Cronaca

Legge elettorale, ecco il doppio turno. Renzi strappa il sì a Berlusconi, ma il Pd si spacca e Cuperlo va via

By admin

January 21, 2014

21/01/2014 – “CHIAMATELO Italicum”, annuncia Matteo Renzi quando l’accordo è chiuso. Non più spagnolo o ispanico, ma un doppio turno “eventuale”: si va al ballottaggio solo se nessuna coalizione supera il 35 per cento dei voti. Silvio Berlusconi si convince nella notte quando il cellulare del sindaco di Firenze squilla e dall’altra parte c’è il mediatore Denis Verdini. Va bene, a due condizioni. Il listino bloccato non si tocca, niente preferenze. E la soglia non dev’essere più alta del 35, così io posso giocarmi il tutto per tutto al primo turno», è il messaggio del Cavaliere. Bisogna chiudere il cerchio con Angelino Alfano, ma il più è fatto. Repubblica.it annuncia la sorpresa del doppio turno. Negli stessi minuti, Renzi s’infila nell’ufficio al Viminale del leader Ncd. Alfano insiste per le preferenze, esprime le sue riserve però incassa alcuni risultati. Ha un anno di tempo per costruire il suo partito visto che il governo è salvo. «E se Silvio vuole davvero vincere alla prima botta avrà bisogno dei nostri voti. Non torneremo da lui con il cappello in mano», dice ai fedelissimi il vicepremier.

Così, in meno di un mese dalla sua elezione a segretario del Pd, Renzi può dire di aver tagliato un traguardo atteso da 8 anni: la modifica del sistema di voto, la cancellazione del Porcellum e del proporzionale dettato dalla Corte costituzionale. Al suo partito consegna il doppio turno, proposte storica dei democratici. Anche se molto diverso dal progetto originale. Non ci sono i collegi uninominali, non ci sono le preferenze. «Faremo le primarie per le liste bloccate», spiega il sindaco nella riunione della direzione. Però avverte i dissidenti: «Questo è il pacchetto completo, compresa l’abolizione del Senato e la riforma del Titolo V della Carta. O si prende così com’è o salta tutto». Il patto che ha piegato Berlusconi non ammette deroghe sostanziali. Cosa ha ottenuto il Cavaliere in cambio del sì all’Italicum? «Ho ottenuto che torno a essere io l’unico catalizzatore del centrodestra», risponde entusiasta. È di nuovo al centro della scena. Con le riforme istituzionali riconquista persino un ruolo da costituente. E Alfano in un modo o nell’altro dovrà tornare all’ovile, questo pensano a Palazzo Grazioli.

In streaming, il capo di Forza Italia segue la direzione del Pd. Vede che Renzi resiste alla spinta per introdurre le preferenze e commenta: «L’intervento del segretario è all’insegna della chiarezza e del rispetto reciproco». Soprattutto sono salvi il bipolarismo e il suo protagonismo.

La legge elettorale va approvata entro maggio, dice Renzi al parlamentino democratico. Lì si annidano le difficoltà maggiori. «È prendere o lasciare », avverte il sindaco prima del voto. La minoranza contesta, fa parlare solo il presidente Gianni Cuperlo che affonda il colpo. Poi, la discussione degenera e la spaccatura profonda quasi quanto una scissione emerge in tutta la sua evidenza. Ma Renzi incassa anche giudizi positivi sorprendenti. Franco Marini, che ha votato Cuperlo al congresso e fu “sfregiato” sulla strada che portava al Quirinale, offre il suo via libera all’Italicum. Dario Franceschini parla di «capolavoro. Matteo è stato molto bravo». Cuperlo si alza e se ne va. Ma alla fine il “patto” ottiene 111 voti a favore, nessun voto contrario e 34 astenuti. Renzi fa capire che si va già oltre, la scelta non sarà più messa in discussione, non è emendabile e i gruppi parlamentari si adegueranno. «Vi diamo una settimana di respiro. Una nuova riunione è convocata per la settimana prossima. Si parlerà di job act». La partita è chiusa. Dal punto di vista del segretario.

Non è così per la minoranza. Cuperlo è infuriato, non ha digerito l’attacco personale: «Chi parla di preferenze non avrebbe dovuto farsi candidare nel listino bloccato schivando le primarie. Almeno Fassina ha preso 12 mila preferenze…», è stata la frustata del segretario. Pesante. «Da vero comunista », dice Pierluigi Castagnetti che pure è un sostenitore del sindaco. Massimo D’Alema doveva intervenire, ma non l’ha fatto. Franceschini minimizza: «I due caratteri sono destinati a scontrarsi. Ma c’è un’unità sostanziale », dice il ministro. Eppure lo spettro della scissione appare sempre più evidente. Stare insieme non è possibile, anche se nella minoranza la divisione è già conclamata. Matteo Orfini e Andrea Orlando stanno portando i Giovani turchi dalla parte del segretario o comunque lontano dalle sirene scissioniste. Non sono casuali i recenti complimenti pubblici al ministro dell’Ambiente pronunciati dal sindaco.

Renzi spiega che adesso «nessuno potrà più accusarmi di essere il killer di Letta». Non voleva far cadere il governo, giura, e continua a non volerlo. «Quest’intesa porterà l’esecutivo al 2015, anche oltre forse. Se fa le cose». Il premier evita i commenti pubblici. Ma a Palazzo Chigi si fa notare che il segretario ha dovuto ascoltare anche la voce di Letta. Nel drammatico vertice notturno della scorsa settimana era entrato con il sistema spagnolo in tasca. Ne è uscito, tre giorni dopo con il doppio turno. Ovvero il sistema consigliato dal premier e da Franceschini in quella stessa riunione. Ma il merito di Renzi è sicuramente quello del sprint, di un’accelerazione decisiva. «Senza di lui non saremmo a questo punto», dice Franceschini. In fondo anche Alfano tira un sospiro di sollievo. Le barricate sulle preferenze sono solo tattica, dicono i renziani. «Abbiamo tolto di mezzo il sistema spagnolo e recuperato margini di manovra per la nostra permanenza nel centrodestra. È un risultato vero», spiega il vicepremier.

La prova dei fatti è vicina. Entro il 27 gennaio, ossia tra una settimana, la legge elettorale dovrà arrivare nell’aula della Camera. Si vedrà già nelle prossime ore, quale sarà il testo firmato da Pd, Ncd, Forza Italia, Scelta civica che diventerà lo schema della legge finale. «Io vigilerò ogni minuto perché tutti i paletti dell’accordo siano rispettati», avverte il segretario. «Non accetto scherzetti o rinvii». Ai suoi uomini in Parlamento è affidato il compito di monitorare minuto per minuto il cammino dell’Italicum. Ora il match è quello del governo. «Ma è importante aver dato una risposta sulle riforme. Basta chiacchiere, se si parla di un provvedimento si va fino in fondo. È la risposta a Grillo», spiega il segretario alla fine della giornata. Fonte