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“Siamo tutti Mastella”: di Marco Travaglio

By admin

September 17, 2017

17/09/2017 – Ieri, tra le varie telefonate di strani “colleghi” a caccia di un mio commento, anzi di un mio pentimento per l’assoluzione di Mastella, come se l’avessi indagato e rinviato a giudizio io, mi chiama uno dei miei avvocati. Mi racconta di un processo a mio carico per diffamazione a proposito di un mio trafiletto del lontano 2010 (una giornalista del Tg1 che aveva diffuso dati imprecisi sul numero delle intercettazioni), ancora in udienza preliminare. E mi chiede elementi per dimostrare la fondatezza di ciò che scrissi sette anni fa. Per fortuna ho un buon archivio e riesco a trovare i dati necessari a difendermi. In 34 anni di carriera ho subìto quasi 200 processi (e non so quante indagini: molte querele vengono archiviate all’insaputa del querelato) per diffamazione e, a parte una multa di mille euro (a Previti!), sono sempre stato assolto. Dunque dovrei strillare ogni giorno alla persecuzione giudiziaria, alla gogna mediatica, al giustizialismo a tutto l’armamentario del finto garantismo italiota – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano nell’editoriale

Naturalmente me ne sto zitto, mi difendo nei processi, spendo un capitale in avvocati (che devo pagarmi anche quando le querele vengono archiviate, grazie ai nostri legislatori “garantisti”) e mi faccio una cultura in diritto e procedura penali. Per esempio, ho imparato a distinguere tra fatti e reati: i processi per diffamazione non devono accertare se ho davvero scritto una certa cosa (che è lì stampata, a disposizione di chiunque voglia valutarla), ma se quella cosa sia o meno diffamatoria. E a quel punto parte il terno al lotto, a seconda del giudice, nulla essendo più aleatorio e soggettivo di concetti come la “continenza”, il diritto di satira o di critica (se fai una battuta, devi sperare che il giudice la capisca).

Un’altra cosa che ho imparato è che la legittimità di un’indagine non dipende dalla sentenza: altrimenti 199 delle 200 inchieste a mio carico sarebbero state infondate solo perché seguite da altrettante assoluzioni, e io dovrei domandarmi cosa ho fatto di male per stare sulle palle a decine di Procure. Le indagini nascono da una notizia di reato: una querela, una denuncia, un’inchiesta della polizia giudiziaria, un’iniziativa del pm, un articolo di giornale, un’inchiesta tv. Quando le aprono, i pm non sanno se il reato c’è né chi l’ha commesso: indagano apposta per scoprirlo. Se poi pensano di avere trovato il reato e il colpevole, chiedono il rinvio a giudizio al gup che, se ritiene che esistano elementi sufficienti per un processo, lo dispone. Accade ogni giorno a migliaia d’italiani e nel 2008 capitò anche a Clemente Mastella e alla moglie Sandra Lonardo.

Lui era ministro della Giustizia del governo Prodi, lei presidente del Consiglio regionale della Campania. La Procura di Santa Maria Capua Vetere li indagò (la signora finì pure ai domiciliari) insieme allo stato maggiore dell’Udeur campana, in base a intercettazioni e testimonianze sulla presunta gestione clientelare di cariche pubbliche (Asi e Asl) e appalti (Arpac). Mastella, furibondo col premier e la maggioranza, a suo dire non abbastanza solidali, si dimise da Guardasigilli e poi ritirò l’Udeur dal centrosinistra, tornando al centrodestra e facendo cadere il governo. L’inchiesta passò per competenza alla Procura di Napoli, che la biforcò in due filoni: uno minore (Asi e Asl: concussione e abuso d’ufficio), approdato l’altroieri all’assoluzione di tutti gli imputati; l’altro più grave (Arpac: presunti falsi, concussioni, turbative d’asta, abusi e un’associazione a delinquere prima confermata e poi bocciata dalla Cassazione), ancora in dibattimento. Dunque è presto per dire che l’inchiesta del 2008 fosse basata sul nulla. Sia perché manca la sentenza principale, sia perché il dispositivo di quella appena emessa non esclude che i fatti esistessero. Mastella era accusato di aver concusso l’allora governatore Bassolino per costringerlo a nominare un amico all’Asi di Benevento: il pm ha riformulato la concussione in induzione indebita (perché nel 2012 la legge Severino ha modificato e in parte svuotato il primo reato), che poi il Tribunale ha derubricato in abuso d’ufficio, salvo poi concludere sorprendentemente che “il fatto non costituisce reato” (ma allora perché dire che era un abuso? Lo scopriremo dalle motivazioni). La signora Mastella era accusata di tentata concussione a Luigi Annunziata, il manager dell’ospedale di Caserta (“per me è un uomo morto”) che resisteva a presunte pressioni clientelari Udeur: anche quel fatto parrebbe accertato, anche se per i giudici “non è previsto dalla legge come reato” (per la Severino o per cosa? Lo sapremo dalle motivazioni). […] – FONTE

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