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Vaticano, lo scandalo soldi dei poveri dell’Obolo di San Pietro: estorsione da 15 milioni alla Segreteria di Stato

By admin

June 08, 2020

08/06/2020 – La stangata al Vaticano: truffe, veleni, raggiri, estorsioni, lotte di potere, loschi affari e faccendieri spregiudicati, tradimenti consumati nei sacri palazzi, funzionari infedeli, rogatorie in Svizzera, indagini a Londra, il progetto di un bond da 30 milioni di euro con la Banca Popolare di Bari, infiniti rivoli di denaro che portano lontano, lontanissimo, dall’obolo di carità per i poverelli a cui i tanti soldi spariti erano destinati. Il più grande scandalo finanziario di sempre a Oltretevere, per come lo hanno ricostruito i magistrati vaticani, e che l’Adnkronos è in grado di rivelare (si parte da 300 milioni ma le cifre dei soldi che ballano in varie operazioni sarebbero molto più alte) si è consumato negli anni all’insaputa di un Papa Francesco impegnato in un’epocale e radicale opera di moralizzazione che non pochi nemici ha incontrato (e tuttora incontra) sulla sua strada.

Quello che si dipana in queste ore dopo l’arresto di Torzi è uno scandalo senza precedenti che non risparmia niente e nessuno e che con l’arresto del broker per peculato, truffa, estorsione e auto riciclaggio è destinato a terremotare la Chiesa di Roma. Un sisma giudiziario che si traduce nella gestione “allegra” di centinaia e centinaia di milioni di euro relativa all’acquisto da parte della Segreteria di Stato Vaticana dell’immobile di Sloane Avenue nella capitale britannica (prezzo triplicato rispetto al valore iniziale). Tutto, dunque, ruota attorno all’imprenditore Gianluigi Torzi, intervenuto nell’affare – secondo i magistrati pontifici – per risolvere l’impasse della partecipazione della Santa Sede al fondo Athena e diventato poi, secondo la procura vaticana, l’uomo in grado di tenere in pugno la segreteria di Stato fino a riuscire a estorcerle 15 milioni di euro.

Per gli inquirenti dell’Ufficio del Promotore di Giustizia Gian Piero Milano e del suo aggiunto Alessandro Diddi il quadro si fa inquietante a cominciare dagli investimenti fatti dalla Segreteria di Stato nell’Athena Capital Global Opportunities Fund del noto finanziere Raffaele Mincione, dopo un analogo tentativo di business naufragato in Angola: un’operazione, quella con Athena, nata quando a capo della sezione Affari generali della Segreteria c’era monsignor Angelo Becciu, e considerata anomala dalla magistratura vaticana già solo per il fatto che si fosse deciso di finanziare in parte il fondo con i denari dell’Obolo di San Pietro, destinando dunque somme possedute con vincolo di scopo per il sostegno delle attività caritatevoli a vere e proprie operazioni speculative.

La necessità di uscire da questa operazione scomoda che era costata milioni di euro al Vaticano porterà poi al ‘caso’ dell’acquisto dell’immobile di Sloane Avenue con l’intermediazione di Torzi e della sua Gutt Sa, scatenando uno dei più violenti scontri mai registrati Oltretevere e uno scambio al vetriolo tra il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, che ha definito “opaco” l’affare di Londra, e l’ex Sostituto della Segreteria di Stato, mons. Angelo Becciu, che ha assicurato di aver sempre agito nell’esclusivo interesse della Santa Sede arrivando a evocare la ‘macchina del fango’.

Con indagini mirate la “procura” pontificia avrebbe accertato ruoli e interessi dei protagonisti oltre al percorso dei “soldi dei poveri” finiti a finanziare acquisizioni – osservano gli inquirenti – di azioni per diversi milioni di dollari, la sottoscrizione di obbligazioni e perfino quella di un bond emesso da una società riconducibile ancora a Mincione per 16 milioni di dollari: tutte mosse che peraltro, lungi dal portare un guadagno alle casse del Vaticano, per gli inquirenti si sono tradotte in una perdita accertata di oltre 18 milioni di euro al settembre del 2018 e che, secondo gli investigatori, potrebbero nascondere una enorme voragine nei conti della Santa Sede.

