Ambiente e salute

L’Italia e la sanità che non funziona: siamo destinati tutti ad avere la nosocomefobia

By argentino serraino

April 16, 2014

Nell’isola Tiberina, dove attualmente troviamo l’ospedale Fatebenefratelli, intorno al 293 a.C. si trovava un altro edificio, un tempio per essere precisi. Di templi ce n’erano molti all’epoca, cosa aveva questo di speciale? La sua particolarità consisteva nell’essere dedicato ad Asclepio, il dio della medicina. Esso era il primo prototipo di ospedale pubblico. Non era un ospedale come lo intendiamo noi oggi: gli antichi romani, ammalati, vi si recavano per pregare Asclepio, e non c’è alcuna prova che ivi fossero fornite cure agli ammalati. In realtà, cercando su internet, si legge: “non si trattava di un vero e proprio ospedale ma di una sorta di lazzaretto dove venivano lasciati gli schiavi ammalati che i padroni non intendevano curare”.

 

Adesso facciamo un immaginario salto temporale e lasciamo da parte il III secolo avanti Cristo per arrivare nel III millennio, ovvero ai nostri giorni. Se nel frattempo la medicina ha fatto passi da gigante, sono sorte anche delle malattie che in molti definiscono “psicologiche”: le varie fobie. Tra le centinaia ormai conosciute (si va dalla più comune aracnofobia alle più disparate quali per esempio la xerofobia o la Triskaidekafobia) è presente anche la nosocomefobia, dal greco “nosokemeion” che significa “ospedale”, che è, appunto, la paura degli ospedali.

Siamo destinati a diventare tutti nosocomefobici. Sembra una pazzia, ma è così. Sono passati 2307 anni, e c’è ancora un filo conduttore tra il primo ospedale e quelli dei nostri giorni: se una volta i malati venivano portati lì ed abbandonati al loro destino, adesso la situazione non appare (sempre) mutata di molto.

 

Riporto qui di seguito una breve intervista a Monica, ragazza universitaria 20enne che si è ritrovata ad assistere di persona alla catastrofica situazione di un ospedale romano:

Allora Monica, ora come stai? Ogni volta che dico “meglio” esce fuori qualcosa (ride,ndr) quindi diciamo in via di guarigione, si spera.

Quando sei stata male? E’ da due mesi che sto continuamente male. E quando hai deciso di andare in ospedale? Dopo tutto questo ambaradam è uscito fuori che avevo la broncopolmonite; praticamente la stavo trascurando e poteva essere pericoloso. Però vabbè ho fatto la cura e invece di migliorare peggioravo, così la dottoressa non si è sentita di continuare a farmi stare a casa e mi ha prescritto l’ impegnativa di ricovero.

Che giorno  precisamente? Venerdì quando sono stata peggio. Precisamente 11 aprile. Una volta arrivata in ospedale cosa è successo? Quanto hai dovuto aspettare prima della visita? Quando arrivi al pronto soccorso c’è prima un infermiere addetto che ti visita e poi in base a quello che hai decide come catalogarti. Io sono entrata alle 19 e mi hanno chiamata alle 22. Stavo male, avevo la febbre e dolori forti, e insieme alle altre persone eravamo in un corridoio ad aspettare: c’ era chi piangeva da una parte chi urlava dall’altra.

Piangevano? Si, piangevano perchè stavano male e c’era gente che aspettava dalla mattina… per di più c’era corrente, tanta corrente, quindi chi stava male non solo doveva sopportare il dolore ma anche stare nella corrente.

E nessuno ha pensato di chiudere qualche porta/ finestra o vedere cosa stava succedendo? Gli infermieri erano tutti occupati? Diciamo che le porte o le finestre aperte erano l’ultima preoccupazione. Quando mi hanno chiamata ho davvero visto in che modo erano trattate le persone, in che condizioni era l’ ospedale: corridoi pieni di poltrone vecchie pieghevoli o brandine mezze scassate, persone che stavano male sdraiate e si lamentavano uno perché nessuno accorreva, e due perché avevano freddo… non avevano neanche le lenzuola!

Alla fine l’aspettare ha dato i suoi frutti o è stato tutto inutile? Era un lamento continuo e le infermiere non facevano altro che dire: noi non possiamo fare nulla, il dottore sta con i codici rosso. Comunque entrata mi ha visitata il dottore anche se controvoglia. Io spiegavo il problema ma sembrava che non mi ascoltasse, era come scocciato… aveva fretta… ha incaricato due infermiere di farmi le analisi e la lastra. Sono stata su quella poltrona scassata con i dolori alle stelle, dopodiché ho aspettato fino alle 3 di notte, e se a quel punto non fossi andata li ad incazzarmi (scusate l’espressione) e intenta ad andarmene, il dottore mi avrebbe comunicato i risultati probabilmente l’indomani…chi lo sa! Stavamo buttati lì, dimenticati.

