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22/10/2021 – Le mani della camorra sugli appalti per gli ospedali, ma anche estorsioni a ditte di trasporto ammalati, pompe funebri, imprese edili e di pulizie: questo l’oggetto della maxi operazione della Polizia di Stato e della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, scattata alle prime luci di oggi, venerdì 22 ottobre. Su richiesta della Dda partenopea, i poliziotti hanno arrestato 40 persone, alcune delle quali appartenenti alla cosiddetta Alleanza di Secondigliano, potente organizzazione camorristica nata nel capoluogo campano negli anni Ottanta; tra gli arrestati, però, ci sono anche alti pubblici ufficiali e imprenditori.
Da quanto si apprende, gli arrestati sono accusati, a vario titolo, di avere avuto un ruolo nell’alterazione di gare d’appalto ospedaliere, ma anche di estorsione alle ditte operanti nel servizio trasporto ammalati, onoranze funebri, imprese di costruzione e imprese di pulizie. Le indagini – coordinate dai pm Henry John Woodcock e Celeste Carrano – si sono concentrate sulle forniture di tre ospedali partenopei: il Cotugno, il Cto e Cardarelli. Oggetto dell’indagine, come detto, anche episodi estorsivi, come una tangente da 30mila euro per la creazione del parco urbano artistico dell’ospedale Cardarelli. – [Continua su fonte]
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07/08/2020 – La Divisione Anticrimine della Questura di Milano e il Gruppo della Guardia di Finanza di Milano hanno dato esecuzione a due decreti di sequestro antimafia emessi dal Tribunale di Prevenzione, su proposta congiunta del Procuratore Distrettuale Antimafia e del Questore di Milano.
Il primo dei due provvedimenti ha riguardato B.S., avvocato del foro di Milano, condannata nel 2018 per riciclaggio, avendo realizzato sofisticate attività di “ripulitura” dei proventi illeciti del boss di camorra V. G., per mezzo di alcuni conti correnti in Svizzera.
V. G. è stato il promotore di un sodalizio criminale strettamente collegato alla c.d. “nuova famiglia” della camorra napoletana, in passato arrestato e condannato per aver realizzato a Milano un giro di usura su larga scala meglio noto come “Banca della Camorra”.
In precedenza, l’avvocato era stato coinvolto nell’operazione “Liotro” della DDA di Milano – relativa all’omicidio del pregiudicato S. F. del 1992 – perché accusato di aver “preparato” la deposizione di un testimone.
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Sempre a seguito di tale operazione, B.S. è stata indagata per associazione di tipo mafioso, venendo accusata di aver svolto il ruolo di intermediario negli affari del clan Guida, relativi all’acquisizione di alcuni locali del milanese.
Successivamente, è stata denunciata anche per corruzione in atti giudiziari, per aver esercitato pressioni su un parlamentare affinché quest’ultimo intervenisse sui giudici chiamati a decidere in merito alla colpevolezza di V. G.
Tali giudizi, pur terminati con l’assoluzione per insufficienza di prove, hanno comunque evidenziato la pericolosità sociale della professionista nonché i legami – personali e professionali – che la legano alla figura di G. e al suo sodalizio criminale.
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Ad oggi, pende a carico di B.S. un altro procedimento penale per un reato di falso commesso in relazione a un atto di compravendita immobiliare, con il quale l’avvocato avrebbe tentato di giustificare le giacenze presenti sui conti correnti elvetici utilizzati per riciclare il denaro del clan.
Il secondo provvedimento di sequestro è stato invece irrogato nei confronti di G.R., compagno e convivente di B.S., oggetto di numerose indagini di polizia giudiziaria, e condannato in via definitiva per bancarotta fraudolenta e reati tributari.
Specializzato nel trarre ingenti guadagni pilotando i fallimenti delle proprie società – che emettevano fatture per operazioni inesistenti e omettevano il versamento degli oneri contributivi e fiscali, anche mediante indebite compensazioni con fittizi crediti d’imposta – G.R. e i suoi complici avevano realizzato un complesso sistema fraudolento, che prevedeva l’avvicendarsi di più società e l’intestazione delle relative quote a prestanome senza fissa dimora o extracomunitari, al fine di ostacolare qualsiasi iniziativa dell’Amministrazione finanziaria.
