Ambiente e salute

LA FINANZA INDAGA SUL MINISTERO DALLA DI GIROLAMO. INCHIESTA DELLA PROCURA DI ROMA SUI FONDI UE & NOMINE

By admin

January 25, 2014

ROMA — Dove finiscono i soldi dell’agricoltura italiana? A chi Nunzia De Girolamo, e prima di lei gli altri ministri che si sono seduti su quella poltrona, concede i miliardi di euro che ogni anno arrivano dall’Europa per i produttori di casa nostra? È attorno a queste due domande che si muove un’indagine molto delicata della guardia di Finanza di Roma che, ancora qualche giorno fa, per acquisire documenti, fatture, mandati di pagamento, verbali di gare d’appalto ha bussato alle porte del ministero dell’Agricoltura e dell’Agea, la società controllata al 51 per cento, che ha il compito di erogare proprio i fondi. L’agenzia, cioè, dove la De Girolamo ha posizionato alcuni suoi fidati collaboratori. Il sospetto è che per anni, e fino a oggi, un’associazione a delinquere abbia lavorato di nascosto per ingannare l’Unione europea e frodare milioni e milioni di euro.

Il tema sono i Pac, i contributi destinati a sostenere chi in Italia coltiva la terra e alleva bestiame. Le cifre che ballano sono elevatissime: dal 2007 al 2013 sono arrivati da Strasburgo 8,9 miliardi di euro. A novembre sono stati ripartiti quelli per il periodo 2014-2020, e per l’Italia ci sono 44 miliardi. Insomma, una montagna di denaro. In parte gestita direttamente dell’Unione europea che sceglie che tipo di produzioni sovvenzionare. Un’altra parte però è in capo allo Stato che decide quali sono le priorità: in queste settimane sono arrivate al ministero richieste perché non vengano privilegiati alcuni territori a svantaggio di altri. Perché tra le regioni più “fortunate” ci sarebbe proprio la Campania, terra da cui proviene e ha il feudo elettorale la De Girolamo.

«Le nomine — spiega Enzo Lavarra, responsabile agricoltura del Pd — che il ministro ha fatto all’Agea sono assolutamente inadeguate. Serve gente esperta e invece…». Il riferimento è a Giovanni Mainolfi, generale della Finanza, scelto proprio per «mettere ordine nell’agenzia». Il problema è che Mainolfi è indagato nell’inchiesta sulla P4 ed è più volte citato in quella della P3, come «persona vicina ad Alfonso Papa e Pasquale Lombardi», il politico e faccendiere campano che secondo la procura di Napoli avrebbero organizzato un’associazione segreta per pilotare appalti e concorsi. Lombardi conosce bene Nicola de Girolamo, padre del ministro. Nel 2003 fu nominato nel comitato di sorveglianza del Consorzio agricolo di Benevento dove Nicola era direttore. E lo è ancora tuttora, nonostante sua figlia, il ministro, sia in qualche modo il suo controllore. «Ma mai farò interventi diretti» ha giurato lei.

Tornando all’Agea, la preoccupazione del ministro nasceva dai continui ingressi dei finanzieri del Nucleo Spesa pubblica e frodi comunitarie, guidati dal generale Bruno Bartoloni, che stanno portando avanti l’inchiesta della procura di Roma. Il fascicolo non è contro ignoti, ma i nomi iscritti sono al momento top secret. Certo è però che l’indagine si muove in due direzioni: la prima riguarda il monte dei contributi, che spesso invece di finire ai produttori si perdono nei meandri della burocrazia interna tra appalti e software milionari mai realizzati. La seconda ha come oggetto un buco di 50 milioni: l’Agea nel corso dal 1999 al 2012 anni ha riscontrato una serie di irregolarità nella gestione dei fondi comunitari, quantificati dalla Corte dei Conti in 1,9 miliardi di rettifiche finanziare che l’Italia ha dovuto restituire. Secondo i finanzieri, però, l’Agea non ha rendicontato con regolarità ai revisori a Bruxelles. Risultato, l’Unione potrebbe bloccare i nuovi finanziamenti.

Non solo. Sotto osservazione è finita anche la Sin (il direttore generale nominato è Antonio Tozzi, ex fidanzato di Nunzia), una delle agenzie satellite dell’Agea, che ha il compito di gestire il sistema informativo tra il ministero e le singole Regioni. Non a caso tra i soci di Agea in questo progetto figurano anche Finmeccanica e Ibm. Ma c’è soprattutto Almaviva, un’azienda che — come segnalato dall’Espresso — vince nel 2007 un appalto da 1,1 miliardi di euro in cambio di servizi informatici fino al 2016. «Un servizio scadente» ha denunciato alla procura il deputato del Pd, Ernesto Carbone, epurato dalla Sin di cui è stato presidente fino ad aprile. Carbone è accusato di spese pazze. Ma lui ha ribaltato il tavolo denunciando appunto il mal funzionamento del software e la cattiva gestione dei vecchi amministratori. FONTE