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Stato-mafia, l’ex deputato Giuseppe Gargani, vicino a Mannino ammette: “Il Parlamento sapeva dei 41bis revocati”

By admin

June 27, 2014

Se non è una svolta, è qualcosa di molto simile, perché per la prima volta arriva l’ammissione di un parlamentare dell’epoca su uno dei passaggi chiave della trattativa stato-mafia: la revoca a centinaia di detenuti del 41bis, il regime di carcere duro.

Giuseppe Gargani, parlamentare per ben sei legislature della Democrazia Cristiana (dal 1972 al 1994), è stato ascoltato ieri a Palermo durante l’ultima udienza del processo. Queste le sue parole: “In Parlamento si sapeva delle revoche degli oltre 300 provvedimenti di carcere duro per i mafiosi decisi da Conso. Io ne parlai al Guardasigilli e lui commentò dicendo che la sua era stata una decisione autonoma in quanto era un garantista”. Nel novembre del 1993, a pochi mesi dalle bombe di Firenze, Milano e Roma (10 vittime) e mentre Cosa nostra prepara l’ultima strage (l’attentato ai Carabinieri del servizio d’ordine all’Olimpico di Roma), il ministro della Giustizia Giovanni Conso revocò oltre 300 provvedimenti di carcere duro. Il ‘caso’ vuole che il 41bis sia uno dei principali punti del papello di Riina, le richieste di Cosa nostra allo Stato. Anni dopo, l’11 novembre 2010, lo stesso Conso ammetterà davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia: “Nel 1993 non rinnovai il 41 bis per 140 detenuti del carcere palermitano dell’Ucciardone ed evitai altre stragi. Fu il frutto di una mia decisione solitaria, non comunicata ad alcuno, né ai funzionari del ministero, né al Consiglio dei ministri, né al Presidente del Consiglio, né al capo del Ros Mario Mori, né al capitano De Donno, nemmeno al Dap. C’era la necessità di mantenere il massimo riserbo. La decisione non era un’offerta di tregua o per aprire una trattativa, non voleva essere vista in un’ottica di pacificazione, ma per vedere di fermare la minaccia di altre stragi”. Conso prende questa enorme decisione “per evitare altre stragi”, ma non la chiama trattativa, per lui non sarebbe una “offerta di tregua”. Decisione solitaria? Non è credibile. Decisione comunque che il Parlamento conosceva. Incalzato dal PM Nino Di Matteo, Gargani ieri in Aula prima sostiene di essere venuto a conoscenza delle revoche “dalle agenzie”, poi quando il magistrato gli fa presente che non esistono lanci dell’epoca con la notizia, Gargani ammette: “vuole che all’interno del Parlamento non si sapesse”. Tutti sapevano dunque, contrariamente a quanto afferma Conso e ripete da anni Nicola Mancino, all’epoca ministro dell’Interno e oggi imputato per falsa testimonianza nello stesso processo. Mancino, che tra il 2011 e il 2012 coinvolgerà Loris D’Ambrosio e il Quirinale nel tentativo di rallentare l’inchiesta (leggi), è colui che negherà per 20 anni di aver incontrato Paolo Borsellino al Viminale il 1°luglio 1992 e che sostiene ancora oggi di non essere stato avvisato dei contatti ROS-Ciancimino della primavera 1992. Gargani non era un parlamentare qualunque ed è rimasto da allora nel giro della politica. L’Ulivo, nel 1998, lo nomina commissario dell’AGCOM. Poi entra nell’orbita berlusconiana, europarlamentare nel 1999 e nel 2004, infine aderisce all’UDC dove ritrova un altro vecchio democristiano, Calogero Mannino. Imputato con rito abbreviato nell’inchiesta sulla trattativa, Mannino viene considerato dall’ipotesi accusatoria “l’ispiratore della trattativa”: inserito nella lista di morte di Cosa nostra assieme a Salvo Lima, Giulio Andreotti e altri politici di altissimo livello della DC, avrebbe attivato il ROS per aprire un canale con i boss tramite Vito Ciancimino. Un altro ‘caso’ vuole che Lima sia l’unico politico a rimanere ucciso durante le stragi del 1992-1993, che vedranno colpire magistrati, agenti di scorta e civili, ma non più i politici che avevano “tradito” le promesse. Di Mannino parla il Corvo 2, l’anonimo che nella primavera del 1992 invia un documento in cui svela un presunto incontro tra l’ex ministro DC e Totò Riina. Anonimo su cui indagava Paolo Borsellino nel luglio 1992, pochi giorni prima di essere assassinato con la sua scorta in via D’Amelio. Anonimo subito ritenuto inattendibile dai vertici investigativi e da Subranni (“illazioni ed insinuazioni che possono solo favorire lo sviluppo di stagioni velenose e disgreganti”), numero 1 di quel ROS che incontrava i Ciancimino, e in rapporti con Calogero Mannino. Quel Subranni che Borsellino descrisse come “punciutu” (affiliato a Cosa nostra) alla moglie Agnese. Nel dicembre 2011 la giornalista del Fatto Sandra Amurri (sentita dai magistrati) ascolta una conversazione in un bar di Roma tra Mannino e Gargani. Il primo dice al secondo: “Hai capito, questa volta ci fottono: dobbiamo dare tutti la stessa versione. Spiegalo a De Mita, se lo sentono a Palermo è perché hanno capito. E, quando va, deve dire anche lui la stessa cosa, perché questa volta ci fottono. Quel cretino di Ciancimino figlio ha detto tante cazzate, ma su di noi ha detto la verità. Hai capito? Quello… il padre… di noi sapeva tutto, lo sai no? Questa volta, se non siamo uniti, ci incastrano. Hanno capito tutto. Dobbiamo stare uniti e dare tutti la stessa versione”. Ciancimino aveva dichiarato ai magistrati che la trattativa era ‘coperta’ anche dalla corrente ‘sinistra’ della DC, quella in cui nuotavano il leader De Mita e Calogero Mannino. FONTE DI REDAZIONE IBTIMES