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Alleanze assurde, prima dell’assalto ai seggi in Parlamento. Così il Rosatellum favorisce le alleanze tra chi non ha nulla in comune.

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08/01/2018 – Nozze assurde all’ombra del Rosatellum. Chi è favore dell’eutanasia si allea con chi l’ha osteggiata. Chi ha criticato il decreto Sblocca-Italia con chi lo ha approvato. Chi definisce la legge elettorale “un imbroglio” si accorda con chi le ha donato il nome e la firma. Chi vuole l’Italia fuori dall’euro con chi spinge per gli Stati Uniti d’Europa. Chi ha difeso il Family Day stringe patti con chi vorrebbe il matrimonio egualitario e la stepchild adoption. Distopie possibili solo grazie alla nuova legge elettorale che spinge a coalizioni purchessia: le liste civetta nate da operazioni di Palazzo e non sul territorio costrette ad ancorarsi ai grandi partiti per sfruttare l’effetto traino e superare la fatidica soglia del 3%; questi ultimi costretti ad accoglierle perché in una situazione così incerta a pochi mesi dalle urne ogni voto può essere decisivo nei singoli collegi. Si vedono, all’apertura della campagna elettorale, alleanze posticce, improbabili fino a ieri, stipulate e messe nero su bianco oggi. Così si dispiega in tutta la sua potenza il “miracolo” del Rosatellum: favorire la nascita di coalizioni senza che i partiti che le compongono condividano un minimo programma comune prima del voto. Ciò che nel 2013 è avvenuto a urne chiuse pur di garantire la “governabilità”, ora avviene ben prima delle elezioni, senza remore o imbarazzi nel presentarsi ai cittadini con compagni di viaggio improvvisati, spuri e accomunati dalla bramosia di un seggio.

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Una breve (e incompleta) rassegna non può che iniziare dall’ultimo caso – tra i più eclatanti – in ordine cronologico: il centrista cattolico Bruno Tabacci alleato con la sacerdotessa laica e radicale Emma Bonino. Una mossa dettata dall’esigenza di aggirare lo scoglio della raccolta firme prevista dal Rosatellum: “Sarebbe stato un vero peccato non avere nella prossima legislatura una persona come Emma, con la sua storia”, ha detto Tabacci. Un’offerta generosa, anche se arriva da un improbabile benefattore. Difficile dare torto quindi al socialista Nencini, anche lui alleato del Pd alle prossime elezioni e giustamente risentito: “Due giorni fa per l’ennesima volta abbiamo offerto a Bonino la possibilità di costruire un percorso comune per affrontare le elezioni politiche. Risposta negativa. Ieri la stessa proposta è stata avanzata da Tabacci. Risposta positiva. Ma le assonanze politiche sono decisamente di meno”. Eppure Bonino, pro-aborto, pro-eutanasia, pro-legalizzazione della cannabis ha scelto il discepolo della Balena bianca storicamente contro aborto ed eutanasia. Due figure, il cattolico e la radicale, tanto incompatibili quanto lo sono, per dire, le rispettive posizioni sulle adozioni gay: lui contrario persino alla stepchild adoption (l’adozione del figlio del partner), lei sostenitrice della maternità surrogata. Miracoli del Rosatellum, definito dalla Bonino un “imbroglio” e una “trappola per la democrazia”, ma che porta il nome e la firma del capogruppo alla Camera del Pd Ettore Rosato con cui Bonino potrebbe correre in apparentamento.

E con lei, compagno nella nuova formazione +Europa, c’è il sottosegretario Benedetto Della Vedova, liberale europeista. Uno, per capirsi, secondo cui la direttiva europea Bolkestein che liberalizza servizi e concessioni è sacra e va applicata subito, visto il ritardo che l’Unione Europea non manca di imputare al (sordo) legislatore italiano. Poco importa se anche nell’ultima legge di Bilancio è spuntata nottetempo una norma “salva ambulanti” che procrastina per l’ennesima volta l’entrata in vigore della direttiva. E di chi è la firma del salvifico emendamento a tutela “degli interessi costituiti”, per usare le parole di Della Vedova? Del Partito Democratico, naturalmente. Eppure l’accordo pre-elettorale è un’opzione concreta, purché non lo si chiami “alleanza” ma “apparentamento”: “La responsabilità dell’ennesima proroga è del Pd ma legge elettorale non prevede un programma comune, solo apparentamenti nei collegi”. Anche questo è un miracolo del Rosatellum.