Le approfondite indagini patrimoniali svolte dalla Divisione Anticrimine e dal Gruppo della Guardia di Finanza hanno rivelato gli ingenti profitti illeciti dei due soggetti, grazie ai quali gli stessi hanno condotto un tenore di vita del tutto sproporzionato rispetto ai redditi da loro dichiarati.
Pertanto, è stato richiesto ed ottenuto il sequestro di beni che non solo sono stati acquistati con denaro di provenienza verosimilmente illecita, ma la cui disponibilità è apparsa del tutto ingiustificata in considerazione delle entrate dei due professionisti. In particolare, sono stati sequestrati:
due conti correnti svizzeri, denominati “Mago Merlino” e “Vedri Investment SA”, riconducibili a B.S., con le relative giacenze;
un immobile di lusso sito nelle vicinanze dell’Arco della Pace, con cantina e due box auto, riconducibile nella disponibilità di G.R.
Il valore complessivo del sequestro è di circa 3 milioni di Euro.
Spetterà ora ai due conviventi dimostrare che i beni in questione siano stati acquistati con denaro di provenienza lecita e riconducibile alle loro attività professionali. Se ciò non accadrà, i due provvedimenti andranno a consolidarsi in una confisca antimafia, e i beni sequestrati saranno sottratti al circuito dell’economia criminale per essere destinati in favore della collettività. – [GdF.Gov.it] CONTINUA A LEGGERE >>
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09/06/2020 – I carabinieri del Ros stanno eseguendo una misura cautelare, emessa dal gip del Tribunale di Napoli su richiesta della locale Procura distrettuale, a carico di 59 indagati accusati di numerosi reati, tra i quali associazione mafiosa, concorso esterno, corruzione elettorale, estorsione e turbata libertà degli incanti. L’operazione colpisce i clan «Puca», «Verde» e «Ranucci» operanti a Sant’antimo (Napoli) e comuni limitrofi, svelando – secondo gli investigatori – una fitta rete di ‘cointeressenzè sia in ambito politico sia imprenditoriale. Contestualmente è in fase di notifica anche un sequestro di beni per un valore di oltre 80 milioni di euro.
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I clan, operanti a Sant’Antimo, hanno contro di loro diverse accuse tra le quali: associazione mafiosa, concorso esterno, corruzione elettorale, estorsione e turbata libertà degli incanti. Attivi anche nei comuni limitrofi, a Sant’Antimo avrebbero hanno messo in piedi una “una fitta rete di cointeressenze sia in ambito politico sia imprenditoriale”.
L’operazione che prende il nome di “Antemio” sarà illustrata stamattina alle ore 11.00 in un incontro con i giornalisti presso la procura di Napoli. Prenderanno parte a quest’ultimo il procuratore di Napoli, Giovanni Melillo, e il comandante del Ros, generale Pasquale Angelosanto. Un altro passo contro la lotta alla criminalità organizzata è stato compiuto. Ci saranno tutti gli aggiornamenti nel corso delle prossime ore.
Inoltre, sono stati arrestati anche i tre fratelli del senatore di Forza Italia Luigi Cesaro (Gigino a Purpetta) nell’ambito dell’inchiesta su camorra e politica della Dda di Napoli e dei carabinieri del Ros che oggi, nel Napoletano, hanno notificato 59 misure cautelari: «Nei confronti di A. C. il gip di Napoli ha emesso un provvedimento cautelare in carcere. Ai domiciliari invece gli altri due fratelli, A. e R. C. L’accusa contestata è di concorso esterno in associazione mafiosa. Tra i destinatari delle misure cautelari figurano anche diversi elementi di spicco della criminalità organizzata», riporta l’ANSA.
