2014 di circa euro 185 milioni») e stimava perdite per «solo» 18 milioni.Ma la storia di Banca Etruria, gli anni di questa spericolata discesa che ha portato al crac e alla stangata per azionisti e obbligazionisti subordinati, è una lunga teoria di soldi finiti nel pozzo, anche al di là dei prestiti sofferenti generosamente autoconcessi da chi fino a qualche tempo fa ricopriva incarichi di rilievo nell’istituto di credito.

C’è l’incredibile storia dello yacht di lusso, il finanziamento di una trentina di milioni concesso alla Privilege Yard che, a Civitavecchia, proprio la città dove il pensionato Luigino D’Angelo si è ammazzato dopo aver perso i suoi risparmi per essersi fidato della «sua» banca, avrebbe dovuto costruire barche di lusso per vip e sceicchi e che invece ha chiuso i battenti qualche mese fa, senza ovviamente restituire i soldi, i soli a prendere il largo. C’è la vicenda del prestito, in consorzio con altre banche, concesso alla Acquamare di Francesco Bellavista Caltagirone per il porto di Imperia, dove sono rimasti incagliati tra i 12 e i venti milioni di euro. Ci sono i dieci milioni alla Isoldi Holding, che soffrono pure loro, come i tanti prestiti alle imprese locali colpite dalla crisi, con una sessantina abbondante di milioni distribuiti sul territorio e che adesso mancano all’appello.

E infine c’è la storia dell’outlet «Città Sant’Angelo», nell’omonima cittadina abruzzese. Il consorzio che l’ha costruito è stato finanziato proprio da Banca Etruria, e anche quel prestito è sofferente. Ma chi c’era nel consorzio? Un altro gigante delle coop rosse, la Unieco di Reggio Emilia. E un’altra coop – rossa – toscana, la Castelnuovese. Il cui presidente era Lorenzo Rosi. Lo stesso uomo che, in seguito, ha guidato da presidente l’istituto di credito di Arezzo fino a schiantarla sugli scogli del commissariamento. FONTE

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