Nella coalizione guidata dal Pd non ci sarà solo la lista cattolico-radicale ma anche quella ulivista “Insieme”, di cui fanno parte i Verdi guidati da Angelo Bonelli. Un partito che ha sempre detto peste e corna dei provvedimenti approvati dai governi guidati dai democratici. Breve excursus: i Verdi hanno duramente criticato l’invito all’astensionismo dell’allora premier Renzi al referendum sulle trivelle (che guarda caso non raggiunse il quorum), hanno contestato la legge sui Parchi e le aree protette, sono contrari al Tap, il gasdotto trans-adriatico difeso strenuamente dal Governo Renzi. E, soprattutto, hanno stigmatizzato in ogni sede il decreto principe per le sue conseguenze ambientali voluto dal segretario del Partito Democratico, lo Sblocca-Italia, definito a più riprese come un regalo ai petrolieri e al partito delle trivelle. A chi gli fa notare le incongruenze, Bonelli però ribatte: “Io mi alleo con un mio programma e con una mia lista per fare le politiche verdi, non quelle del Pd”.

Anche a sinistra quelle posizioni che a primo acchito potrebbero sembrare inconciliabili vengono sommessamente rese armoniose. In Liberi e Uguali corre, ultima arrivata, Laura Boldrini che professa da tempo la necessità degli Stati Uniti d’Europa e non ha mancato di ricordarlo nei suoi saluti alla stampa parlamentare qualche settimana fa: “Il nostro obiettivo devono essere gli Stati Uniti d’Europa: se vogliamo bene agli italiani dobbiamo concentrarci sull’Europa, le risposte nazionali non risolvono i problemi, chi dice questo imbroglia i cittadini”. Ma nel suo stesso partito, guidato da Pietro Grasso, c’è anche l’ex viceministro all’Economia del Governo Letta, Stefano Fassina, che ha idee ben diverse. O meglio opposte: “Per ricostruire la sinistra – scriveva solo un anno fa sul Manifesto – dobbiamo prendere atto che i fiori all’occhiello dell’Ulivo, ossia il mercato unico e l’euro, sono stati fattori di aggravamento delle conseguenze negative della globalizzazione”. E, aggiungeva, “la svalutazione del lavoro è la fisiologia della moneta unica”, quindi “per attuare la nostra Costituzione è necessario superare l’euro”.

Una contraddizione in termini che accompagna, ma da tempo, pure il centrodestra: l’alleanza tra Lega e Forza Italia trova proprio sull’euro e questioni comunitarie i punti di maggiore frizione. D’altronde, fu Salvini a promettere di non allearsi mai più con Silvio Berlusconi quando il Cav viveva i suoi giorni più bui. Ma i tempi sono cambiati e ora Salvini, oltre a non essere più contrario all’intesa con il “condannato” Berlusconi (che votò l’odiata riforma delle pensioni targata Fornero, come la Meloni) rischia di dover digerire anche l’accordo con il suo storico nemico Flavio Tosi, arruolato nella “quarta gamba” della coalizione di centrodestra. Fonti leghiste hanno spiegato all’HuffPost che Salvini va su tutte le furie al solo sentire il nome dell’ex sindaco di Verona, ex compagno nel Carroccio poi messo alla porta: “Solo su Tosi si rischia la rottura vera nella coalizione”.



