Ambiente e salute

Nuovo codice antimafia, così il governo vuole rubare dai conti correnti degli italiani

By admin

September 25, 2017

25/09/2017 – Basta un sms di troppo, cioè un secondo, per vedersi sequestrato tutto: conti correnti, case, automobili. Quella che sarà in discussione la settimana prossima alla Camera è la legge che più si allontana dal concetto di “garantismo”che sia stata approvata dal Parlamento italiano negli ultimi due decenni. Stiamo parlando della riforma del Codice Antimafia, approvata lo scorso 19 luglio al Senato, in calendario a Montecitorio per l’ ultima lettura. La legge scritta dal Pd sotto il controllo dal ministro della Giustizia Andrea Orlando e sponsorizzata dalle associazioni attive nel campo dell’ antimafia è composta da 36 articoli suddivisi in sette capi, è destinata a colpire le organizzazioni (e non solo, come vedremo) nel loro patrimonio. Scritta per colpire duramente chi si macchia di reati associativi legati alla criminalità organizzata, la legge ha visto però ampliare – tra una spola e l’ altra tra i due rami del Parlamento – i suoi ambiti di efficacia ad altri tipi di reato, certamente gravi anch’ essi, ma sicuramente diversi da quelli per cui era stata scritta.

Se il Codice inizialmente prevedeva «misure di prevenzione personali e patrimoniali», cioè sequestri e confische dei beni ai mafiosi da realizzarsi in 24 ore sulla base anche di soli sospetti, queste stesse sono state poi previste prima anche ai corrotti («indiziati di una serie di reati contro la pubblica amministrazione»), poi a chi prova a truffare lo Stato e l’ Unione europea (cioè i «soggetti indiziati in materia di reati di truffa aggravata, anche comunitaria, per il conseguimento di erogazioni pubbliche»), dunque agli aspiranti terroristi («indiziati di uno dei delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo») e, infine, addirittura, agli stalker.

Il reato di “Atti persecutori” introdotto nel nostro ordinamento nel 2009 è molto grave e può salvare molte vite umane (specie di sesso femminile), ma non vi è dubbio che uno stalker difficilmente ha la stessa pericolosità sociale di un mafioso o di un terrorista internazionale. C’ è dell’ altro. Il reato di stalking consiste in un «insieme di condotte persecutorie ripetute nel tempo come le telefonate, le molestie, i pedinamenti, le minacce che provocano un danno alla vittima incidendo sulle sue abitudini di vita oppure generando un grave stato di ansia o di paura» e dunque lascia un ampio margine discrezionale ai magistrati chiamati a valutare la gravità degli atti che provocano «turbamento». Secondo la Cassazione gli «atti» devono essere almeno tre.

Chi è sospettato di Atti persecutori rischia di vedersi confiscato tutto nel giro di poche ore esattamente come un mafioso, di subire lo stesso trattamento. I sequestri possono essere disposti sui conti correnti italiani ed esteri, sui beni mobili, immobili e addirittura sugli esercizi commerciali e sulle aziende. E pensare che proprio questo stesso governo e lo stesso ministro della Giustizia, che era stato sfidante di Matteo Renzi alle primarie per la segreteria del Pd, aveva di fatto depenalizzato lo stesso reato prevedendo la possibilità di estinguerlo «dietro pagamento» di una somma. «Credo che ci siano le condizioni per portare queste legge fino in fondo», diceva pochi giorni fa il Guardasigilli. Ma nello stesso Pd moltissimi hanno sollevato dubbi sull’ equiparazione tra reati così diversi e, soprattutto, sulla giustezza di consentire misure interdittive a semplici «sospettati», molto prima che arrivino le condanne. «Estendere le misure antimafia ai reati comuni rischia di mandare a carte quarantotto i principi costituzionali», ha protestato, per esempio, Francesco Paolo Sisto, deputato forzista e giurista. I legali di fiducia di Silvio Berlusconi avrebbero avvertito che, con quel Codice in vigore, l’ ex premier avrebbe rischiato il sequestro preventivo delle sue aziende. Analoghe preoccupazioni erano state espresse dal presidente di Confindustria: così, secondo gli industriali, si fermeranno tutti gli appalti. Ma critiche al Codice le ha fatte pure il numero uno dell’ Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone. di Paolo Emilio Russo

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