Cronaca

Oggi ricorre il trentesimo anniversario dell’omicidio di Pippo Fava.

By admin

January 06, 2014

05/01/2014 – Oggi ricorre il trentesimo anniversario dell’omicidio di Pippo Fava. Il giornalista, scrittore e drammaturgo siciliano, fu ucciso da Cosa nostra con 5 colpi di pistola, la sera del 5 gennaio 1984, mentre si trovava a bordo della sua Renault 5. Per il suo assassinio, al termine di un processo iniziato nel 1985 e conclusosi nel 2003, sono stati condannati all’ergastolo Nitto Santapaola (mandante) e Aldo Ercolano (esecutore), mentre il collaboratore di giustizia Maurizio Avola ha patteggiato una pena pari a sette anni. Non è mai stata fatta luce però sui mandanti esterni alla mafia siciliana, tirati in ballo nel corso del procedimento penale da alcuni pentiti.

Fava infatti non può essere stato ucciso solo per volontà di Cosa nostra: nel corso della sua carriera giornalistica, con le sue inchieste, aveva fatto luce su quella zona grigia a cavallo tra mafia, politica ed imprenditoria. Dopo aver espresso la propria contrarietà all’installazione di una base missilistica a Comiso (RG) ed essersi schierato a favore dell’arresto del boss Alfio Ferlito, Fava fu licenziato (complice anche l’arrivo di nuovi editori, alcuni dei quali vicini al boss Santapaola) dal Giornale del Sud. Decise così di fondare un settimanale con i suoi collaboratori: I Siciliani. Nelle inchieste qui pubblicate, il giornalista continuò a parlare delle connessioni tra mafia e ambienti ad essa vicini. In un pezzo intitolato “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, Fava denunciò le attività di quattro imprenditori catanesi, Gaetano Graci, Francesco Finocchiaro, Carmelo Costanzo e Mario Rendo. Fava collegava i cavalieri al boss Nitto Santapaola e tirava in ballo altri personaggi loschi, fra i quali Michele Sindona. In altre inchieste, il settimanale I Siciliani denunciò politici vicini a Cosa nostra, mostrando addirittura le foto di mafiosi in compagnia di esponenti delle Istituzioni. In una quasi profetica intervista rilasciata ad Enzo Biagi pochi giorni prima di morire, Fava dichiarò: “I mafiosi sono in ben altri luoghi e in ben altre assemblee. I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Se non si chiarisce questo equivoco di fondo…, cioè non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale. Questa è roba da piccola criminalità che credo faccia parte ormai, abiti, in tute le città italiane, in tutte le città europee. Il problema della mafia è molto più tragico e più importante, è un problema di vertice della gestione della nazione ed è un problema che rischia di portare alla rovina, al decadimento culturale definitivo dell’Italia”. Parole che andrebbero fatte leggere a chi ancora, nel 2014, crede che il mafioso sia solo quello in coppola e lupara.

“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?“, si chiedeva Pippo Fava. Onore a lui, ucciso per essersi battuto per un’Italia migliore. fonte