Leggiamo sul Fatto Quotidiano che l’operazione Antemio ha fatto luce “su attentati dinamitardi, estorsioni e tentati omicidi, ma anche su una fitta rete di cointeressenze sia in ambito politico sia imprenditoriale, sfociate in affari milionari per i clan e in una rilevante situazione di infiltrazione dell’amministrazione comunale”. Il gip si è riservato di prendere una decisione in relazione alla posizione del senatore Luigi Cesaro, “all’esito dell’eventuale autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni, ritenute rilevanti, secondo la procedura che verrà attivata da questo ufficio”»
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27/06/2019 – L’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli era la “sede sociale” dell’Alleanza di Secondigliano. Lo ha spiegato il procuratore di Napoli, Giovanni Melillo, commentando l’operazione anti camorra che ha potato a 126 arresti. Un’inchiesta che ha decapitato i clan Contini, Mallardo e Licciardi e portato al sequestro di un ingente patrimonio nei confronti delle persone colpite dai provvedimenti cautelari emessi dal gip di Napoli. “Gli uomini dei Contini controllavano il funzionamento dell’ospedale, dalle assunzioni, agli appalti, alle relazioni sindacali. L’ospedale era diventata la base logistica per trame delittuose, come per le truffe assicurative attraverso la predisposizione certificati medici falsi”, ha detto Melillo durante la conferenza stampa del maxi-blitz. La ministra della Salute Giulia Grillo chiederà lo scioglimento dei vertici dell’ospedale per infiltrazione mafiosa al Comitato nazionale per la sicurezza e l’ordine pubblico di domani, giovedì.
Oltre agli arresti, eseguiti in tutta Italia e in alcuni Paesi esteri, l’operazione ha portato la Guardia di finanza a mettere i sigilli a beni mobili e immobili riconducibili ai clan dell’Alleanza per un totale di circa 130 milioni di euro. Si tratta di uno dei colpi più duri inferti dalle forze dell’ordine e dalla magistratura al cartello criminale fondato alla fine degli anni ’80 dai boss Edoardo Contini, detto “ò Romano”, Francesco Mallardo, soprannominato “Ciccio ‘e Carlantonio” e da Gennaro Licciardi, alias “à scign”.
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“Una talpa nell’ufficio gip” – L’indagine ha ricostruito come il clan Contini riuscisse ad anticipare e prevenire le azioni di contrasto di magistratura e forze dell’ordine grazie a una rete di fiancheggiatori tra i quali figura anche una dipendente dell’Ufficio Gip del Tribunale di Napoli. Si tratta di Concetta Panico (finita ai domiciliari), imparentata con Antonio Pengue (in carcere), uno dei presunti affiliati al clan. Quest’ultimo, attraverso la Panico, nel 2014, venne a conoscenza in anticipo dell’emissione di una ordinanza di custodia per 90 presunti esponenti al clan Contini. A gestire la rete di fiancheggiatori era il gruppo dei Contini, che fa capo ad Antonio Muscerino. In quell’occasione Pengue ricevette rassicurazioni sul fatto che tra gli indagati non figuravano nè lui nè Muscerino. Il tutto emerge da alcune intercettazioni. In sostanza la Panico, è emerso dalle indagini, attraverso un accesso abusivo al sistema, era riuscita a visualizzare, il 15 gennaio 2014, l’elenco dei destinatari delle misure cautelari che vennero poi eseguite.
“Denaro da chi ospitava i rifugiati” – Il blitz ha interessato non solo la provincia di Napoli e altre regioni italiane ma anche diversi Stati esteri, dove i militari dell’Arma – tramite l’Interpol – si sono avvalsi della collaborazione delle locali forze di polizia. Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia partenopea, hanno portato alla contestazione agli indagati di numerosi reati che vanno dall’associazione di tipo mafioso al traffico di sostanze stupefacenti, all’estorsione, all’usura, al riciclaggio ed altri gravi reati. Di fatto – secondo i pm antimafia Ida Teresi, Alessandra Converso e Maria Sepe coordinate dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli – sono stati ricostruiti gli assetti gerarchici interni all’Alleanza di Secondigliano e sono stati documentati i numerosi reati commessi dagli affiliati, “indicatori della pervicace capacità di intimidazione esercitata sul territorio”. Il clan Contini, inoltre, stando alle indagini, prendeva una quota del denaro che un albergatore napoletano percepiva dalla Regione Campania per ospitare i rifugiati. Questo dimostra, ha detto ancora il questore di Napoli, “l’agilità del clan, in grado di sfruttare a proprio favore anche i flussi migratori”. A questo particolare business era deputata una frangia del clan Contini.
I boss? Erano anche le donne – Anche le donne erano a capo dell’Alleanza di Secondigliano: l’inchiesta sha confermato il ruolo apicale delle tre sorelle Aieta (sposate con Edoardo Contini, Francesco Mallardo ed Patrizio Bosti, ndr) e di Maria Licciardi (sorella del defunto boss Gennaro Licciardi e l’unica facente parte dei vertici ad essere sfuggita al blitz). Non solo svolgevano il compito di tenere i contatti con i boss al 41bis ma prendevano decisioni importanti per la vita del potente cartello criminale che controllava le attività illecite in alcuni quartieri di Napoli e che avevano messo in piedi anche attraverso prestanome importanti attività imprenditoriali e commerciali in tutta Italia.
