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Coronavirus, ospedale Fiera, come volevasi dimostrare: sono spariti i 10 milioni donati da Berlusconi

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22/05/2020 – Mentre il Coronavirus in Italia continua a farla da padrone, nonostante ci sia stata una lenta ripartenza di quasi tutte le attività, il numero di malati e morti resta alto. Ma gli ospedali adesso hanno un numero di pazienti nettamente inferiore e anche le persone che necessitano di terapia intensiva è in diminuzione costante. Resta però avvolto nel mistero – come riporta il Fatto Quotidiano – il progetto dell’ospedale della Fiera di Milano, e che ha ospitato fin qui solo 25 pazienti, su una capienza massima di 221 posti letto. Il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli ha aperto un fascicolo, per il momento senza indagati, in seguito ad un esposto del Cobas, che ha chiesto di far chiarezza sui versamenti: 21,6 milioni e sulle spese per i posti letto: attualmente ogni letto occupato è costato 840 mila euro.

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La prima parziale rendicontazione fornita, indica una spesa di 17,25 milioni, ive esclusa, ma mancano parecchi dettagli sui nomi dei benefattori e le esatte voci di spesa. Si apprende – come riporta il Fatto – che non c’è più traccia dei 10 milioni donati da Silvio Berlusconi. Fondazione Milano, che gestisce il fondo sul quale sono affluiti i soldi dei donatori, ha smentito seccamente di aver ricevuto l’assegno. I soldi sarebbero stati versati direttamente sul conto di Regione Lombardia, ma nonostante la conferma della donazione da parte di Gianluca Comazzi, capogruppo di Forza Italia al Pirellone, evidenze di quel versamento ad oggi non ce ne sono.

Tra i contrari all’opera c’era – come riporta il Fatto Quotidiano – il professor Zangrillo, primario di anestesia e rianimazione al San Raffaele di Milano. “Un’operazione inutile” – disse sbattendo la porta ad una delle prime riunioni sull’ospedale. La sua previsione, infatti, era che quando la struttura sarebbe stata pronta la curva di ricoveri in terapia intensiva sarebbe stata in calo, inoltre diceva “credo che non si possa assemblare un reparto di terapia intensiva senza fondarlo su un gruppo di medici infermieri abituati a lavorare insieme”. Ma non gli hanno dato retta. – [Affaritaliani.it]
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Udine, truffa da 10 milioni su residenze per anziani e minori: “Salute a rischio”. 8 arresti: in carcere il titolare Blasoni, ex Forza Italia

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25/10/2019 – “Comprimevano al massimo il costo del personale“, anche a rischio di pregiudicare “benessere e salute” di anziani e minori. Le irregolarità vanno dai rapporti di lavoro al raggiro degli ospiti privati che, a fronte delle rette di degenza pagate, hanno ottenuto prestazioni assistenziali inferiori. In questo modo, la società Sereni Orizzonti ha percepito illecitamente contributi pubblici per oltre 10 milioni di euro, presentando alle aziende Sanitarie rendicontazioni non veritiere in ordine agli standard quantitativi e qualitativi dei servizi assicurati nelle proprie strutture. Sono le accuse con cui il gip del tribunale di Udine, Mariarosa Persico, ha disposto 9 misure cautelari personali a carico dei responsabili della truffa aggravata: si tratta di 4 custodie cautelari in carcere – tra cui il fondatore e presidente di Sereni Orizzonti, Massimo Blasoni, ex consigliere di Forza Italia – 4 arresti domiciliari e un obbligo di dimora.

Gli 8 arresti sono stati eseguiti dalle Guardia di Finanza di Udine che hanno anche eseguito perquisizioni e sequestri per un totale di dieci milioni di euro. La truffa aggravata è ai danni dei bilanci delle Regioni Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Sicilia. Sereni Orizzonti, la società guidata da Blasoni al centro delle indagini, negli anni è diventata la prima azienda italiana per crescita nel settore della costruzione e gestione di residenze per anziani in larga misura non più autosufficienti. Ma anche nella gestione di comunità terapeutiche – riabilitative per minori e adolescenti – con sedi operative in tutto il territorio italiano. Il gruppo di Blasoni opera anche in Germania e in Spagna. Gestisce 5.900 posti letto e occupa quasi 3mila dipendenti (soprattutto donne) in 80 residenza sanitarie assistenziali e 10 comunità per minori. Nel 2019 il fatturato di Sereni Orizzonti (che aveva già segnato +147% nell’ultimo quadriennio) supererà per la prima volta quota 200 milioni di euro.

