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Sei milioni di euro spariti in sette mesi: L’ultimo mistero sui soldi della Lega

By admin

December 15, 2018

15/12/2018 – S’indaga su un conto Sparkasse svuotato a cavallo tra 2013 e 2014. L’ex segretario Maroni intercettato diceva: “Facciamo la bad company”. Un conto corrente della Lega con sei milioni di euro svuotato in sette mesi, a cavallo tra 2013 e 2014. E 120 mila telefonate intercettate nello stesso periodo in un’ inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che i finanzieri, su mandato della Procura di Genova, stanno ascoltando per poi acquisire quelle più importanti.

L’indagine è quella sui 49 milioni della Lega Nord «spariti» dal 2013 in poi, con il partito in piena tempesta e il rischio concreto di avere i depositi bloccati a causa d’ una faida interna. Nei primi mesi del 2013 la Lega apre un conto nella filiale milanese della Sparkasse, la Cassa di risparmio di Bolzano, e vi trasferisce 6 milioni di liquidità e un deposito titoli con circa 4,5 milioni. Il conto resta aperto per un anno circa, ma l’operatività è concentrata in sette mesi, durante i quali con un flusso continuo escono quasi tutti i soldi. Quasi un milione al mese, in media circa 50 mila euro al giorno per ogni giornata di banca aperta.

«Spesi nell’ attività del partito», è la versione ufficiale. Quando il conto corrente viene chiuso, nel 2014, ci sono poco più di 150 mila euro. È in quel periodo che i pm di Reggio, durante l’ inchiesta denominata «Breakfast» su un’ associazione per delinquere con interessi ramificati, intercettano Domenico Aiello, non indagato.

Avvocato, in quel periodo è il legale di fiducia di Roberto Maroni, allora segretario della Lega (negli ultimi mesi sono tornati a lavorare insieme). Le date delle intercettazioni sono intrecciate con quelle della movimentazione dei conti del partito e una piccola parte è stata pubblicata sul Fatto quotidiano tre anni fa. Solo che adesso, alla luce del fascicolo genovese sul sospetto riciclaggio dei 49 milioni, assumono tutt’ altra rilevanza per i pm del capoluogo ligure.

La protezione dei soldi, agli albori del 2013, è un tema di stringente attualità dentro il Carroccio per le cause mosse da Matteo Brigandì, pure lui avvocato leghista ma di fede bossiana, finito in rotta di collisione con i nuovi vertici, ai quali minaccia di bloccare l’operatività finanziaria per vari contenziosi. Il 22 luglio 2013 Maroni chiama Aiello. È preoccupato per le iniziative di Brigandì e di Bossi e i due cercano un modo per separare il patrimonio e la gestione del partito. «Bisogna fare la “bad company” dove rimane dentro un c…», dice il segretario al suo consulente. Negli stessi mesi, mentre viene aperto il conto alla Sparkasse – che oggi sta cooperando con gli inquirenti per la ricostruzione dei movimenti -, di nuovo Maroni e Aiello si confrontano sull’ ipotesi di creare un trust, una fondazione, qualcosa che consenta di mettere il denaro, una volta fatto uscire dal perimetro ufficiale, al riparo da eventuali sequestri: siano essi il frutto delle iniziative di Brigandì o delle più invasive indagini della Procura genovese, visto che lo scandalo dei rimborsi truffa è ormai deflagrato.

In un’ intercettazione precedente fra Aiello e il notaio Angelo Busani, quest’ ultimo davanti all’ opzione di una creatura parallela che assorba i denari prelevati dai conti in chiaro esclama: «Vaffambagno, se fanno l’ esecuzione non trovano nulla». C’ è un collegamento fra quell’ ansia di creare un rifugio sicuro per i fondi del partito e la spoliazione del conto Sparkasse? È quello vogliono capire a Genova, convinti che non tutti i 49 milioni incassati illecitamente da Bossi e dall’ ex tesoriere Francesco Belsito siano stati spesi, ma che una parte sia stata riciclata in vari rivoli e poi recuperata tramite una galassia di società sparse fra il Lussemburgo e la provincia di Bergamo. – Matteo Indici e Gianluca Paolucci per “la Stampa”

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