Ambiente e salute

Se potessi avere 600 euro al mese: Anticipazione Espresso 14/01/2016

By admin

January 12, 2016

14/01/2016 – SECONDO I CALCOLI DEGLI ECONOMISTI, PER AIUTARE CHI NON HA UN SALARIO O NON GUADAGNA ABBASTANZA SERVIREBBERO POCO PIÙ DI SEI MILIARDI L’ANNO.

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Nel resto d’Europa il reddito minimo garantito è già una realtà. Mentre da noi si discute senza prendere provvedimenti. Nonostante si registri il record di persone a rischio di povertà. Ecco come si può agire e quanto può costare di Stefano Veine LA DISOCCUPAZIONE, IN FINLANDIA, ha toccato il record degli ultimi quindici anni. Nel 2015 è rimasto senza lavoro mediamente un cittadino su dieci. Livelli poco migliori di quelli italiani, ma il governo finlandese ha una strategia completamente diversa rispetto a quella di Matteo Renzi. Vuole istituire un reddito di cittadinanza. No, non e la famosa proposta del Movimento S Stelle: i grillini sostengono da tempo il reddito minimo, che è un sussidio per chi non ha uno stipendio o ce l’ha troppo basso per vivere in modo dignitoso. A Helsinki puntano molto più in alto. ll premier di centro-destra, Juha Sipila, sta studiando la possibilità di dare ogni mese ai suoi cittadini maggiorenni un piccolo stipendio: 800 euro, è l’ipotesi più accreditata. Per i finlandesi non sarebbe una cifra astronomica, visto che la paga media si aggira sui 3.300 euro. La novità è che il reddito punta a essere universale, cioè valido sia per gli spiantati che per i milionari. La Finlandia sarebbe la prima nazione al mondo a istituirlo. L’esperimento inizierà nel 2017, durerà due anni e coinvolgerà solo una piccola parte della popolazione, il 10 per cento circa. Poi, una volta che i risultati verranno vagliati dagli studiosi, si deciderà se far diventare strutturale la misura. Alcuni economisti assicurano che il reddito di cittadinanza risulterà insostenibile anche per una nazione fiscalmente virtuosa come la Finlandia. Comunque andrà, il tentativo è la spia di una nuova esigenza europea: trovare una soluzione all’aumento continuo dei poveri, intesi non più solo come disoccupati, ma anche come lavoratori con uno stipendio troppo esiguo per campare.

ROMA MAGLIA NERA I dati più recenti mostrano un quadro europeo inquietante. Secondo Eurostat, l’agenzia statistica dell’Ue, un cittadino su quattro è a rischio di povertà o esclusione sociale. La definizione di Bruxelles è articolata, ma in sostanza significa che 122 milioni di persone del Vecchio Continente — 6 milioni in più rispetto al 2008 – hanno un tenore di vita molto inferiore a quello medio. In questo contesto, come si vede dal grafico qui a fianco, l’Italia se la passa peggio di molti altri. Le statistiche dicono che siamo il Paese con il numero più alto di cittadini a rischio: 17,3 milioni di persone, quasi un terzo della popolazione. La colpa è soprattutto della crisi degli ultimi anni, che ha fatto diminuire l’occupazione. E potrebbe non essere finita qui, sebbene il PiI di recente sia tornato a crescere. Nei giorni scorsi, intervistato da “la Repubblica “, il numero uno della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha detto che «nei prossimi 10-20 anni molti lavori tradi *** Da noi uno su fre è in bolletta Numero totale e percentuale di cittadini dei principali Paesi europei a rischio di povertà o esclusione sociale (Fonte: Eurostat 2013) *** Ma rasolobondallomo non beota Spesa per tipologia di intervento in alcuni Paesi Ue. Dati in percentuale sul tuie degli stanziamenti per le politiche del lavoro t zionali, forse uno su due, spariranno.. Conseguenza della rivoluzione di Internet, della sharing economy, delle delocalizzazioni, dell’utilizzo sempre più massiccio dei robot.

DIPENDENTI, MA CON LE TASCHE VUOTE Tralasciando le cause del declino occupazionale, il problema è se, e come, questi impieghi verranno sostituiti. Per Claudio Lucifora, professore di Economia del lavoro all’università Cattolica di Milano, di sicuro c’è solo un fatto: “Oggi, a differenza del passato, un numero consistente di persone si trova in condizioni di povertà relativa pur avendo un’occupazione». Li chiamano “working poors”: sono coloro che percepiscono un salario inferiore ai due terzi della media.

In Italia significa guadagnare meno di 992 curo al mese. Lucifora ha calcolato che nel 2011, secondo gli ultimi dati disponibili, erano 2,6 milioni i working poors con un lavoro dipendente, pari al 14,9 per cento del totale, cui si aggiungono gli oltre 750 mila autonomi. «Si tratta di numeri in crescita e le ragioni sono sostanzialmente due», spiega l’economista: ail lavoro precario aumenta e la capacità del sindacato di tutelare gli occupati diminuisce, come dimostra il fatto che in Italia non esiste ancora un salario minimo legale, cioè una paga oraria minima fissata per legge, come invece avviene in quasi tutti gli altri Stati della Unione europea». Se è vero che quasi un terzo degli italiani è a rischio po *** verta, coloro che se la passano davvero male sono molti meno: 4, 1 milioni, ha calcolato l’Istat. Dipende da dove si vive, dall’età e dalla composizione della famiglia, ma per avere un’idea si possono prendere a riferimento questi numeri: è considerato povero assoluto un adulto che vive da solo a Milano con un reddito mensile inferiore a 816 euro, soglia che si abbassa a 548 euro se la persona abita in un piccolo comune del Sud. Ovviamente, le statistiche ufficiali non considerano il lavoro nero e l’evasione fiscale che, come ha ricordato a fine anno il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, da sola vale 122 miliardi di euro all’anno. Fatto sta che l’attenzione degli esperti si sta concentrando proprio su questi 4 milioni di indigenti. Il motivo è semplice: insieme alla Grecia, l’Italia è stato finora l’unico Parse europeo a non aver istituito una misura strutturale per aiutarli. Pubblicamente, Renzi continua a sostenerne l’inutilità.