Tosi però è solo uno dei sei fondatori di “Noi con l’Italia”, tra cui figura pure l’ex viceministro al Tesoro del Governo Renzi Enrico Zanetti che con Salvini, e un tempo anche con Berlusconi, non ha mai usato i guanti. Prendiamo un argomento molto in voga negli ultimi tempi, la Flat Tax: sia il Cav sia il leader del Carroccio spingono da tempo per una sua introduzione. Il primo ancora non è chiaro con quale aliquota vorrebbe introdurla, il secondo la fissa al 15%. Stando così le cose, difficilmente potrà andar bene a un tecnico per nulla sprovveduto ed ex montiano come Zanetti: “Trovo francamente penoso che chi è stato al Governo per nove anni senza mai fare qualcosa di nemmeno lontanamente simile, oggi spari soluzioni immaginifiche”, diceva l’ex viceministro nel 2014 commentando una proposta, di cui si è poi perso traccia, di Berlusconi sull’introduzione di una flat tax al 20%. “Un’imposta flat secca del 20% è oggettivamente molto difficile da applicare, non raccontiamo frottole”.

Va poi menzionata l’intesa raggiunta da Beatrice Lorenzin, ex Nuovo Centrodestra ed ex Forza Italia, con il Partito Democratico. La ministra della Salute uscente si presenta alle elezioni con la sua neonata lista Civica Popolare, ancora orfana di simbolo (lo scoglio è la Margherita di Francesco Rutelli). Anche in questo caso pare di poco conto se la romana Lorenzin, nel 2008, sosteneva alle amministrative nella Capitale il candidato di Forza Italia Gianni Alemanno in competizione proprio con Rutelli – battuto al ballottaggio dal candidato forzista – ma dal quale oggi la ministra vorrebbe ereditare il simbolo. E ancor meno interessa, ai nuovi compagni di coalizione, che la stessa Lorenzin abbia osteggiato, fin da quando coordinava nel 1999 i Giovani Azzurri, uno dei padri e primo segretario del Pd, considerato tuttora da Renzi un faro per i democratici, Walter Veltroni.

Anche perché l’alleanza è stata già testata sul campo nei governi di larghe intese Letta, Renzi e Gentiloni. Ma, si è sempre detto, si trattava di intese post-voto per uscire dallo stallo a cui le elezioni del 2013 avevano condannato le Camere senza maggioranza. Ora invece è un’altra storia e Lorenzin, dismessa la veste “nuovocentrodestrista”, si è abbigliata da leader di centro alleato della sinistra. La sua adesione al Family Day, le sue campagne sul Fertility Day, la sua contrarietà alle adozioni per le coppie gay e al matrimonio egualitario e il suo lesto soccorso a chi invocava l’obiezione di coscienza (peraltro non prevista dal testo) sulle Dat introdotte con la legge sul Biotestamento, non sembrano essere da ostacolo all’alleanza con il Pd, con gli ulivisti e tanto meno con Emma Bonino.

E se a questo pastrocchio si aggiunge che nella stessa lista Civica Popolare ci sarà anche l’Italia dei Valori, il partito fondato da Antonio Di Pietro e oggi guidato da Ignazio Messina, a nessuno potrà più sfuggire la poderosa portata di quel miracolo politico-elettorale passato alla storia come “Rosatellum”. Huffingtonpost
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Elezioni, Di Maio apre alle alleanze: “Se non prendiamo il 40%, governeremo con chi ci sta”

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18/12/2017 – “Se alle elezioni dovessimo ottenere il 40%, potremmo governare da soli. Se non dovessimo farcela, la sera delle elezioni faremo un appello pubblico alle altre forze politiche che sono entrate in Parlamento presentando il nostro programma e la nostra squadra. E governeremo con chi ci sta”. Apre alle alleanze il candidato premier del M5s, Luigi Di Maio, in un’intervista a Circo Massimo, su Radio Capital. Aggiungendo che “la nostra squadra di governo sarà patrimonio del Paese non del Movimento 5 stelle”.

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Contrario al Gentiloni bis: “L’idea proposta da Berlusconi mi terrorizza”, ha detto. Per il momento è certo però che “Alessandro Di Battista non sarà fra i ministri, me lo ha chiesto lui”, ha proseguito il candidato premier pentastellato. Pronto quindi alla campagna elettorale e anche al confronto televisivo con gli altri rivali, “con tutti i candidati premier delle altre forze politiche. Ci facciano sapere chi sono”.

