Ambiente e salute

Undici giorni dopo il Nobel per la pace, l’Etiopia minaccia guerra all’Egitto

By admin

October 31, 2019

A general view shows construction work at Ethiopi..

31/10/2019 – Di premi Nobel per la pace controversi ce ne sono stati tanti, specialmente quando il riconoscimento è stato tributato a esponenti politici di altissimo profilo coinvolti in conflitti interminabili (Henry Kissinger, Arafat, Begin, eccetera) o che hanno deluso in seguito le aspettative (Barack Obama, Aung San Suu Kyi, l’Unione Europea, eccetera), ma non era mai successo che una personalità insignita del premio minacciasse un paese vicino di guerra appena 11 giorni dopo che gli era stato notificato il Nobel.

È accaduto con Abiy Ahmed, il primo ministro etiopico che l’11 ottobre scorso è stato nominato premio Nobel per la pace 2019 per il ruolo svolto nella riconciliazione fra il suo paese e l’Eritrea, che erano in guerra dal 1998, ma il 22 ottobre ha minacciato di scatenare un conflitto con l’Egitto se tale paese si opporrà al completamento della Grande diga del Rinascimento etiopico sul Nilo Azzurro che Addis Abeba ha cominciato a costruire nel 2013 e che entrerà nella prima fase operativa nel giugno prossimo, con l’inizio del riempimento del suo grande bacino.

«RISPONDERE CON LE BOMBE» Durante un question time del parlamento etiopico, a una domanda sullo stallo dei negoziati col Cairo sulla gestione delle acque del Nilo dopo il completamento della diga il premier ha così risposto:

«Alcuni dicono delle cose sull’uso della forza [da parte dell’Egitto, ndt]. Voglio sottolineare che nessuna forza può impedire all’Etiopia di costruire una diga. Se ci sarà bisogno di andare in guerra, noi potremo avere milioni di persone pronte a combattere. Se qualcuno volesse lanciare un missile, altri [sottinteso: noi altri, ndt] potrebbero rispondere con le bombe. Ma questo non è nell’interesse di tutti noi».

Abiy si riferiva a organi di stampa egiziani filo-governativi che avevano evocato l’eventualità del ricorso alle armi dopo che all’inizio del mese i negoziati a tre (Egitto, Sudan, Etiopia) si erano arenati, ma il governo del Cairo, che nei suoi esponenti ufficiali non ha mai usato un tale linguaggio, ha reagito con preoccupazione definendo i commenti di Abiy «inaccettabili».

LE RAGIONI DELLA CONTESA L’oggetto del contendere fra Egitto ed Etiopia (per ragioni economiche, demografiche e di debolezza politica il Sudan, sul cui territorio confluiscono in un unico alveo il Nilo Bianco e il Nilo Azzurro, che poi lo attraversano per tutta la sua lunghezza, resta sullo sfondo) riguarda sia i tempi previsti per il riempimento del bacino della grande diga che la quantità di acqua che gli etiopici si impegnano a lasciar passare perché sia utilizzata dalla diga egiziana di Assuan a vantaggio dell’agricoltura nazionale.

Gli egiziani chiedono che il bacino della diga sia riempito alla sua portata massima nel corso di sette anni per evitare di ridurre troppo il flusso di acque verso l’Egitto, tenuto conto delle ricorrenti siccità dell’area; gli etiopici prevedono di realizzare l’operazione nel giro di quattro anni; gli egiziani chiedono che l’Etiopia si impegni a garantire 40 miliardi di metri cubi di acqua del Nilo all’anno all’Egitto, gli etiopici non sembrano disposti ad andare oltre i 31 mila miliardi.

QUEI PRINCIPI RIMASTI INATTUATI I negoziati fra i tre paesi sono iniziati nel 2014, subito dopo l’avvio dei lavori della diga (che è costruita dall’italiana Salini-Impregilo e che alla fine dei lavori rappresenterebbe la più grande infrastruttura idroelettrica di tutto il continente africano), e per tre volte si sono bloccati. Il momento migliore è stato nel marzo 2015, quando i tre paesi hanno raggiunto e firmato a Khartoum un’intesa di massima recante il titolo “Accordo su di una dichiarazione di principio sul Progetto di Grande diga del Rinascimento etiopico”.