L’ultima volta che ne ha parlato, a settembre, ha detto che il reddito di cui abbiamo bisogno non è quello di cittadinanza: se riportiamo al segno più la crescita economica e gli occupati., ha teorizzato il premier, «giocoforza la povertà diminuirà». Come dire che il nostro sistema di welfare è già abbastanza forte, e che bisogna perciò concentrarsi sulla creazione di posti di lavoro, piuttosto che sugli aiuti. I numeri descrivono un’altra realtà. Quelli raccolti da Eurostat indicano che rispetto agli altri grandi Paesi europei, fatta eccezione per il Regno Unito, spendiamo meno per sostenere i cittadini più sfortunati: per la precisione l’1,7 per cento del PiI, superati in classifica da Germania, Francia e Spagna. 11 divario con i vicini diventa ancor più evidente quando si guardano le politiche attive e i servizi per il lavoro (grafico a pagina 32), cioè il totale dei quattrini investiti per rimettere sul mercato chi è rimasto senza impiego. Che siano queste le cause del poco invidiabile record italiano? Di certo, al di Ià delle dichiarazioni di Renzi, nell’ultima legge di Stabilità il governo si è impegnato a creare entro l’estate dell’anno prossimo un Fondo per il contrasto alla povertà. Tommaso Nannicini, consigliere economico di Palazzo Chigi, lo ha definito ..l’architrave di un’unica misura strutturale.. Descrizione che qualcuno ha interpretato come il preludio all’introduzione di un vero e proprio reddito minimo. Si vedrà.

Di sicuro il budget del Fondo è di un miliardo di curo (a regime nel 2017), per una platea di beneficiari di circa un milione di persone. All’orizzonte, per ora, non si intravedono soluzioni per gli altri tre milioni di indigenti, ma il tema è entrato ufficialmente nel dibattito politico. E Renzi, per una volta, sembra costretto a rincorrere piuttosto che a guidare ii gruppo. Da tempo cavallo di battaglia dei grillini, che lo hanno proposto appena arrivati in Parlamento, il reddito minimo sta infatti già diventando realtà a livello locale. Oltre alle ricche province di Trento e Bolzano, che Io hanno inaugurato anni fa, in pole position per l’introduzione ci sono parecchie Regioni, come Puglia, Molise, Basilicata, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Lombardia, quasi tutte governate dal Pd. Unico pentastellato, per ora, il sindaco di Livorno, Filippo Nogarin, che promette 500 euro per sei mesi. Non è proprio il reddito minimo del resto d’Europa, visto che lì la misura è strutturale mentre quella di Nogarin, così come i progetti delle varie regioni italiane, sono sussidi a tempo determinato. Ma il significato non cambia.

LE IPOTESI IN CIFRE II punto su cui si arrovellano ora gli esperti è quale sia la misura più efficace a contrastare la povertà. Il reddito di cittadinanza, sul modello finlandese, ha due limiti. Uno è morale: perché, si chiedono i detrattori, lo Stato dovrebbe dare uno stipendio anche ai milionari? II secondo è strettamente finanziario. Se venisse concesso, per esempio, un assegno mensile da 500 euro ai circa 50 milioni di italiani maggiorenni, l’esborso sarebbe di 300 miliardi di euro all’anno. Oltre un terzo della spesa pubblica. «Economicamente infattibile», hanno sentenziato nel 2013 su “lavoce. info” l’attuale presidente dell’Inps, Tito Boeri, e l’ex commissario alla spending review, Roberto Perotti. II reddito minimo, destinato solo a chi non ha uno stipendio o ce l’ha troppo basso, avrebbe invece costi molto più contenuti. 11 preventivo varia a seconda della proposta che si prende in considerazione.

In Parlamento ne sono state presentate due: una firmata Movimento S Stelle, appunto, l’altra avanzata da Sri. Secondo l’Istat, quella dei grillini costa 14,9 miliardi all’anno, mentre per quella di Sel ne servono 23,5. Troppi? «Il problema è di volontà politica», dice Andrea Fumagalli, uno degli economisti italiani che ha studiato più a fondo la questione, docente all’università di Pavia e sostenitore (con l’associazione Bin-Italia) di un reddito che, a differenza di quanto proposto finora in Parlamento, andrebbe a sostituire gli attuali ammortizzatori sociali. Basandosi sui dati del 2012, Fumagalli ha calcolato quanto costerebbe introdurre un minimo di 600 euro al mese. La spesa sarebbe di 20,7 miliardi, cui però andrebbero sottratti i 14,5 miliardi sborsati per cassa integrazione, mobilità e disoccupazione, sussidi che verrebbero sforbiciati eliminando i primi 600 euro. Il risultato è 6,2 miliardi di euro. Non proprio una spesa insostenibile. Almeno se si pensa che il bonus da 80 euro costa 10 miliardi l’anno. di Vergine Stefano

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