Anche un avvocato tra gli indagati – Tra gli indagati c’è anche un noto avvocato napoletano che ha tra i suoi clienti il Patrizio Bosti: è accusato da alcuni collaboratori di giustizia di avere tenuto in piedi una interlocuzione tra il boss Edoardo Contini, detenuto al 41bis, e gli affiliati di alto rango dell’omonimo clan. Stamattina le forze dell’ordine hanno eseguito delle perquisizioni nei suoi uffici. Al penalista la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli contesta il concorso esterno in associazione mafiosa. La Procura ha chiesto che all’avvocato venisse notificata una misura cautelare, istanza rigettata però dal gip di Napoli Roberto D’Auria. – [IlFattoQuotidiano.it] CONTINUA A LEGGERE >>
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17/05/2019 – La camorra apre il fuoco anche in ospedale. Questa notte alcuni ragazzi hanno portato all’ospedale dei Pellegrini un 22enne dell’Arenella con ferite d’arma da fuoco alle gambe. Poco dopo nel piazzale del nosocomio è entrato un ragazzo che indossava un casco e che ha sparato alcune volte verso il cortile, presumibilmente verso il 22enne ma senza colpirlo. Sull’accaduto indagano i carabinieri della compagnia Napoli Centro.
A raccontare la vicenda anche i componenti di ‘Nessuno tocchi Ippocrate’ che dalla loro pagina Facebook raccontano:
“Stanotte all ospedale dei Pellegrini di Napoli verso le ore 2,30 veniva portato in pronto soccorso una persona attinta da colpi d arma da fuoco agli arti inferiori ebbene dopo pochi attimi una persona con casco integrale scavalcando la sbarra dell entrata principale entrava nel pronto soccorso sparando sette colpi all’ impazzata sfiorando gli astanti e la guardia particolare giurata in servizio.”
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Pare che alcuni “amici” della persona attinta siano stati feriti all’interno del Pellegrini dal sicario, ma hanno rifiutato le cure e sono scappati a casa.
Tale notizia dipinge le condizioni di estrema pericolosità nelle quali lavora il personale sanitario ed il personale di vigilanza.
Una volta si diceva:” non sparate sulla croce rossa”. Ma pare che certi individui non hanno rispetto nemmeno di chi li cura!” CONTINUA A LEGGERE >> VIDEO CORRELATI:
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14/05/2019 – Si tratta della Tecnodem, che ha ottenuto lavori per 100mila euro dalla Fratelli Omini, tra le società scelte per la demolizione del viadotto: il prefetto di Genova ha emesso un’interdittiva antimafia, notificata dalla Dia di Genova. L’amministratrice della ditta è consuocera di Ferdinando Varlese, pluripregiudicato napoletano “legato” al clan D’Amico che figura anche tra i dipendenti insieme ad alcuni famigliari. Chiesta la risoluzione del contratto. Fratelli Omini: “Avevamo l’ok all’ingresso nei cantieri”
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C’è l’ombra della camorra tra le ditte che stanno lavorando alla demolizione del ponte Morandi, crollato il 14 agosto 2018 seppellendo 43 persone. Si tratta della Tecnodem S.r.l., ditta napoletana che si occupa di demolizione di materiale ferroso e ha ottenuto 100mila euro di commesse in sub-appalto dalla Fratelli Omini, una delle società partecipanti all’Associazione temporanea di imprese scelta dalla struttura commissariale per abbattere i tronconi del viadotto sopravvissuti al collasso.