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Chi era Blasoni: dalle condanne alla carriera con Forza Italia
Massimo Blasoni non è nuovo a problemi con la giustizia. Condannato nel 1996 per esercizio abusivo della professione (si era spacciato per consulente del lavoro), ha patteggiato sborsando 400mila lire. Nel 1999 invece una condanna a un anno e 9 mesi di reclusione con patteggiamento e sospensione della pena per bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, evasione fiscale, appropriazione indebita, corruzione aggravata, reati commessi dal 1991 al 1996. Nel 2004 aveva ancora patteggiato 6 mesi di carcere sostituiti da un’ammenda di 6.800 euro per delitto colposo di danno e violazione delle regole relative agli infortuni sul lavoro. Comincia nello stesso periodo la sua carriera in politica con Forza Italia: è stato consigliere regionale dal 2003 al 2008, poi ancora per il Pdl dal 2008 al 2013. Nel dicembre scorso è stato assolto nell’inchiesta sulle spese pazze in Regione.

Le accuse: “Documentazione sistematicamente distrutta o occultata”
Per le Fiamme gialle, le strutture operative della società, “per massimizzare i profitti d’impresa, comprimevano al massimo il costo del personale di servizio impiegato ed erogavano prestazioni diverse per quantità e qualità rispetto agli standard normativamente e contrattualmente previsti, determinando una minore assistenza ad anziani e minori, anche a rischio di pregiudicarne il benessere e la salute”. A tale scopo, venivano rendicontate anche maggiori ore di assistenza socio-sanitaria, considerando tra queste prestazioni anche quelle effettuate da personale privo delle necessarie qualifiche e, di fatto, impiegate solo nei servizi di pulizia e di cucina. La documentazione attestante le presenze giornaliere degli operatori assistenziali e le ore di lavoro da loro realmente prestate era sistematicamente distrutta e/o occultata agli organi di vigilanza. Altre volte, prestazioni mai rese ai propri degenti erano falsamente rendicontate sulla base di fatture false emesse da professionisti compiacenti.

La frode scoperta grazia a una verifica fiscale delle Fiamme Gialle
Il sistema di frode è emerso grazie a una verifica fiscale condotta dalle Fiamme Gialle di Udine, con approccio multidisciplinare, nell’ambito della quale i finanzieri si erano accorti di alcune criticità nella rendicontazione degli oneri alle Aziendesanitarie nel comparto dell’assistenza agli ospiti delle residenze per anziani e delle comunità per minori. Il Procuratore della Repubblica di Udine, Antonio De Nicolo, e il sostituto Paola De Franceschi, che hanno coordinato le indagini, hanno voluto salvaguardare, nella richiesta di adozione delle misure cautelari, la continuità dei servizi di cura e assistenza degli ospiti e i rapporti di lavoro degli addetti alle strutture. – [FONTE]
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Il network del MoVimento 5 Stelle che raggiunge ogni giorno milioni di italiani

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28/11/2017 – La pagina Facebook di Beppe Grillo ha quasi 2 milioni di like, quella di Di Battista 1.300.000, quella di Di Maio 1.100.000, quella del MoVimento 5 Stelle 1.099.000, quella di Virginia Raggi 830.000, quella di Paola Taverna 415.000, quella di Roberto Fico 223.000, quella di Nicola Morra 208.000, quella di MoVimento 5 Stelle Camera 197.000, quella di Chiara Appendino 187.000, quella di MoVimento 5 Stelle Senato 186.000, quella di Carla Ruocco 179.000, quella di Giancarlo Cancelleri 171.000, quella di Carlo Martelli 170.000, quella di Barbara Lezzi 162.000,………..

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………….. quella di Vito Crimi 159.000, quella di Danilo Toninelli 148.000, quella di Fabio Massimo Castaldo 134.000, quella di Manlio Di Stefano 126.000, quella di Roberta Lombardi 122.000, quella di MoVimento 5 Stelle Europa 113.000, quella di Giulia Grillo 111.000, quella di Giorgio Sorial 103.000, quella di Ignazio Corrao 99.000, seguono altre decine e decine di pagine di portavoce del MoVimento 5 Stelle che hanno tra i 90.000 e i 10.000 like.



