Ambiente e salute

Dallo sfruttamento alla denuncia, due Alessandrini raccontano il boom dei voucher

By admin

March 21, 2016

21/03/2016 – I nuovi precari pagati col voucher, “Venti euro al giorno, così mi hanno costretto a dire basta”. All’inizio un po’ si vergognano: è la prima volta che parlano a un giornalista. Ma la rabbia, la frustrazione e il coraggio pian piano prendono il sopravvento e il tono di voce si trasforma, i racconti diventano densi di particolari, le frasi ascoltate troppe volte tornano, nitide. Riescono addirittura a rivivere quelle scene. Promettendo, soprattutto a loro stessi, «di non passarci mai più».

Gli intervistati sono due ragazzi di 25 anni che fin da quando sono usciti dalle scuole superiori sognano un contratto. Hanno sempre lavorato, ma in nero o ricevendo qualche voucher. Ed è proprio da qui che si parte, dall’inchiesta sul boom dei buoni lavoro uscita su La Stampa qualche giorno fa: sono aumentati, soprattutto nei settori per cui non sono nati. Commercio, prima di tutto. E Alfredo Ratti dell’ufficio vertenze della Cisl aveva già specificato: «Abbiamo molti ragazzi che si trovano in situazioni sbagliate, di lavoro nero o “grigio”: ricevono voucher ma non sufficienti. Magari due (cioè 20 euro lordi) per otto o dieci ore di lavoro. Accade in bar e ristoranti».

Proprio in un ristorante di Alessandria, di quelli in cui paghi un tot e mangi quanto vuoi, si sono conosciuti i due ragazzi seduti nell’ufficio di Ratti: più timido lui, più grintosa lei. E infatti parla per prima: «Di esperienze sbagliate ne ho avute tante. Ad esempio, un locale in cui pagavano tutto quello che dovevano in voucher, ma appena si raggiungeva il tetto massimo venivi mandato via». Ma quanti dei dipendenti venivano pagati così? «Dipendenti? Nessuno ha mai avuto un contratto. Tutti pagati a voucher. Fai conto, una ventina di giovani tra sala, cucina, bar». Nessun contratto, mai? «Promesse, per farti rimanere lì. Ma alla fine, solo buoni. E nessuno di noi era lì occasionalmente: lavoravamo tutti i giorni, dieci o dodici ore. Io facevo qualsiasi cosa: dalla lavapiatti alla cassa». «Quando ho provato a dire “me ne vado” – aggiunge lui – mi hanno detto chiaramente che avevano la fila davanti alla porta, che ricevevano curricula ogni giorno. Che ero sostituibile».

Situazioni anche peggiori in una pizzeria in collina, in provincia: «Ricevevo tre voucher a settimana, il resto in nero. Mi dicevano proprio: se viene qualcuno lo mostri così con i controlli siamo a posto» racconta lei, che ha cambiato lavoro tante volte negli ultimi anni. Ma non ha mai trovato situazioni chiare: «In un bar di Alessandria ho preso 20 euro per dieci ore di lavoro. Dopo un mese, me ne sono andata perché era insostenibile: ho fatto anche una domenica dalle 7 alle 22 sempre per 20 euro. E non mi facevano battere gli scontrini. Ho lavorato pure in un «all you can eat» asiatico: pagavano 100 euro per tutto il fine settimana, da venerdì a cena fino al pranzo della domenica». Lui, aggiunge: «La maggior parte dei nostri coetanei e amici lavorano così, completamente in nero o con qualche voucher per giustificare la presenza in cucina o al bancone. Così non andiamo da nessuna parte, infatti per quanto mi riguarda ho detto basta. Ma l’unico modo è mettersi in proprio».

Ratti, spiega: «Questi ragazzi che hai di fronte hanno fatto vertenza, ma molti non rischiano perché hanno paura di essere bollati come quelli che “fanno casini” e di non essere poi presi da nessun’altra parte, anche se hanno ragione. Ho seguito il caso di una ragazza di Casale che lavorava in un pub molto conosciuto di Alessandria: la differenza salariale dopo due anni di lavoro era di undicimila euro». FONTE

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