Ambiente e salute

In pensione con solo 5 anni di contributi? Vale solo per gli immigrati. Ecco cosa leggiamo sul sito dell’INPS

By admin

November 20, 2016

20/11/2016 – I contributi Inps che i lavoratori extracomunitari pagano in Italia non vanno perduti se gli interessati rimpatriano. Tutto ciò ovviamente vale anche per il lavoro domestico, quindi per colf e badanti. I lavoratori stranieri che hanno versato in Italia i contributi hanno diritto alle prestazioni pensionistiche al pari di un qualsiasi lavoratore italiano. Nè vengono persi al momento in cui essi tornino al paese d’origine per “godersi” la pensione e cio’ anche se tra Italia e i Paesi dei rimpatriati non sia stato stipulato un accordo di reciprocità. Basta che essi maturino i requisiti stabiliti dalla normativa italiana e questi conservano i diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati e hanno diritto alla pensione guadagnata con il versamento dei contributi e del proprio lavoro. Naturalmente costoro hanno titolo alla pensione a condizione che raggiungano i requisiti stabiliti dalla legge italiana, requisiti che sono in parte diversi rispetto a quelli imposti ai cittadini italiani, comunitari e per gli stessi extracomunitari residenti.

Le regole per il trattamento di vecchiaia Prendiamo la pensione di vecchiaia: ai lavoratori extracomunitari con rapporto di lavoro a tempo indeterminato o determinato rimpatriati spetta al compimento dei 66 anni di età e 7 mesi (65 anni e 7 mesi le donne). Dal 2018 il requisito sarà parificato a 66 anni e 7 mesi per entrambi i sessi. Fin qui siamo nel solco della norma di carattere generale, quella che non fa differenze in base alla nazionalità del lavoratore.

Ma è un altro discorso se si guarda al requisito contributivo. Qui occorre dividere la materia in due antitetiche situazioni: 1) se la pensione è liquidata con il sistema retributivo o misto (cioè se il lavoratore è in possesso di contribuzione al 31 dicembre 1995), si applica in toto la normativa italiana, senza alcuna deroga; perciò la colf/badante dovrà raggiungere il minimo dei 20 anni di versamenti per avere diritto alla pensione; 2) se il lavoratore ricade, invece, nel contributivo puro (cioè non era in possesso di contribuzione al 31 dicembre 1995) la legge Bossi-Fini (legge 189/2002) prevede che la pensione venga pagata anche se l’interessato non ha raggiunto il minimo dei versamenti previsto dalla normativa vigente (cfr: Circolare inps 45/2003).

Per i cittadini italiani e i comunitari, invece, la pensione di vecchiaia nel sistema contributivo può essere liquidata solo in presenza di almeno 20 anni di contributi a condizione, peraltro, che l’importo dell’assegno non risulti inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale) oppure, se non è rispettato il predetto importo soglia a 70 anni e 7 mesi in presenza di almeno 5 anni di contributi effettivi. In sostanza per gli extracomunitari che rimpatriano nel paese d’origine nel sistema contributivo, la pensione viene pagata dall’Italia qualunque sia il numero dei contributi versati. Nel silenzio del legislatore e dell’Inps si ritiene, tuttavia, che resti il vincolo dell’importo soglia di 1,5 volte il valore dell’assegno sociale (circa 670 euro al mese) ove la pensione venga chiesta dal rimpatriante a 66 anni e 7 mesi (quindi è necessario, comunque, raggranellare una determinata cifra di contributi per raggiungere il predetto importo); vincolo che verrebbe meno solo al compimento di 70 anni e 7 mesi al pari delle altre prestazioni di natura contributiva.

È opportuno ricordare che la legge 189/2002 ha posto fine alla facoltà riconosciuta agli extracomunitari dalla legge 335/1995 (legge Dini), in base alla quale chi rientrava in patria senza avere raggiunto il diritto a pensione poteva chiedere la restituzione dei contributi pagati, compresa la quota a carico dell’azienda.

Il caso dei superstiti Regole molto più restrittive per la pensione ai superstiti, quando ovviamente ne sono stati raggiunti i requisiti richiesti dalla legislazione italiana, validi per tutti gli assicurati. La Bossi Fini ha limitato fortemente questo diritto nei confronti dei rimpatriati nel paese d’origine. Pertanto attualmente se il decesso si è verificato successivamente all’età di vecchiaia, cioè a 66 anni e 7 mesi per gli uomini e 65 anni e 7 mesi per le donne (prima della Legge Fornero il requisito anagrafico era pari a 65 anni) i superstiti del rimpatriato hanno diritto alla prestazione applicando le disposizioni vigenti per la generalità dei lavoratori italiani; se, invece, il decesso è anteriore al compimento della citata età non spetta mai la pensione nei confronti dei superstiti del rimpatriato. – FONTE

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