Ambiente e salute

Facebook e Twitter sotto accusa: bufera elezioni Usa, “Hanno aiutato Trump”

By admin

November 13, 2016

CHICAGO 13/11/2016 – Il risveglio della Silicon Valley nell’era Trump è stato amaro. Il cuore dell’America tecnologica, da dove scaturiscono le idee e i prodotti che stanno plasmando il modo di comunicare in tutto il mondo, non solo non aveva visto arrivare il fenomeno Trump – il giorno del voto un sondaggio condotto tra 224 investitori tech li dava al 94% per Hillary Clinton, con l’89% convinto che avrebbe vinto – ma si ritrova ora sotto i riflettori per essere uno dei motori della diffusione delle idee incendiarie che hanno portato al trionfo del miliardario.

Forse per autoconsolarsi per aver fallito nell’individuare giornalisticamente cosa stesse covando l’America, molti media puntano ora il dito su quelli che considerano in gran parte i loro competitori più temibili. I “social media”, soprattutto Facebook, Twitter e Reddit, dove la conversazione non mediata prima delle elezioni ha raggiunto livelli di aggressività e disinformazione eclatanti. Su Facebook sono circolati post con il volto di Hillary stravolta, deformata come un demonio, una carcerata, accompagnati dalle teorie cospirazioniste più strampalate. Come il “fatto” che lei e il suo capo campagna John Podesta appartenessero a una setta satanica, per uno scambio di email in cui si parlava di una cena con “spirit cooking”. Le aggressioni personali su Twitter hanno costretto al silenzio attivisti di entrambe le partii. Su Reddit, social di conversazione tematica, i suprematisti bianchi di Alt-right (destra alternativa) hanno fatto opera di proselitismo, raccomandando tra l’altro ai giovani bianchi di non dichiarare che stavano per votare per Trump. Nulla di diverso da quel che accadeva nelle conversazioni reali, peraltro.

Il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, respinge ogni addebito: “E’ folle pensare che la gente abbia votato in base a notizie false circolate su Facebook. Votano in base alle loro vite reali”. Zuckerberg sa però di avere un problema di controllo sulle bufale: dopo le polemiche dello scorso anno sulla presunta “partigianeria” di Facebook in favore dei democratici, la scrematura dei post è stata affidata agli strumenti tecnici (il famoso algoritmo) e i giornalisti-editori sono stati licenziati. Ed è un dato che il 20% degli utenti dei social abbia dichiarato in una ricerca di Pew di aver cambiato idea sul voto in base ai social. Se ancora si può credere ai sondaggi.

Per Zuckerberg e colleghi si pone però ora una serie di problemi urgenti. Nell’era Obama si era creato un rapporto di intimità persino poco ortodossa con i giganti dell’industria tech californiana. Ma sia Obama sia i nerd della costa est sono quanto di più lontano dall’America che ha portato Trump alla Casa Bianca. Anzi personificano la minaccia: i software che ci connettono globalmente sono in parte gemelli di quelli che stanno cancellando i posti di lavoro nell’industria “pesante” che Trump promette di resuscitare. Oltre al fatto che chi lavora nell’industria tech è il ritratto dell’America multicolorata e multiculturale che i sostenitori di Trump aborrono: in gran parte brillanti cervelli provenienti dall’Asia, dall’Europa, dal Medio Oriente, dall’Africa.

Il presidente eletto non ha mai fatto mistero della sua insofferenza per Silicon Valley. Ha attaccato Apple ai tempi della polemica sul rifiuto di rivelare i dati dello smartphone di un terrorista. Ha chiesto più volte che i giganti del tech mantengano la produzione in America. Ha minacciato Amazon di un processo antitrust – e ieri il fondatore Jeff Bezos si è subito riallineato con un tweet in cui offre al nuovo presidente “tutta la sua mente aperta” per collaborare.

L’unico ad aver creduto in Trump fin dall’inizio, e ad avergli dato molti soldi, è stato il fondatore di PayPal Peter Thiel, che ha pagato l’isolamento in Silicon Valley per questo. Oggi si prende la rivincita, e si parla di lui come del “tech adviser”, il consigliere per la tecnologia di Trump.

Al di là dei riposizionamenti strategici – sia la politica che i big player dell’industria tech sanno di non poter fare a meno gli uni degli altri – oggi Silicon Valley si trova a fare i conti con un problema di fondo, che non riguarda solo gli Stati Uniti: la disconessione dal mondo reale è paradossale per delle piattaforme dove ci si esprime in modo così forte e chiaro. “Guardiamo tutto attraverso le metriche, come pagine viste, utenti attivi, guadagni – ha detto al New York Times la startupper Danielle Morrill – Ma non vuol dire che capiamo gli individui dall’altra parte dello schermo”. Tutto quel che accade sui social (e soprattutto nella Rete “esterna” ai social tradizionali, quella che crea i fenomeni virali) accade anche nel mondo “reale”, perché non si tratta di due realtà parallele ma della stessa realtà. E questo nella bolla di Silicon Valley, e non solo lì, forse si era capito poco. – FONTE

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