Sulla questione fake news attacca il Pd: “È inutile usare il tema delle bufale per giustificare una sconfitta politica, come quella del referendum. Le vere bufale le hanno introdotte loro”. Fonte LAPRESS






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Ultima ora. Salvini, mai con Renzi, semmai M5s (VIDEO)

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30/10/2017 – – Salvini in Sicilia. nessun accordo con Pd e sinistra, con M5S potrei parlare “Mi confronterei volentieri con loro – ha osservato allora Salvini – per chiedere se veramente vogliono fare opposizione per tutta la vita, o vogliono governare”

“Mai la Lega sosterrà governi con il Pd e la sinistra, quindi sicuramente io non telefonerò mai a Renzi, ad Alfano, alla Boldrini, a Gentiloni. Il mio obiettivo è portare a livello nazionale un governo di centrodestra”. Lo ha detto Matteo Salvini a Palermo rispondendo alle domande dei giornalisti su un’eventuale alleanza alle politiche con i pentastellati.



“Sono molto più umile dei 5 stelle – ha detto il segretario federale della Lega – loro dicono ‘noi siamo il meglio, siamo sopra tutto, tutti e non parliamo con nessuno’. Io sono molto più umile di loro, più curioso. Mi confronterei volentieri con loro – ha osservato allora Salvini – per chiedere se veramente vogliono fare opposizione per tutta la vita, o vogliono governare”. L’obiettivo di Salvini in Sicilia è la vittoria del candidato del centrodestra in Sicilia Nello Musumeci.

Ma c’è anche una strategia che guarda oltre, al voto delle Politiche: puntare a quel Meridione che, tradizionalmente, una roccaforte di FI e Silvio Berlusconi. E, non a caso, nel suo primo appuntamento pubblico in Sicilia, il leader del Carroccio pone subito un paletto, sul caldissimo tema degli impresentabili, tra Lega e FI: “Se fossi stato in Forza Italia avrei detto pi di un ‘no’ o tanti no a gente che prometteva voti o finanziamenti. Nella squadra di Musumeci c’è la Lega che garanzia di onestà e cambiamento, perché altri hanno fatto scelte che io non avrei fatto”, afferma Salvini.

Parole non certo da interpretare, le sue, a cui vanno aggiunti due elementi: il tour nel cuore dell’Isola, con tanto di viaggio di oltre 9 ore da Trapani (da dove partir domani in treno prima dell’alba) a Agrigento (dove arriverà in autobus da Palermo); e il fatto che Salvini sia arrivato in Sicilia all’indomani del clamoroso taglio della parola “Nord” dal simbolo. Un gesto che ha scatenato l’ira di Umberto Bossi e al quale, oggi, il segretario replica cos: “mi danno del fascista, dello xenofobo, ma Bossi sbaglia”.

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Quella di FI e Lega rischia, insomma, di essere una campagna asintotica in Sicilia con due leader che si avvicinano, corrono per lo stesso obiettivo ma senza mai incontrarsi. Berlusconi, infatti, sarà a Palermo mercoledì e giovedì potrebbe – ma l’appuntamento da confermare – spostarsi a Catania. Dove, invece, è già previsto un comizio di Salvini. L’ipotesi, quindi, potrebbe essere quella di due piazze separate salvo colpi di scena.


Del resto, oggi, dalle pagine de La Sicilia Berlusconi sembra quasi lanciare una sfida: la guida del prossimo governo “spetterà al partito che prende più voti nella coalizione”, afferma il Cavaliere. E, poche ore dopo, Salvini replica avvertendo l’alleato che un programma unitario va firmato “prima del voto”. Un voto in vista del quale la performance della Lega e di FI in Sicilia potrebbe influenzare, non poco, gli equilibri della coalizione. – ANSA.IT

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Nuova legge elettorale, Pd, M5s, Lega e Forza Italia: come cambia il Parlamento

