Ambiente e salute

Rientrati in cella 50 boss grazie al decreto bonafede: erano quelli più pericolosi

By admin

June 07, 2020

07/06/2020 – Sono oltre 50 i boss tornati in carcere, in centri clinici penitenziari o in strutture equiparate, a tre settimane dal decreto “anti scarcerazioni” voluto dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Un provvedimento varato dopo che 253 detenuti dell’alta sicurezza e tre del 41-bis (356, non 376 complessivi come ha scritto la stampa) sono stati posti ai domiciliari per alto rischio Covid-19, perché soffrono di altre patologie.

Appena giovedì scorso, sono stati revocati i domiciliari a Vincenzino Iannazzo, boss al 41-bis. Lo ha deciso la Corte d’Appello di Catanzaro alla luce del decreto che ha chiesto ai giudici competenti di riesaminare le scarcerazioni, dato che siamo nella fase 3 della pandemia. Iannazzo, ritenuto il capo dell’omonima cosca di ‘ndrangheta di Lamezia Terme, è stato condannato in appello a 14 anni e mezzo di carcere. Ora è detenuto nel reparto di medicina protetta dell’ospedale Belcolle di Viterbo.

Per una revisione dei domiciliari si era mosso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) che, dopo le dimissioni di Francesco Basentini, ha come direttore Bernardo Petralia. Il vice è Roberto Tartaglia, che ha la delega ai detenuti 41-bis e alta sicurezza. Proprio il decreto del 9 maggio ha attribuito al Dap il potere di indicare ai giudici competenti soluzioni sanitarie adeguate, alternative ai domiciliari, che concilino il diritto alla salute dei detenuti con il dritto alla sicurezza dei cittadini, come, appunto, i reparti di medicina protetta dell’ospedale di Viterbo o il Pertini di Roma o i nuovi padiglioni di Parma, Trani, Lecce.

Iannazzo era ai primi posti dell’elenco di 40 detenuti compilato da Tartaglia subito dopo il decreto. Si tratta di una lista “prioritaria” in base alla pericolosità sociale dei 256 detenuti finiti ai domiciliari. E si vedono già dei risultati. Prima che a Iannazzo sono stati revocati i domiciliari ad altri boss. Come Francesco Bonura, al 41-bis, legato a Bernardo Provenzano. Il provvedimento del giudice di Sorveglianza di Milano, del 19 maggio, ha recepito l’indicazione del Dap (Percolle o Pertini). Il 20 maggio è la Corte d’Appello di Palermo a revocare i domiciliari a Cataldo Franco, all’ergastolo per concorso nel rapimento del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, sequestrato per 25 mesi, strangolato e sciolto nell’acido nel 1996. Sempre della “lista prioritaria” di Tartaglia, fanno parte altri detenuti a cui sono stati revocati i domiciliari in queste settimane: Antonio Sacco, boss di Brancaccio, a Palermo, Pietro Pollichino, boss corleonese; Antonino Sudato, altro boss siciliano; Carmine Alvaro, capo della omonima ‘ndrina di Sinopoli; Antonio Mandaglio, “capo società” di ’ndrangheta nel Lecchese; Vincenzo Lucio, camorrista del clan Birra di Ercolano; Vincenzo Guida, accusato a Milano di aver creato una sorta di “banca della camorra”; Francesco Barivelo, del clan Perelli di Taranto, condannato all’ergastolo per l’omicidio, nel 1994, dell’agente della polizia penitenziaria Carmelo Magli: “Dal primo giorno – ha dichiarato Petralia – siamo impegnati a dare seguito al ruolo che il nuovo decreto assegna al Dap, ma in un certo senso questa vicenda era in cima alla lista. Lo dovevamo al corpo che mi onoro di guidare”.

Dei tre detenuti al 41-bis scarcerati tra marzo e aprile, resta ai domiciliari soltanto Pasquale Zagaria, il camorrista del clan dei Casalesi finito a casa della moglie, nel Bresciano, in piena zona rossa Covid, su decisione del Tribunale di Sorveglianza di Sassari, complice una malagestione del caso da parte del Dap a guida Basentini. Sulla revoca o meno dei domiciliari non c’è ancora una decisione del Tribunale di Sorveglianza perché ha prima dovuto rinviare di una settimana l’udienza, per un difetto di notifica alla difesa e poi, giovedì si è riservato sia sulla revoca o meno del provvedimento sia sulla richiesta degli avvocati di rivolgersi alla Corte costituzionale, come ha fatto il Tribunale di Spoleto, perché il decreto Bonafede violerebbe il diritto di difesa. Nel frattempo, Zagaria è in un ospedale lombardo per le complicazioni di un esame. – [FONTE] CONTINUA A LEGGERE >> VIDEO CORRELATI:

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