02/11/2024 – Per il momento tocca ancora ai giudici, il 4 dicembre c’è la Cassazione e a febbraio, con decisione prevista ad aprile, sarà la volta della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Saranno loro a decidere se il governo Meloni può stabilire un elenco rigido di Paesi sicuri, trattare le richieste d’asilo dei loro cittadini con la procedura accelerata (leggasi sommaria) e nel frattempo rinchiuderli nei centri di permanenza (leggasi detenzione) anche in Albania, per poi rimpatriarli (sempre che il Paese di destinazione sia d’accordo).
Il governo ostenta fiducia, finché può non abbandonerà il progetto di portare i migranti oltre Adriatico a Shëngjin e Gjader, tanto più che in Europa non era stato accolto troppo male anche da forze distanti dall’italian far right. Può costare fino a un miliardo di euro, difficilmente inciderà davvero sui grandi numeri degli sbarchi, sia pure come cinica “deterrenza”, ma a quanto pare funziona benissimo sul piano della propaganda, almeno agli occhi dell’elettorato conservatore. Anche quando si trasforma in conflitto istituzionale con la magistratura che fin qui ha negato la convalida dei “trattenimenti” automatici dei migranti. Un nemico fa sempre comodo, il giudice “comunista” (cit. Salvini) come lo straniero. Ma nell’ipotesi che l’avventura coloniale dovesse finire male si discute già, nelle sedi del governo, di un piano alternativo, che permetterebbe di salvare almeno in parte i soldi investiti.
L’idea sarebbe quella di portare in Albania gli albanesi, cioè i detenuti con passaporto di Tirana condannati in Italia. Andrebbero a scontare la pena al di là del mare, più vicino ai parenti, in un penitenziario costruito a Gjader sulle macerie del centro di permanenza. Sono tanti gli albanesi nelle celle italiane: al 31 ottobre erano ben 1.947, quasi il 10 per cento degli stranieri (oltre 19 mila: solo i marocchini, tunisini e romeni sono più numerosi) che sono poco meno di un terzo del totale (62 mila). Tra loro ce n’erano ben 1.382 condannati in via definitiva, quindi almeno potenzialmente interessati.
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Esiste dal 2002, del resto, un accordo italo-albanese che consente il trasferimento reciproco di detenuti da un Paese all’altro: Roberto Castelli, il ministro della Giustizia dei governo Berlusconi II e II (2001-2006), si vantava dei charter per Tirana. Sul trasferimento dei detenuti, del resto, c’è la Convenzione di Strasburgo del 1983 a cui l’Italia aderisce: ha permesso di portare nel carcere di Verona Chico Forti, condannato per omicidio in Florida e accolto come un capo di Stato da Giorgia Meloni all’aeroporto militare di Pratica di Mare. Ci sono poi accordi bilaterali con diversi Paesi, quelli con l’Albania sono stati rinnovati nel 2017 e arricchiti anche di recente.
Dev’essere però il detenuto a chiedere il trasferimento, o almeno deve acconsentire. Non è facile perché le carceri italiane sono poco degne di un Paese civile, ma quelle albanesi ancora meno. Parliamo di poche decine di trasferimenti negli ultimi anni, in crescita grazie alla pressione del ministro della Giustizia Carlo Nordio sull’omologo albanese Ulsi Manja. Qui invece si lavora per costruire un meccanismo tendenzialmente automatico, almeno pro quota, ammesso che sia possibile. Ma è tutto di là da venire.
Per il governo è stato già un brutto colpo vedere i 12, poi 8 stranieri portati in Albania e ritrasferiti subito in Italia dopo le mancate convalide. Per non dire di poliziotti, agenti penitenziari, medici e infermieri distaccati con le opportune diarie oltre Adriatico per fare poco o nulla, quindi costretti a rientrare dopo il secondo schiaffone dei giudici. La rinuncia definitiva al progetto di esternalizzare le frontiere sarebbe una sconfitta clamorosa per Meloni e i suoi. Una soluzione per non buttare tutto al vento dovranno trovarla. Nel frattempo, da ieri, in Albania è in corso una due giorni di mobilitazione in occasione del Network Against Migrant Detention.- [IlFattoQuotidiano.it]