Le condanne di Varlese – La Dia di Genova ha notificato in mattinata alla Tecnodem un’interdittiva antimafia emessa dal prefetto Fiamma Spena perché l’azienda è ritenuta “permeabile di infiltrazione della criminalità organizzata di tipo mafioso”. L’amministratrice e unica socia della società è Consiglia Marigliano, consuocera di Ferdinando Varlese, pluripregiudicato napoletano domiciliato a Rapallo, che risulta anche tra i dipendenti della stessa ditta insieme ad alcuni suoi famigliari. Varlese è stato condannato nel 1986 dalla Corte d’Appello di Napoli per associazione a delinquere in un processo che vedeva tra gli imputati anche soggetti affiliati al clan Misso-Mazzarella-Sarno guidato da Michele Zaza e Ciro Mazzarella. – [IlFattoQuotidiano.it] CONTINUA A LEGGERE >>
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29703/2019 – Un quadrilaterale segreto rappresentato da mafiosi, politici, massoni e 007 deviati si riuniva per governare unitariamente Cosa nostra, ‘Ndrangheta e Camorra dagli anni ’80. A scoperchiare il vaso di Pandora su questa cupola di “invisibili” sono stati alcuni pentiti tra i quali Gioacchino Pennino e Leonardo Messina, i cui verbali, nei giorni scorsi, sono stati depositati agli atti del processo Gotha dal procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. In particolare a svelare l’esistenza dell’organizzazione occulta è stato proprio Pennino, massone ed esponente di spicco di Cosa Nostra, il quale, interrogato nel febbraio 2014, mise a verbale: “mio zio Gioacchino Pennino mi confido’ di essere stato latitante negli anni ’60 ospite dei Nuvoletta nel napoletano. La cosa non deve sorprendere in quanto Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Sacra Corona Unita, sono da sempre unite fra loro. Sarebbe meglio dire sono una ‘cosa sola’. – e poi aggiunse – Da li’ mio zio, come mi raccontò, si recava in Calabria dove, mi disse, aveva messo insieme massoni, ‘Ndrangheta, servizi segreti, politici per fare affari e gestire il potere. Una sorta di comitato d’affari perenne e stabile”.
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Dichiarazioni pesanti, quelle del collaboratore, che se confermate, allungherebbero ancor di più il tavolo su cui sta lavorando la procura di Reggio Calabria, con risvolti imprevedibili. Ma le rivelazioni di Pennino non si concludono su questo tema. L’uomo ha raccontato anche della sua amicizia con Stefano Bontate il quale, nel 1980-1981, pochi mesi prima della sua morte, “mi disse che avrebbe avuto molto piacere se lo avessi aiutato a continuare ‘quel progetto di tuo zio’ (il comitato d’affari fra criminali, massoni e servizi) non solo in Calabria, dove si era consolidato, ma anche in Sicilia dove il progetto era ancora in fase embrionale. Io con molta diplomazia riuscii a svicolare e a declinare l’invito. Non volevo assumere questo ruolo e non mi interessava farlo”. Ad aggiungersi al racconto di Pennino ci sarebbero le parole dell’ex uomo d’onore Leonardo Messina. Questi, nel 1992, rispondendo alle domande di Luciano Violante, all’epoca presidente della Commissione parlamentare antimafia, parlando di Cosa nostra dichiarò: “Si’, ci sono strutture che non comunicano: non è che tutti gli uomini devono sapere. Vi sono uomini che non sanno oltre la propria famiglia, o la propria decina”. Quindi alla domanda di Violante, relativa alla presenza di soggetti sconosciuti che entravano in Cosa nostra, Messina rispose affermativamente spiegando “o perché rivestono cariche politiche, o perché sono uomini pubblici e nessuno deve sapere chi sono. Lo sa soltanto qualcuno”. Poi aggiunse: “Il vertice della ‘Ndrangheta è Cosa nostra. I soldati non sanno che appartengono tutti ad un’unica organizzazione. Lo sa il vertice. E’ il vertice che deve conoscere”. Messina riferì che, all’epoca, uno dei vertici era “Ciccio” Mazzaferro.
Inoltre l’ex boss parlò anche dell’esistenza di “un regionale anche in Calabria” ed alla domanda se “anche in Calabria il rapporto della mafia con la società e le istituzioni è lo stesso” la risposta fu “sì’, praticamente è una di quelle regioni in cui si è padroni del territorio”. Quindi, in merito alla presenza della ‘ndrangheta a Messina, il collaboratore di giustizia replicò che “ci sono pochi uomini d’onore, si erano spostati dei catanesi ma la realtà ufficiale è ‘ndrangheta. Lei capisce che sarebbe impossibile che Cosa nostra si faccia rubare il territorio dalla ‘ndrangheta: è una sola struttura”.