Arresto Torzi, estorsione da 15 milioni alla Segreteria di Stato Estorsione da 15 milioni al Vaticano. E’ l’inquietante ipotesi che emerge dall’inchiesta di Oltretevere che ha portato oggi all’arresto di Gianluigi Torzi nell’ambito delle indagini sull’acquisto del palazzo di Sloane Avenue a Londra da parte della Santa Sede. Torzi, imprenditore molisano, stando alle ricostruzioni dell’accusa sarebbe entrato in contatto con la Segreteria di Stato per aiutarla a risolvere l’impasse della partecipazione al fondo Athena di Raffaele Mincione, partecipazione finanziata con i soldi dell’Obolo di San Pietro – destinati ai poveri – e costata alle casse vaticane – sempre secondo quanto ricostruito dagli inquirenti – perdite per svariati milioni di euro. Il broker ora agli arresti, però, stando alle accuse si sarebbe ben presto trasformato nell’uomo in grado di tenere in pugno la segreteria di Stato fino a portare a compimento una estorsione di 15 milioni.

A mettere Torzi nelle condizioni di portare a segno un’estorsione al Vaticano è la truffa che, sempre secondo gli investigatori, l’imprenditore avrebbe commesso ai danni della Segreteria di Stato. In particolare, a quanto apprende l’Adnkronos, Torzi, che con la sua Gutt Sa aveva triangolato per la Santa Sede l’acquisto da Mincione dell’immobile di Londra al centro dell’inchiesta, avrebbe trattenuto senza farlo sapere alla Segreteria di Stato mille azioni (le uniche con diritto di voto) della società, con ciò impedendo di fatto al Vaticano (cui aveva ceduto 30mila azioni ma senza diritto di voto) di disporre del palazzo.

Gli inquirenti avrebbero scoperto che nel corso di una riunione per convincere l’imprenditore a cedere le sue azioni e alla quale parteciparono anche monsignor Edgar Pena Parra, Sostituto della segreteria di Stato Vaticana, Giuseppe Maria Milanese, che avrebbe agito nell’interesse della Segreteria, l’avvocato dello studio Ernst & Young Manuele Intendente e Renato Giovannini, rettore vicario Università Guglielmo Marconi, Torzi si sarebbe detto disponibile a rinunciare, previo risarcimento delle spese e con un piccolo margine guadagno, somma che in un successivo incontro venne quantificata in 3 milioni di euro.

Tuttavia, nonostante l’accordo verbale, nell’ipotesi investigativa Torzi non avrebbe restituito le azioni residue della Gutt Sa. Anzi, la sua strategia ‘al rialzo’ sarebbe emersa nel corso di una drammatica e lunghissima riunione nello studio di Giovannini, dalla quale sarebbe venuto fuori che più persone erano state coinvolte nell’operazione e che somme di denaro erano state date o promesse anche ad “altri”. Vero? Falso? E chi sarebbero questi “altri”? E, ancora, che Enrico Crasso, gestore delle finanze della Segreteria di Stato attraverso Sogenel Capital Holding, e Fabrizio Tirabassi, responsabile dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, qualche giorno prima in un incontro a Milano gli avessero offerto 9 milioni di euro per cedere le azioni.

Una cifra consistente, ritenuta però insufficiente da Torzi che, secondo quanto riferito agli investigatori da più testimoni, sarebbe arrivato a ipotizzare la somma di 24 milioni e perfino di 30 milioni per restituire l’immobile di Londra alla Santa Sede, in un’escalation che a quanto apprende l’Adnkronos avrebbe spinto Giovannini, interrogato dagli inquirenti vaticani, a non poter negare che le richieste dell’imprenditore molisano avessero i toni di una “estorsione”.

Successivamente, nel corso di un incontro con il Sostituto della Segreteria Vaticana, Tirabassi e monsignor Alberto Perlasca, responsabile dell’ufficio amministrativo della Segreteria, dalle indagini sarebbe emerso che avrebbero proposto di prelevare i 20 milioni necessari a chiudere la transazione con Torzi dal cosiddetto Fondo discrezionale, un fondo creato nel 2015 per le spese discrezionali del Papa. Operazione che sarebbe finìta nel nulla anche grazie alla mediazione di monsignor Mauro Carlino che avrebbe convinto Torzi ad accettare 15 milioni anziché 20, al pagamento dei quali, secondo la procura vaticana, si sarebbe consumata l’estorsione.