Si tratta di un network enorme che ha più di dieci milioni di like e raggiunge ogni giorno milioni di italiani nella massima trasparenza ed è composto da persone fisiche facilmente rintracciabili e pubbliche. I giornali e i telegiornali, su input del Pd, parlano da giorni di due pagine Facebook, che non sono assolutamente riconducibili alla comunicazione ufficiale del MoVimento 5 Stelle e gestite da uno talmente grillino (!) che ha gestito anche dei siti della Lega per soldi, che hanno rispettivamente 20.000 e 90.000 like e che sarebbero il motivo del successo della comunicazione web del MoVimento. I numeri parlano chiaro e parlano da soli. Non c’è nulla da aggiungere.


Andare contro l’evidenza matematica è da frustrati. Il network del MoVimento 5 Stelle è enorme, trasparente e a costo zero perché è fatto dai suoi stessi portavoce. Il segreto è tutto qua. È tutto alla luce del sole ed è molto più semplice di quanto vogliano farvi credere. Fake news? No: proposte e programmi per i cittadini lanciati ogni giorno da pagine direttamente riconducibili al MoVimento 5 Stelle che raggiungono ogni giorno milioni di persone e seguitissime perché dietro ci stanno portavoce in carne e ossa. Altro che due paginette anonime e dai nomi improbabili gestite da un consulente a libro paga della Lega Nord. Continuate a seguire le nostre pagine ufficiali! FONTE
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Maxi evasione fiscale sulle accise, la Guardia di Finanza sequestra depositi e raffinerie dell’Eni: 18 indagati

23/11/2017 – È iniziato tutto anni fa durante alcuni controlli di routine dei finanzieri nei confronti delle autobotti che trasportano benzina, gasolio e gpl. Prima un carico sballato: dichiarava meno litri di quanti effettivamente trasportati. Poi due, tre, quattro e così via. In un primo momento le Fiamme gialle hanno pensato a un giro di contrabbando di carburanti: l’autotrasportatore usciva dai depositi ufficiali con il numero di litri dichiarati e poi rabboccava altrove, sul mercato clandestino.

La sorpresa è arrivata quando è stata incrociata la provenienza dei carichi, sempre la stessa: depositi e raffinerie dell’Eni.

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Le autobotti si rifornivano a Taranto, Gela, Vado Ligure, Pavia e Piacenza, Livorno, Gaeta, Napoli, Palermo e giù fino a Pantelleria. Erano decine i punti di stoccaggio nelle 13 principali regioni, secondo i militari della Guardia di Finanza, che vendevano molta più benzina di quanta ne veniva contabilizzata, grazie a un trucchetto degli strumenti di misurazione. Gli investigatori si dicono certi di aver accertato “la sottrazione al pagamento delle accise gravanti su quasi 40 milioni di litri di prodotti, con conseguente evasione di circa 10 milioni di euro di tributi”.

Così oggi sono scattati i sigilli agli impianti su disposizione del gip del Tribunale di Roma su richiesta della procura della Capitale, che ha iscritto nel registro degli indagati 18 persone. Quattordici di queste sono dipendenti Eni, quasi tutti direttori e responsabili operativi di depositi e raffinerie. Al momento, non sono indagati i loro superiori. Gli altri quattro finiti sotto inchiesta sono dipendenti degli Uffici metrici di Roma, Pavia e Livorno. Il sequestro voluto dal giudice per le indagini preliminari è così imponente che Eni si è affrettata a dichiarare che l’operazione porta al “fermo totale delle attività di raffinazione e rifornimento di carburanti” e quindi “richiederà la possibilità di utilizzo dei misuratori” così da “ridurre per quanto possibile al minimo l’impatto verso i clienti“.



Di fatto, secondo la Guardia di finanza, il ‘sistema’ ideato era “inidoneo a garantire la necessaria affidabilità ai fini fiscali” e per questo agli indagati vengono contestati a vario titolo violazioni del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi – sottrazione di prodotto al pagamento dell’imposta, alterazione di misuratori e sigilli – e del codice penale (uso di strumenti di misura alterati, predisposizione di falsi verbali e attestazioni, abuso d’ufficio).

“Le indagini del Nucleo di polizia tributaria di Roma – spiegano i finanzieri – che hanno valorizzato anche le parallele e convergenti attività investigative affidate dalle procure di Prato e Frosinone ai reparti di Firenze e Frosinone, hanno riguardato condotte illecite commesse, in particolare, nella delicata fase dell’estrazione dai depositi fiscali di Gpl, gasolio e benzina, momento in cui sorge il debito d’imposta“.