31/05/2017 – L’accordo è chiuso, ora si tratta di vedere se tutti e tre i partiti che che hanno preso l’impegno di votare la nuova legge elettorale vi terranno fede. «Si va verso un sistema tedesco; per noi si può andare alle urne anche il 24 settembre», ha confermato Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia a Montecitorio, dopo che era terminato l’incontro che lui e Paolo Romani avevano avuto con gli omologhi del Pd, Ettore Rosato e Luigi Zanda. «L’incontro è andato bene, vedremo i testi dell’ emendamento che il relatore Emanuele Fiano presenterà, ma si va verso il modello che aveva proposto il presidente Silvio Berlusconi», ha aggiunto. I forzisti, in cambio, hanno fornito garanzie sulla tempistica, si sono detti dispobili ad accelerare al punto che si possa approvare definitivamente il nuovo sistema «entro luglio».

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Così, almeno sulla carta, il Pd di Matteo Renzi è riuscito a coinvolgere i maggiori partiti e a costruire una maggioranza larga a favore del nuovo sistema di voto e delle urne anticipate. Pure la Lega Nord, infatti, ha dato il suo assenso al testo, anche se Giancarlo Giorgetti, braccio destro di Matteo Salvini, al termine del summit con il Pd ha detto che loro avrebbero «preferito un sistema maggioritario, più, rispettoso della volontà popolare».

GODE LA LEGA – Il Carroccio, in realtà, è, insieme col M5S il maggiore favorito dal nuovo meccanismo per la distribuzione dei seggi. A dimostrarlo i primi studi del Cise, istituto di Roberto D’Alimonte, che già era stato consultato dai leader di Pd e di Fi ai tempi dell’Italicum, il quale ha immaginato come potrebbe essere il prossimo Parlamento se si votasse con la nuova legge elettorale.

I PARTITI – Il primo dato che balza all’occhio è che soltanto quattro partiti sarebbero rappresentati: i più grossi. Il Pd, oggi quotato mediamente al 29,3%, che alle ultime elezioni si era potuto avvantaggiare di un importante premio di maggioranza, passerebbe dai 282 seggi attuali ai 217. Un balzo in avanti lo farebbero invece il M5s e la Lega Nord. Il primo, che aumenta di qualche punto percentuale rispetto a qualche anno fa, è favorito da un sistema proporzionale: gli 88 deputati di oggi potrebbero diventare ben 212, cioè un terzo del totale. Il Carroccio ha aumentato di molto le sue percentuali di consenso. Stando ai sondaggi, oggi è quotato al 13%. Per questa ragione si appresta, con un sistema proporzionale, a quintuplicare la rappresentanza in Parlamento. I leghisti oggi a Montecitorio sono 19, ma potrebbero diventare 87.

Lo studio del Cise, in collaborazione con la Luiss e il Sole 24 Ore, fa ben sperare anche Silvio Berlusconi. Dopo più di una scissione (quelle di Angelino Alfano, Denis Verdini e Raffaele Fitto), nonostante la decadenza da senatore del suo leader, Forza Italia è quotata al 12,4%. Questa cifra – lontanissima dai risultati del Pdl, di un decennio fa – potrebbe comunque consentire agli azzurri di raddoppiare i seggi. Gli iscritti al gruppo di Brunetta sono oggi 50, ma, col nuovo sistema, diventerebbero 97. Oltretutto il Cavaliere ripete continuamente di essere «sicuro» di «riportare il partito sopra il 20%».

CHI RISCHIA – Andrebbero a sbattere – secondo i sondaggi – contro la soglia di sbarramento indicata al 5% tutti gli altri, a partire da Fratelli d’Italia. La presidente Giorgia Meloni, però, dice di essere ottimista rispetto alla possibilità che il suo partito la superi e sta valutando l’offerta – recapitata dal Carroccio – di mettere in piedi un listone “sovranista”. Oggi Fdi ha 11 deputati, ma nessun senatore. Senza seggi resterebbe anche Area Popolare. Il partito di Angelino Alfano oggi ha addirittura 27 deputati e, con quelli, si è guadagnata ben tre ministeri.



L’avvicinamento in corso con Stefano Parisi e la sua Energie per l’Italia potrebbe aiutare, ma chissà. Per i sondaggi, salvo colpi di scena o aggregazioni tra partiti, resterebbe a secco, così come Scelta Civica – Ala (che ha sedici deputati) e pure Sinistra Italiana, che ne ha 17.