Vaticano, il Papa e lo scandalo Obolo di San Pietro: “Pentola scoperchiata da noi” E’ il 26 novembre del 2019 quando Papa Francesco rientra a Roma dal viaggio in Thailandia e Giappone. Durante il volo, come di consueto, risponde alle domande dei giornalisti, che inevitabilmente si concentrano anche sul recente scandalo dell’acquisto del palazzo a Londra con i soldi dell’Obolo di San Pietro, dunque sull’uso delle finanze vaticane. Sul punto, il Santo Padre usa parole chiare: “Prima di tutto – dice – in una buona amministrazione normale: arriva la somma dell’Obolo, e cosa faccio? La metto nel cassetto? No, questa è una cattiva amministrazione. Cerco di fare un investimento così quel capitale non si svaluta, si mantiene o cresce un po’. Questa è una buona amministrazione. L’amministrazione del cassetto è cattiva. Ma si deve cercare una buona amministrazione o un buon investimento: chiaro? Un buon investimento, da noi si dice un investimento da vedove, come fanno le vedove, due o tre, cinque là, se cade uno c’è l’altro…un buon investimento è sempre sul sicuro e sul morale”.

Subito dopo Papa Bergolio spiega: “Se tu fai un investimento con l’Obolo su una fabbrica di armamenti, l’Obolo non è l’Obolo lì, eh! Si può anche comprare una proprietà, affittarla e poi venderla. Ma sul sicuro, con tutte le sicurezze. Poi è successo uno scandalo, perché hanno fatto cose che non sembrano pulite. Ma la denuncia non è venuta da fuori. Quella riforma della metodologia economica che aveva già iniziato Benedetto XVI è andata avanti ed è stato il Revisore dei conti interno a dire: “Qui c’è una cosa brutta, qui c’è qualcosa che non funziona”. È venuto da me. Gli ho detto: “Lei è sicuro?”. Ha risposto: “Sì, cosa debbo fare?”. E io: “Ma c’è la giustizia vaticana, vada e faccia la denuncia al Promotore di giustizia”, e in questo io sono rimasto contento perché si vede che l’amministrazione vaticana adesso ha le risorse per chiarire le cose brutte che succedono dentro, come in questo caso, che se non è il caso dell’immobile di Londra – perché ancora questo non è chiaro – ma lì c’erano casi di corruzione”.

Il “Promotore – aggiunge il Santo Padre – ha studiato l’accusa, ha fatto le consultazioni e ha visto che c’era uno squilibrio nel bilancio e poi ha chiesto a me il permesso di fare le perquisizioni. Io ho detto: “È sicuro?”. E lui: “Sì, c’è una presunzione di corruzione, e in questi casi io devo fare perquisizioni”. E io ho firmato le autorizzazioni. È stata fatta la perquisizione in cinque uffici, e al giorno di oggi, fermo restando la presunzione di innocenza, ma ci sono i capitali che non sono amministrati bene anche con corruzione. Credo che in meno di un mese inizieranno gli interrogatori delle 5 persone che sono state bloccate perché c’erano indizi di corruzione. Lei potrà dirmi, ma questi cinque sono corrotti? No, la presunzione è una garanzia per tutti, un diritto umano, ma c’è corruzione e si vede. Con le perquisizioni si vedrà se sono colpevoli o no”.