Anche attraverso l’esame di documenti e supporti informatici di Eni, oltre ai controlli sulle strade che hanno dato il via all’inchiesta, gli investigatori hanno scoperto che “la frode veniva realizzata mediante la manomissione degli strumenti di misurazione“, le cosiddette testate, “e dei sigilli apposti sugli stessi dall’amministrazione finanziaria a tutela della loro immodificabilità”, oltre una modifica “arbitraria delle variabili di volume, temperatura e densità dei carburanti e l’alterazione informatica delle ‘testate’, anche ‘da remoto’”. FONTE
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Oltre il danno la beffa: gli ex manager di Mps non restituiranno 10 milioni di euro, a saldare il conto saranno i contribuenti

18/09/2017 – Il Monte dei Paschi di Siena ha perso un’altra battaglia. E forse anche la guerra: le sanzioni per 10 milioni di euro comminate negli anni scorsi dalla Banca d’Italia all’ex presidente, Giuseppe Mussari, all’ex direttore generale, Antonio Vigni, e all’ex direttore finanziario, Gianluca Baldassarri, saranno pagate dai contribuenti con la “nazionalizzazione”.

Il fondamento delle sanzioni

Le sanzioni, già saldate dall’istituto senese, avevano tratto fondamento da vicende tutte interne a palazzo Kock: dai derivati alle carenze organizzative fino al contestatissimo prestito convertibile Fresh (le obbligazioni erano state emesse da Mps per finanziare l’acquisizione di Banca AntonVeneta). “Fatto sta – si legge adesso su LiberoMercato – che il conto con la Vigilanza era stato saldato attingendo alle casse dell’istituto, allora guidato da Alessandro Profumo (sostituito alla presidenza prima da Massimo Tononi e poi da Alessandro Falciai) e Fabrizio Viola (rimpiazzato dal nuovo amministratore delegato, Marco Morelli)”.

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La sentenza della Corte di Cassazione

Una scelta riletta e riveduta in seguito dal vertice dell’istituto di credito. Di qui il tentativo di recuperare, senza successo, quei soldi in tribunale. Il tentativo di Mps è stato rintuzzato prima dal tribunale di Siena, poi dalla Cassazione. Ed è stata proprio quest’ultima, con una ordinanza del 7 marzo, a dare manforte alle riluttanze di Mussari, Vigni e Baldassari nel duello legale con Bankitalia. Con il risultato, quasi certo ormai, che Mps dovrà fare a meno per sempre di quei soldi. A pagare saranno, la strada parrebbe tracciata, ancora una volta i contribuenti. Gli avvocati sono stati bravi a trovare la soluzione più utile ai loro clienti.

Il nodo della contrastata vicenda

“Il nodo della vicenda – spiega Francesco de Dominicis – è grosso modo questo: Mussari, Vigni e Baldassarri hanno presentato ricorso al Tar del Lazio contro le gabelle della Vigilanza. In buona sostanza, ritengono – a loro giudizio – di aver ben operato quando avevano in mano le chiavi di Rocca Salimbeni. L’iter amministrativo non è ancora chiuso e, scrive la Cassazione, si tratta di un percorso al termine del quale quelle multe potrebbero essere ridimensionate o addirittura cancellate, anche se la cronaca rende improbabile questa opzione”.



Come si è arrivati a questo punto?

Com’è che si arrivati a questo punto? La Corte di Cassazione parla di “inerzia” dell’ex banca del Partito democratico. Le ragioni non si conoscono, ma di sicuro in quella fase c’era molto lavoro da fare per salvare Mps. Forse proprio per questo il fascicolo sulle sanzioni per violazione del testo unico bancario è finito in coda alle priorità dell’ufficio legale. Resta ancora aperta la via del Tar, che potrebbe confermare le sanzioni all’ex board di Mps riuscendo così a recuperare il malloppo. Altrimenti il conto finale arriverà su quelle pubbliche. La guerra potrebbe ancora proseguire a colpi di ricorsi e cavilli normativi.

fonte
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Viminale, indagati 24 dirigenti: «Spariti 10 milioni»

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22/04/2017 – Dieci milioni spariti dalle casse del Viminale, un processo penale in corso e, ora, un’inchiesta della Corte dei conti con 24 indagati eccellenti, tra vertici del ministero, monsignori della Cei e ex dirigenti del Mibact.

La vicenda è quella per cui, nel 2013, venne arrestato il prefetto Francesco La Motta, ex vice direttore dell’Aisi, finito sotto processo a Roma per truffa, falso e peculato, e assolto a Napoli in un procedimento parallelo. Nel 2011 avrebbe attestato che 10 milioni di euro del Fondo edifici di culto…..continua
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