I princìpi individuati nella dichiarazione, però, non si sono mai tradotti in impegni precisi e applicabili, soprattutto il principio III:

«I tre paesi prenderanno tutte le misure appropriate per impedire il verificarsi di seri danni nell’utilizzo delle acque del Nilo Azzurro e del Nilo. Nel caso che tuttavia significativi danni siano causati a uno dei paesi, lo Stato il cui uso delle acque ha determinato quel danno dovrà, in assenza di un accordo che permetteva l’uso che è stato fatto delle acque, prendere ogni misura appropriata in consultazione con lo Stato interessato per eliminare o mitigare tale danno e, quando fosse appropriato, discutere la questione di una compensazione».

ENERGIA ELETTRICA E POSTI DI LAVORO Non deve stupire più di tanto che l’ipotesi di una guerra per l’acqua del Nilo – un leit-motiv degli scenari geopolitici internazionali – sia stata nuovamente evocata, poiché veramente per l’Etiopia come per l’Egitto lo sfruttamento delle acque del fiume più lungo del mondo è questione di vita o di morte. Il governo di Addis Abeba conta attraverso gli impianti idro-elettrici della diga, la cui entrata in funzione è prevista per il 2022/23, di fornire energia elettrica a 65 milioni di etiopici (su 105 milioni di abitanti) che ne sono attualmente privi, grazie a una potenza di 6.450 gigawatt; l’Egitto, che ha 98 milioni di abitanti, dipende per il 97 per cento dei suoi fabbisogni idrici dalle acque del Nilo, e secondo un dirigente del ministero dell’Irrigazione una flessione della disponibilità delle acque sotto i 40 miliardi di metri cubici all’anno avrebbe conseguenze tremende:

«Potremmo perdere più di un milione di posti di lavoro e 1,8 miliardi di dollari di produzione agricola, come pure 300 milioni di dollari di produzione elettrica».

LE MEDIAZIONI DI MOSCA E DI WASHINGTON Dopo l’ultimo collasso dei negoziati l’Egitto ha prospettato l’invito di un paese terzo come mediatore fra egiziani ed etiopici, incontrando la risposta negativa di questi ultimi. Nonostante ciò un incontro fra il premier Ahmed e il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha avuto effettivamente a luogo a Sochi sotto gli auspici del governo di Mosca nel corso del summit Russia-Africa che si è svolto nella località sul Mar Nero il 23 e il 24 ottobre scorsi.

Contemporaneamente gli Stati Uniti hanno offerto la propria mediazione invitando Egitto, Sudan ed Etiopia a un incontro a Washington in una data da definirsi. Solo l’Egitto finora ha risposto positivamente all’offerta. La mossa americana sembra essere più una risposta improvvisata all’iniziativa russa che un serio progetto di risoluzione della controversia fra Il Cairo e Addis Abeba. – [FONTE] CONTINUA A LEGGERE >>

Etiopia, Valle dell’Omo: il grande inganno della diga Gibe III Fame, contadini senza campi e pastori semi-nomadi costretti a diventare sedentari. Sono questi gli effetti della costruzione della diga Gilgel Gibe III in Etiopia, sul fiume Omo. La denuncia – riportata in un bel reportage di Marta Gatti pubblicato da Nigrizia e dalle immagini girate da Marco Palombi – arriva dal rapporto del centro studi californiano The Oakland Institute, diffuso nel giugno appena trascorso In ‘How they tricked us: living with the Gibe III dam and sugarcane plantation in Southwest Ethiopia’ (Come ci hanno ingannati: vivere con la diga Gibe III e le piantagioni di canna da zucchero nel Sudest dell’Etiopia) il centro studi mette in luce il peggioramento delle condizioni di vita per le popolazioni indigene della Valle dell’Omo, a tre anni dal completamento della diga e a sette dai primi impianti per la coltivazione di canna da zucchero.

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