È “una cosa brutta e non è bello che succedano queste cose in Vaticano – evidenzia ancora il Papa -, ma è stato chiarito dai meccanismi interni che cominciano a funzionare che il Papa Benedetto aveva iniziato a fare. Di questo ringrazio Dio: non che ci sia la corruzione, ma che il sistema del controllo vaticano funziona bene”. Poi, rispondendo ancora una domanda dei giornalisti sulle finanze vaticane, la presunta “guerra interna” su chi deve controllare i soldi, le dimissioni del Cda dell’Aif e sulla decisione del gruppo Egmont, circuito informativo globale, che ha sospeso il Vaticano dalle comunicazioni sicure, il Santo Padre spiega: “Il Vaticano ha fatto passi avanti nella sua amministrazione. Per esempio, lo Ior oggi ha la accettazione di tutte le banche e può agire come le banche italiane, normalmente, cosa che un anno fa ancora non c’era. Ci sono stati dei progressi. Poi il gruppo Egmont non è ufficiale. Il controllo internazionale non dipende dal gruppo Egmont. Il gruppo Egmont è un gruppo privato che ha il suo peso. È un gruppo privato. Moneyval farà l’ispezione. L’ha programmata per i primi mesi dell’anno prossimo e la farà. Il direttore dell’Aif è sospeso perché c’erano dei sospetti di non buona amministrazione. Il presidente dell’Aif ha fatto forza insieme al gruppo Egmont per riprendere la documentazione. E questo la giustizia non può farlo” Davanti “a questo – ha aggiunto Papa Francesco – io ho fatto la consultazione presso un magistrato italiano di livello. Ho chiesto: cosa devo fare? Lui ha risposto: la giustizia davanti a un’accusa di una corruzione è sovrana in un Paese, è sovrana, nessuno può immischiarsi lì dentro, nessuno può dire al gruppo Egmont “le vostre carte sono qui”. No, devono essere studiate le carte per quello che sembra una cattiva amministrazione nel senso di un cattivo controllo. È stato l’Aif a non controllare, sembra, i delitti degli altri. Il suo dovere era controllare. Io spero che si provi che non è così, perché ancora c’è la presunzione di innocenza. Ma per il momento il magistrato è sovrano perché deve studiare come è andata, perché al contrario un Paese avrebbe un’amministrazione superiore che lederebbe la sua sovranità”. E subito dopo: “È la prima volta che in Vaticano la pentola viene scoperchiata da dentro non da fuori. Da fuori tante volte. Ma in questo Papa Benedetto è stato saggio, ha incominciato un processo che è maturato e adesso le istituzioni… che il revisore abbia avuto il coraggio di fare una denuncia scritta contro cinque persone… sta funzionando il revisore”.

Il 9 dicembre del 2019, il Santo Padre torna sul tema della corruzione affidando il suo pensiero a Twitter proprio in occasione della giornata internazionale contro la corruzione: “La corruzione – scrive – avvilisce la dignità della persona e frantuma tutti gli ideali buoni e belli. Tutta la società è chiamata a impegnarsi concretamente per contrastare il cancro della corruzione che, con l’illusione di guadagni rapidi e facili, in realtà impoverisce tutti”.

Ma sul tema della corruzione il Santo Padre è tornato anche più di recente. È il 15 febbraio del 2020, infatti, quando il Pontefice, inaugurando l’Anno giudiziario del Tribunale vaticano, spiega che le azioni di contrasto adottate dal Vaticano contro l’illegalità nel settore della finanza a livello internazionale “hanno recentemente portato alla luce situazioni finanziarie sospette, che al di là della eventuale illiceità, mal si conciliano con la natura e le finalità della Chiesa, e che hanno generato disorientamento e inquietudine nella comunità dei fedeli. Si tratta di vicende all’attenzione della magistratura, e devono essere ancora chiarite nei profili di rilevanza penale. Su di esse perciò non ci si può pronunciare in questa fase”. Poi il Santo Padre ha ribadito: “Premessa la piena fiducia nell’operato degli Organi giudiziari ed investigativi, e fermo restando il principio della presunzione di innocenza delle persone indagate, un dato positivo è che proprio in questo caso, le prime segnalazioni sono partite da Autorità interne del Vaticano, attive, sia pure con differenti competenze, nei settori della economia e finanza. Ciò dimostra efficacia e l’efficienza delle azioni di contrasto, così come richiesto dagli standard internazionali”.

Il Papa, poi, ha evidenziato che la Santa Sede “ha avviato un processo di conformazione della propria legislazione alle norme del diritto internazionale e si è impegnata a contrastare l’illegalità nel settore della finanza a livello internazionale” alimentando “rapporti di cooperazione e condivisione di politiche ed iniziative di contrasto, creando presidi interni di sorveglianza e di intervento capaci di effettuare severi ed efficaci controlli”. Infine, il 28 febbraio scorso, assente nella basilica di San Giovanni in Laterano per una lieve indisposizione, il Santo Padre ha affidato le sue parole al cardinale Angelo De Donatis, che ha letto il suo discorso soffermandosi anche sula Chiesa che “ha subìto i colpi degli scandali”, evidenziando che “il sospetto ha reso i rapporti più freddi e formali” e sottolineando che “non si gode più dei doni altrui, anzi, sembra che sia una missione distruggere”. – (di Mia Grassi e Tommaso Gallavotti – adnkronos.com) CONTINUA A LEGGERE >>

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