Cronaca

Rapporto Ue sulla corruzione in Italia, la bufala dei 60 miliardi

By admin

February 05, 2014

Il dato Ue sulla corruzione in Italia è fortemente irrealistico: una bufala nella quale sono cascati in molti, compresa l’Unione Europea. Vi spieghiamo perchè. Il rapporto Ue sulla corruzione nei paesi dell’Unione offre il fianco dello Stato italiano all’indignato professionista ma in verità contiene una cifra fortemente irrealistica, per non dire completamente falsa: il valore di 60 miliardi della corruzione in Italia, infatti, è il frutto di una stima grossolana che ha origine 10 anni fa.

Prima di affrontare l’argomento però, occorre necessariamente chiedere scusa ai nostri lettori per la confusione che questo post potrà in loro generare: solo due giorni fa infatti Polisblog aveva dato la notizia del rapporto sulla corruzione europeo in modi e termini diversi da come la leggerete. L’errore è questo: ci siamo fidati. D’altra parte, perchè non fidarsi del primo rapporto ufficiale pubblicato da un ente europeo creato ad hoc, la Commissione Ue sulla corruzione in Europa? L’errore (il fidarsi) è stato più una leggerezza anche se, come potrete leggere di seguito, gli effetti sono gravi, per la verità dei fatti; ce ne scusiamo con chi ci legge.

 

La bufala dei 60 miliardi

Il rapporto, firmato dal Commissario europeo agli Affari Interni Cecilia Malmstrom, parla del clamoroso valore economico della corruzione in Europa: metà di questo volume d’affari è tutto made in Italy, 60 miliardi l’anno che rappresentano ben il 3% del Pil nazionale: il triplo della manovra Salva-Italia.

Peccato che i calcoli eseguiti dagli “esperti” europei abbiano attinto da dati numerici sbagliati: a scriverne per primo è il blog quattrogatti.info, che aveva spiegato chiaramente come l’errore sia partito da un rapporto del 2004 pubblicato dalla Banca Mondiale, riguardante i costi economici della corruzione nel mondo: in quel rapporto si stimava il valore della corruzione, sull’intero pianeta, pari al 3% del Pil mondiale (1 trilione di dollari).

Utilizzando (male) l’arte del sillogismo aristotelico, qualcuno ha pensato bene di appiattire il dato mondiale su quello italiano: 3% del Pil (in Italia uguale a 60 miliardi). Questo primo grossolano errore però non è mai stato corretto, passando così di rapporto in rapporto, fino a finire a Bruxelles.

La Commissione europea sulla corruzione scrive di aver preso il valore corruttivo di 60 miliardi dalla Corte dei Conti e, nel pomeriggio del 3 febbraio (giorno in cui è stato pubblicato il rapporto), un lancio Ansa riferisce una dichiarazione della stessa Commissione, riguardante proprio i 60 miliardi della supposta corruzione italiana, che non sono comparabili con i 120 miliardi stimati dalla Corte Europea come totale del costo della corruzione, perché calcolati in maniera differente.

Ma quel lancio Ansa rimane lettera morta.

Scrive Davide De Luca, il primo a porre il dubbio sul “dato bufala” dopo la pubblicazione del rapporto:

“Un portavoce della Commissione, però, ha confermato il dato dei 60 miliardi, sostenendo che proviene dalla Corte dei Conti italiana e che quindi spetterebbe alla Corte dei Conti smentirlo.”

Il bravo giornalista, con l’aiuto di Davide Del Monte, risale alle prime carte della Corte dei Conti contenenti il valore dei 60 miliardi: una memoria del procuratore generale della Corte dei Conti Furio Pasqualucci, pubblicata nel giugno del 2009; nella memoria si cita una stima effettuata dal SaET (Servizio Anticorruzione e Trasparenza del Ministero della P.A. e dell’innovazione), il primo rapporto pubblicato da SaET che, a scanso di equivoci, ha preferito mettere le mani avanti:

“Le stime che si fanno sulla corruzione, 50-60 miliardi all’anno, senza un modello scientifico diventano opinioni da prendere come tali ma che, complice a volte la superficialità dei commentatori e dei media, aumentano la confusione ed anestetizzano qualsiasi slancio di indignazione e contrasto.”