Possibile che le infermiere con tutto quel da fare pensavano ai fatti loro? Pensa che accanto a me c’ era una signora di circa 40 anni che aveva appena scoperto di avere un tumore al cervello, glielo ha comunicato a lei ed al marito un’infermiera, la stessa che poco dopo girando per il corridoio vedendola piangere si è rivolta scorbutica dicendo: “perché piagnii?? Ancora che piagni, e basta”. Una donna che non ha la sensibilità di capire il dolore vero delle persone può preoccuparsi delle condizioni sanitarie?

Ringraziando Monica per le sue dichiarazioni e augurandole una buona guarigione, urge una riflessione sulle sue parole.  E’ capitato a lei, ma potrebbe capitare (molto proabilmente, capiterà se non è già capitato) ad ognuno di noi. Lei ha deciso di andarsene, ma c’è chi è dovuto rimanere in quelle condizioni per una situazione di salute ben più grave. Il malessere che si vive negli ospedali italiani è diventata ormai una prassi. Leggiamo che dello stesso ospedale il Nursind ha denunciato che:

“La situazione è nota in direzione, letti e/o barelle che sostano nelle sale della camera operatoria di Neurochirurgia bloccando, di fatto, gli interventi. Questa situazione porta, come conseguenza, a una condizione igienico sanitaria al limite della normale decenza. A tutto ciò si somma il malessere del personale infermieristico che, pochi giorni fa, ha inviato lettere di trasferimento in aperta polemica con la situazione che si vive oggi”.  

E’ di lunedì, inoltre, la notizia che la GDF ha scoperto raggiri, nel settore ospedaliero, per circa un miliardo di euro. Se quindi è vero che non in tutti gli ospedali la situazione è così catastrofica, che la colpa è in (minima) parte anche di noi italiani, è anche vero che i tagli alla sanità non sono inventati: la spesa per le le famiglie nel giro di dieci anni è raddoppiata. La riduzione degli organici ha inciso profondamente sulla situazione generale, in alcune regioni, per esempio, per raggiungere l’ospedale più vicino capita di dover fare anche 60 km. 60!

Bisognerebbe garantire l’accesso alle prestazioni essenziali del Servizio Sanitario Nazionale universale e gratuito ed avere Ticket proporzionali al reddito per le prestazioni non essenziali, come recita il programma del M5S in merito. I vari governi hanno continuato imperterriti a tagliare sulla sanità, e adesso Carlo Cottarelli, consulente del Ministero del Tesoro, prevede, per l’ambito sanitario, una riduzione complessiva della spesa di 3,1 miliardi di euro nel triennio 2014-16.

 

Sanità ed istruzione costituiscono, anzi, dovrebbero costituire, ciò da cui NON bisogna attingere per il pareggio di bilancio. E’ impensabile nel 2014 non potersi curare perché la sanità è tutt’altro che gratuità e perché la sue efficienza va scemando con il passare degli anni. E’ impensabile andare in un ospedale perché ci si sente male e dover aspettare diverse ore solo per essere visitati. E’ impensabile dover morire per un sistema sanitario che non funziona. E’ impensabile dover avere la nosocomefobia perché andando in un ospedale la propria salute peggiora.  E’ impensabile, in un Paese normale. L’Italia però non lo è. Ed è inutile girarci intorno: la sanità in Italia non funziona. Punto. Stop. E’ così. E mentre in Italia si discute del post di Grillo (tutt’altro che criticabile) nessuna forza politica (tranne il Movimento 5 Stelle che lo ha ampiamente inserito nel suo programma, ndr) si preoccupa della salute degli italiani annunciando ancora tagli.

 

Azzardiamo un’ipotesi: continuando di questo passo non avremo un solo ospedale funzionante in tutta Italia. Impossibile dite? Può darsi, si spera, ma siete sicuri di non esserlo già, nosocomefobici?

“Io mi ostino a voler fare il mio lavoro, medico e chirurgo. Mi occupo giornalmente di sanità e medicina. Se qualcuno venisse a propormi di fare il ministro della Sanità, risponderei che il mio programma è molto semplice: faccio una sanità d’eccellenza, spendendo la metà di quello che si spende oggi, eliminando il conflitto di interesse introdotto nella mia professione dalla casta politica: il pagamento a prestazione.