Ambiente e salute

Anche Davigo scarica Di Matteo per l’attacco televisivo al ministro Bonafede

By admin

May 07, 2020

06/05/2020 – La condanna dell’associazione dei magistrati dopo le accuse al Guardasigilli: «Equilibrio e misura negli interventi pubblici». E l’ex pm di Mani Pulite Davigo, critica il collega del Csm. Di Matteo resta (quasi) solo. È la giunta dell’Associazione nazionale magistrati a sancirlo con un comunicato che non lo cita, ma è lessicalmente se non antropologicamente ritagliato su di lui. L’organo di vertice del sindacato delle toghe predica «equilibrio e misura, valutando con rigore l’opportunità di interventi pubblici e le sedi ove svolgerli nonché tenendo conto delle ricadute che le dichiarazioni possono avere nei rapporti tra le Istituzioni». [Continua su LaStampa]

In cosa consiste la ‘Fase 2’ i detenuti in carcere? Di tutte queste vicende la si pensi come ognuno crede; il fatto è che non è per niente decoroso attaccare dagli schermi televisivi il Ministro della Giustizia, adombrando chissà quale oscuro interesse e manovra dietro la mancata nomina al vertice del DAP.

Come finirà? Lo si dice con amarezza: dopo tanto berciare probabilmente la cosa finirà come è cominciata: Bonafede resta ministro; Di Matteoresta al CSM. Davvero paradossale che il ministro della Giustizia più ‘manettaro’ e più sensibile alle ragioni della magistratura emergenzialista che la Repubblica ricordi, finisca sotto accusa per, di fatto, lesa maestà di un magistrato. Il segretario del Partito Radicale Maurizio Turco, che ha addirittura denunciato il ministro e il DAP a tutte le procure della Repubblica per come hanno trattato il ‘dossier’ Coronavirus nelle carceri, ora quasi difende Bonafede, augurandosi che per il Guardasigilli sia “l’occasione di rivedere le sue politiche sulla giustizia e sul carcere con l’occhio anti-mafista, e si faccia guidare dalla Costituzione”.

Nel frattempo, i problemi incancreniscono, irrisolti; in cosa consiste la cosiddetta ‘Fase 2’, per le carceri? Tutto resterà come adesso, o qualcosa cambierà? E come?

La pandemia ha portato a rigide limitazioni dietro le sbarre: vietati i colloqui con i familiari, volontari costretti a rimanere fuori, no a corsi né laboratori con l’apporto di personale esterno. I detenuti sono troppo vicini, a causa del sovraffollamento, sempre più a rischio contagio (anche se con la mascherina).

I numeri ufficiali del 28 aprile sulla diffusione del Covid-19 negli istituti penitenziari dicono che c’è un’impennata di casi positivi: 150 (il 6 aprile erano solo 37) sulle 53.345 persone ristrette nelle 190 carceri italiane dove la capienza effettiva è di 46.731 posti. Tredici tra i contagiati sono ricoverati in ospedale. Non si sa quanti detenuti siano stati sottoposti a tampone. Tra il personale i contagi sarebbero arrivati a 300, secondo i sindacati della polizia penitenziaria. Il “decreto aprile” firmato domenica dal presidente del Consiglio, prorogando di fatto le disposizioni precedenti, per le carceri stabilisce solo che “i casi sintomatici dei nuovi ingressi sono posti in condizione di isolamento dagli altri detenuti, raccomandando di valutare la possibilità di misure alternative di detenzione domiciliare“.

Si raccomanda, prosegue il provvedimento, di limitare i permessi e la semilibertà odi modificare i relativi regimi in modo da evitare l’uscita e il rientro dalle carceri, valutando la possibilità di misure alternative di detenzione domiciliare. Nulla di nuovorispetto al precedente assetto anti-coronavirus.

Intanto la Corte europea per i diritti dell’Uomo chiede chiarimenti all’Italia sulla situazione nelle carceri in merito all’emergenza Coronavirus. La pronuncia si riferisce, in particolare, all’istituto di pena delle Vallette, a Torino dove è scoppiato un focolaio dell’epidemia.

Da ultimo, merita d’essere registrata la ‘voce’ di Gherardo Colombo, per oltre trent’anni pubblico ministero, titolare di numerose, scottanti inchieste, la P2, il delitto Ambrosoli, ‘Mani Pulite’ milanese. Oggi, Colombo è arrivato a una conclusione radicale: “Ritengo il carcere, così com’è, non in coerenza con la Costituzione. L’articolo 27 della Costituzione dice che ‘le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità’. Eppure, basta mettere piede in qualsiasi penitenziario italiano, salvo rare e parziali eccezioni, per rendersi conto che le condizioni in cui vivono i detenuti lo contraddicono scandalosamente“.

Il pensiero di Colombo è condensato in un libro di recente pubblicazione: “Il perdono responsabile. Perché il carcere non serve a nulla” (Ponte alle Grazie). Si ricostruisce il concetto di pena nelle società occidentali. Si “esplora” la possibilità di un’altra idea di giustizia, presente già nell’Antico e nel Nuovo Testamento; e individuabile nella Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo e nella Costituzione: “E’ un invito alla trasformazione: il carcere così com’è oggi, in Italia, è da abolire. Non faccio nessuna fatica a dirlo. Conosco l’obiezione e perciò aggiungo: abolire il carcere non significa lasciare chi è pericoloso libero di fare del male agli altri”.

Dunque, non è un ‘liberi tutti’. Occorre mettere le persone pericolose nella condizione di non esercitare la propria pericolosità. Come? Con misure “che limitino la loro libertà, ma garantendo il loro diritto allo spazio vitale, alla salute, alla dignità, all’affettività. Andando il più possibile verso misure alternative al carcere”. – [fonte] CONTINUA A LEGGERE >>

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