Insomma, il giudice Pasqualucci citava quella che era “un’opinione”, rendendola tuttavia credibile benchè approssimativa (nemmeno il SaET cita la provenienza di quell’”opinione”). Poi, nel 2010, lo stesso Pasqualucci viene smentito dallo stesso SaET (per la prima volta si parla di “bufala” da 60 miliardi), poi dalla stessa Corte dei Conti l’anno successivo. Ma nessuno, a Bruxelles, se ne accorge.

La notizia sui media italiani

Confondere è oggi la strategia mediatica principale, utile a far vendere copie a tutti, chiarendo poco; si parla chiaramente di “superficialità dei commentatori e dei media” e, infatti, laRepubblica, il Corriere della Sera, LaStampa, Il Fatto Quotidiano, persino il Sole24Ore, tutti hanno pubblicato la notizia come vera, tutti negli ultimi due giorni ne hanno scritto peste e corna, nessuno di loro ha ancora smentito alcunchè (tantomeno si è scusato con i lettori).

Un pasticciaccio brutto, molto brutto, che è un po’ la cartina tornasole della bassa qualità del giornalismo di oggi: ad accorgersi della bufala erano stati i blogger di Quattrogatti.info, addirittura il 22 ottobre 2012. Altro che via Solferino!

Per noi del newtork Blogo invece, le cose vanno così:

“Scrivere per il lettore è la nostra vocazione, dal grande pubblico alle nicchie: parliamo di ciò che i lettori cercano, di argomenti con potenzialità virale o social, approfondiamo le notizie, verifichiamo le fonti, smentiamo le bufale e quando sbagliamo lo ammettiamo senza nasconderci, cercando di mantenere vivo il dialogo con i nostri lettori e di renderli parte di un’informazione permeabile ai commenti, alle precisazioni e, perchè no, anche alle critiche.”  

Corruzione, quanto vale in Italia?

E’ una domanda alla quale è quasi impossibile rispondere: tra i motivi alla base di questo malcostume viene in mente, su tutte, la depenalizzazione del falso in bilancio; ma anche il dimezzamento dei tempi di prescrizione per i reati fiscali e l’assenza del reato di autoriciclaggio rendono impossibile perseguire la fetta più ampia di corruzione. A questo si aggiungono i tempi biblici della giustizia italiana e le armi spuntate a disposizione dei magistrati, i numerosi provvedimenti per scudare il rientro dei capitali dall’estero, l’assenza di accordi internazionali efficaci per evitare l’emigrazione di denaro nero verso i paradisi fiscali. Il sistema Fininvest descritto dalla Corte di Cassazione nella sentenza che ad agosto condanna Silvio Berlusconi è emblematico di come in Italia sia tanto facile corrompere impunemente.

Se inoltre collochiamo l’assenza di questi strumenti normativi in un tessuto sociale fortemente permeato dalla criminalità organizzata e dalla burocrazia soffocante, viene da se immaginare quanto (spesse volte) sia molto più facile trovare soluzioni “alternative” che non seguire la strada maestra. Reinvestire, riciclare, ripulire il denaro sporco con l’aiuto della criminalità organizzata è meglio che mettere i soldi in banca, di questi tempi: rapporti economici che rischiano tuttavia di strangolare lo stato di diritto e l’economia “white” del Belpaese. Anche perchè se a questa congenita problematica tipicamente italiana si aggiunge la bassezza di una classe politica che negli anni, da prima di Tangentopoli, non ha dimostrato grandi virtuosismi (anzi, la linea tenuta per legiferare negli ultimi 20 anni ha aggravato enormemente il problema), allora qualche ragione sullo stato delle cose la possiamo anche trovare. FONTE

Via | Quattrogatti.info, Il Post, LaVoce.info, Ansa