Gli investigatori non escludono, infine, che all’interno delle direttive di questa cupola di “fantastici 4” costituita da mafia, massoneria, politica e servizi segreti deviati, possa essere partito l’ordine di assassinio del sostituto procuratore generale della Cassazione Antonino Scopelliti. Il fascicolo sulla morte del giudice è stato riesumato proprio qualche tempo fa e 18 boss tra Sicilia e Calabria sono finite sotto inchiesta le scorse settimane, fra di loro anche il super latitante Matteo Messina Denaro. Riguardo ciò i magistrati stanno indagando seguendo la pista di una collaborazione o un “patto” proprio tra Cosa Nostra e ‘Ndrangheta. Organizzazioni criminali che oggi, a dire dei collaboratori, non sono altro che “la stessa cosa”. – [Antimafiaduemila] CONTINUA A LEGGERE >>
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17/01/2019 – Oggi più che mai sento il bisogno di lanciare un messaggio forte di unità e solidarietà alla lotta ad ogni forma di illegalità. Chi combatte la camorra non può essere delegittimato dalle istituzioni. Un vero sindaco dovrebbe essere sempre in prima linea con i suoi cittadini, supportandoli in ogni battaglia e al di là delle bandiere. Non è così a Pomigliano d’Arco, dove l’attuale primo cittadino Raffaele Russo finge addirittura di non sapere che, grazie al coraggio di un gruppo di commercianti, sono stati arrestati e condannati gli estorsori di un potente clan della camorra. Un successo frutto dalle denunce dell’associazione “Pomigliano per la legalità-Domenico Noviello”, passato vergognosamente nell’indifferenza dell’amministrazione locale che non si è neppure degnata di costituirsi parte civile nel processo contro gli esattori della camorra e accanto alle vittime del racket.
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Lo stesso sindaco che già anni fa rifiutò di costituirsi contro un suo assessore e un consigliere comunale, accusati di estorsione, e che oggi, in segno di ripicca dopo le giuste critiche alla mancata volontà di costituirsi parte civile nell’ultimo processo, ha deciso di revocare il patrocinio morale all’associazione in occasione della marcia in memoria di don Peppe Diana del 19 marzo. Un atto che segue il mancato rinnovo, da anni, della convenzione, dopo che lo stesso sindaco ha pubblicamente etichettato i suoi componenti come professionisti dell’antiracket. Come se queste battaglie avessero un fine di lucro e non fossero finalizzate esclusivamente al ripristino della legalità.
Il comportamento vergognoso del sindaco Russo non può e non deve fermare le iniziative di un’associazione che sul territorio di Pomigliano è l’unico riferimento per commercianti e imprenditori che decidono di ribellarsi al giogo della criminalità. Esprimo totale solidarietà all’associazione antiracket Pomigliano e martedì saremo in piazza con i nostri portavoce in Parlamento, in Consiglio regionale e al Comune di Pomigliano – [BlogdelleStelle.it] CONTINUA A LEGGERE >>
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03/03/2019 – Il quarto figlio del boss “Ciruzzo o’ milionario” è stato catturato in un appartamento a Chiaiano, a un paio di chilometri da Secondigliano. C’è il sospetto che sia un capo clan operativo.
E potrebbe aver goduto di una rete estesa di complicità sul territorioPensavano che stesse all’estero. Forse a Dubai, per non dire Spagna. Dopo 14 anni, da quel 7 dicembre del 2004 quando fece perdere le sue tracce, un giorno all’improvviso ecco che si è materializzato il fantasma di Marco Di Lauro, quarto figlio della Dinasty di Paolo di Lauro, “Ciruzzo o’ milionario”, il boss di Scampia e Secondigliano, che all’epoca era il più grande supermercato delle droghe del Mezzogiorno. L’hanno ammanettato in un appartamento anonimo di Chiaiano, alla periferia di Napoli e a un paio di chilometri da Secondigliano, Scampia. In quell’appartamento viveva con la compagna e due gatti. Sembra che avesse i soldi giusto per la spesa della settimana. Mangiava un piatto di pasta asciutta quando sono entrati i poliziotti, e non ha opposto resistenza.
