Ambiente e salute

Alzheimer, possibile recuperare i ricordi ‘perduti’. Stimolando specifici neuroni del cervello

By admin

March 21, 2016

18/03/2016 – Nelle fasi iniziali dell’Alzheimer è ancora possibile recuperare i ricordi, che sono solo apparentemente perduti: immagazzinati nel cervello, possono essere ‘ripescati’ stimolando specifici neuroni nella regione dell’ippocampo. Lo hanno dimostrato i ricercatori del Riken-Mit Center for Neural Circuit Genetics di Cambridge, negli Stati uniti, che sono riusciti a riaccendere la memoria nei topi stimolando il cervello con un raggio di luce, grazie alla tecnica dell’optogenetica finora mai sperimentata sull’uomo.

I risultati, illustrati su Nature, ”rappresentano solo una prova di concetto”, come sottolineano gli stessi autori dello studio, ma dimostrano che il deficit di memoria che si manifesta all’esordio dell’Alzheimer è dovuto soltanto ad un problema nel recupero delle informazioni memorizzate, e non alla loro codificazione o al loro immagazzinamento, aprendo così la strada a nuove terapie.

Il ‘ripescaggio’ dei ricordi nel cervello è azionato da piccoli bottoncini (le cosiddette ‘spine dendritiche’) che connettono fra loro i neuroni e che sbocciano come germogli ogni volta che uno stimolo esterno fa rivivere un’esperienza ridando vita ad un ricordo. Nei malati di Alzheimer queste spine dendritiche tendono a diminuire nel tempo, rendendo il ricordo sempre più spento. L’esperimento condotto sui topi, però, dimostra che possono essere nuovamente stimolate a crescere. I ricercatori lo hanno fatto grazie all’optogenetica, una rivoluzionaria tecnica di controllo dell’attività cerebrale che consente di usare un fascio di luce per accendere e spegnere a comando specifici neuroni manipolati geneticamente per essere sensibili alla luce.

Grazie ad un’intensa stimolazione, i ricercatori sono riusciti a riportare il numero di spine dendritiche allo stesso livello dei topi sani, ripristinando la memoria per sei giorni. La stessa tecnica non può ancora essere applicata sull’uomo, perché troppo invasiva, ma in futuro potranno essere sviluppate nuove strategie di stimolazione ultra-precisa per ottenere risultati simili a quelli visti nei topi. FONTE CONTINUA A LEGGERE

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