IL VOTO – Ma come funziona il voto? Ci sarà una sola scheda, con indicati il nome del candidato di collegio (maggioritario) e, a destra del simbolo del partito, un listino corto di 4 nomi per i seggi distribuiti col sistema proporzionale. L’ Italia sarà divisa in 308 collegi e in 27 circoscrizioni che coincidono con le Regioni, tranne le più popolose, che saranno divise in più circoscrizioni (2 in Piemonte, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia, 3 in Lombardia). Il primo ad essere eletto è il capolista del listino bloccato, seguito dai candidati che hanno vinto nei collegi maggioritari. – di Paolo Emilio Russo

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Ricetta del Ministro della Salute, subito alleanze: “Pd e FI con Marchini a Roma, sennò vince M5S”

lorenzinROMA 05/11/2015 – Beatrice Lorenzin, ministro della Salute, lo dice papale papale:“Pd e Forza Italia potrebbero appoggiare Alfio Marchini. Sennò vince il M5S“.

Ospite negli studi del Corriere della Sera, ha risposto alle domande dei lettori. Sulla sanità, tema caldo in questi giorni, ma non solo: «Non mi candiderò al Comune di Roma, faccio la mamma di due gemelli»

Chiamatelo Partito della Nazione, chiamatelo Partito Unico, ma pare che i cantieri per la sua realizzazione siano già in preparazione.

Ad annunciare la possibile intesa di ‘sinistracentrodestra’ è niente meno che un ministro del governo Renzi: a Roma il Pd e Forza Italia è meglio che stiano insieme, sennò la vittoria del M5S è inevitabile.

Un primo esperimento verso la fusione totale per contrastare il M5S nelle prossime elezioni politiche? Quel che è certo è che le parole del ministro, nonché esponente di NCD, faranno discutere.

La Lorenzin, dal canto suo, si tira fuori dalla corsa:“Nessuno mi ha candidato – ha detto la Lorenzin Ncd rispondendo al Corriere.it – faccio la mamma di due gemelli e come ministro della Salute devo portare avanti il lavoro avviato”.

Marchini è l’erede di una famiglia di costruttori per tradizione vicina alla sinistra romana, ma questo non pare essere un problema: “Se non si spiaggerà sul centrodestra – spiega la Lorenzin – come candidato marchiato, Pd e Forza Italia potrebbero appoggiarlo. Una strada percorribile, se si riesce però a fare un azzeramento delle classi politiche che hanno governato questa città. Anche per non rischiare una deriva M5S”.

Il trucco insomma sarebbe questo: Pd e Forza Italia appoggiano ‘dietro le quinte’ Marchini, il quale però si presenta non come ‘candidato marchiato’, ma con una sua lista personale. E in termini di Real Politik è difficile dare torto alla Lorenzin: il M5S nei sondaggi a Roma ha doppiato il Pd, la sua vittoria è inevitabile se i partiti non si inventano qualcosa di nuovo. E quel qualcosa di nuovo potrebbe essere un’anteprima del Partito Unico (o Partito della Nazione, se preferite).

Berlusconi qualche giorno fa ha parlato piuttosto chiaramente: “Il nostro candidato a Roma sarà Alfio Marchini – aveva spiegato il Cavaliere il 31 ottobre a La Repubblica – lui comunque si candida, proporre un nostro nome alternativo porterebbe a una sconfitta certa. Anche a Milano abbiamo individuato una figura fuori dalla politica, di alto profilo, l’ho proposta a Salvini e mi sembra d’accordo. Lo presenteremo a giorni”.

L’idillio fra Pd e Forza Italia farà fiorire il Partito della Nazione? Quel che è certo è che ultimamente sembrano intendersela alla grande, basti pensare all’idea comune di abolire il ballottaggio dell’Italicum (coincidenza, proprio mentre il M5S ha superato in due sondaggi il Pd nelle intenzioni di voto al secondo turno). FONTE

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