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Poco importa se la sua cattura sia stata favorita da una “soffiata”, un ex sorvegliato speciale arrestato in mattinata per femminicidio, quello che conta è che alla fine Marco Di Lauro ora è in carcere. Emozionante è stato vedere sfrecciare nel cuore di Napoli il corteo di auto civetta e del corpo di appartenenza delle forze di polizia, con le sirene e i fari accesi che accompagnava il trasferimento del latitante negli uffici della Questura, in via Medina. Che belle le immagini di gioia e gli abbracci tra gli uomini e le donne delle forze di polizia. Immagini che ricordano gli arresti delle belve dei Corleonesi, come la cattura di Giovanni Brusca o Bernardo Provenzano. Per Napoli, ieri, è stato un giorno di festa. Marco Di Lauro era il secondo latitante più pericoloso per il Viminale, dopo Matteo Messina Denaro e altri due, il palermitano Motisi e il sardo Cubeddu che però, se ancora vivi, sono da decenni “pensionati”. Almeno ieri, il bilancio della lotta alle mafie si è chiuso in positivo.
Ma non c’è molto altro da festeggiare. Perché se la sua cattura è una buona notizia di per sé, molti interrogativi su Marco Di Lauro aprono scenari inquietanti. È ancora presto per analisi compiute ma in sostanza colpisce che il latitante – che deve scontare in carcere dieci anni per associazione camorristica e traffico di droga – sia stato catturato in un appartamento a Chiaiano, a un paio di chilometri da Secondigliano, la periferia Nord di Napoli, regno dei Di Lauro.
Ne consegue intanto il sospetto che Di Lauro sia un capo clan operativo. E potrebbe aver goduto di una rete estesa di complicità sul territorio. Il rampollo dei Di Lauro potrebbe guidare la riorganizzazione del clan con i suoi traffici di droga. E poi quello che colpisce davvero è che la Napoli criminale è tutt’altro che allo sbando. Le nuove leve gangsteristiche – modello La paranza dei bambini – stanno crescendo e sono pronte a sostenere gli esami per entrare in quella camorra così come l’abbiamo conosciuta nel secolo scorso.
Per fortuna in tempi in cui si sta perdendo una memoria collettiva, la “festa” degli uomini della polizia, dei carabinieri, della Finanza per la cattura del super latitante, ci ha ricordato quella stagione terribile della faida di Secondigliano. Tra il 2003 e il 2005 ci fu un tentativo di golpe cruento contro il clan Di Lauro da parte degli “scissionisti”. Con decine di morti ammazzati. C’era una ragazza, Gelsomina Verde, che si occupava di volontariato, che era fidanzata con un ragazzo del clan degli Scissionisti. I Di Lauro la fecero sequestrare per avere le indicazioni per prendere lo scissionista. Gelsomina fu torturata, uccisa e il corpo bruciato. Anni terribili, per Napoli. Oggi i clan si stanno riorganizzando, le nuove leve di bande violente di trafficanti di droga, di spacciatori stanno crescendo. L’arresto di ieri è solo una buona notizia. – [Tiscali.it] CONTINUA A LEGGERE >>
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20/02/2019 – Tra gli indagati dell’inchiesta sulla “Camorra in Veneto” c’è la Presidente della Camera penale di Venezia, Anna Maria Marin. Il suo nome nelle carte, per evitare fughe di notizie, era stato sostituito dal Pm con un alias, presente in parte anche sull’ordinanza del Gip: Marin era diventata ‘Clara Abbracci’, residente in Campania. La Marin è indagata perché da avvocato ‘storico’ di Luciano Donadio, avrebbe violato atti coperti da segreto in quanto seguiva altri presunti malavitosi della zona da anni.
Il Pm ne aveva chiesto la sospensione dell’attività, e il nome emerge quando il Gip respinge la richiesta perché pare che le eventuali comunicazioni illecite «non fossero accompagnate da reale volontà». Ad attenuarne la posizione, secondo il giudice, anche il fatto che «la stessa pluralità di incarichi non era tale da integrare in sé illecito penale».
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Il Presidente uscente della Camera penale di Venezia, Renato Alberini, rileva che «oltre al dispiacere di vedere l’avvocato Marin in questa situazione è da valutare il peso effettivo di quanto avrebbe commesso, circostanze che lo stesso Gip, di fatto, alleggerisce di molto nel respingere le richieste del Pm». Non risultano, al momento, provvedimenti disciplinari nei confronti della legale. – [IlGazzettino.it] CONTINUA A LEGGERE >>
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