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Come l’ex M5S Michele Giarrusso potrà dare a Salvini la maggioranza in giunta sul processo Open Arms

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25/05/2020 – Giarrusso salva Salvini. Potrebbe essere più di una concreta possibilità, questo pomeriggio in giunta elezioni e immunità al Senato. All’ordine del giorno c’è la richiesta di autorizzazione a procedere per il caso Open Arms, una nave con 150 migranti a bordo che il leader della Lega, allora ministro dell’Interno, tardò a far sbarcare. Una questione molto simile a quella della nave Diciotti (l’autorizzazione in quel caso fu negata dalla maggioranza giallo-verde) o della nave Gregoretti (questa volta, autorizzazione concessa dal nuovo governo, con prima udienza del processo inizialmente fissata il prossimo 4 luglio e poi rinviata a ottobre).

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L’ex senatore del Movimento 5 Stelle, che già aveva dato prova di dissenso con la sua precedente linea, votando la sfiducia per il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, con tanto di gestaccio e ‘vaffa’ in aula al momento del suo intervento, potrà confermare ancora di più il suo avvicinamento alle tesi del Carroccio, facendo da ago della bilancia nella giunta di questo pomeriggio.

Al momento, infatti, è lui l’unico indeciso, se si considerano gli 11 voti di cui dispone la minoranza (con il voto di un senatore delle Autonomie, che si era comportato allo stesso modo anche nei casi precedenti relativi all’autorizzazione a procedere per Salvini) e gli 11 voti della maggioranza M5S-Pd-LeU e Italia Viva. Deciderà nel pomeriggio e potrebbe far partire sotto migliori auspici per la Lega questa votazione, considerando che il giudizio spetterà in ogni caso, nella giornata di martedì 26 maggio, all’aula di Palazzo Madama.

Mario Michele Giarrusso ha espresso più e più volte la sua posizione di forte dissenso nei confronti del suo ex Movimento. E il voto simbolico a favore di Matteo Salvini potrebbe essere un altro segnale, questa volta rivolto più al Carroccio che ai propri ex colleghi di partito. Una sorta di ‘io ci sono’ che non passerà inosservato. Per dire che il voto di Giarrusso sarà decisivo soltanto per gli orientamenti politici che vorrà intraprendere nel resto della legislatura. Il passaggio in aula della richiesta di autorizzazione a procedere, invece, sembra già orientato, esattamente come quello sulla Gregoretti. – [FONTE]
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Sparisce il fascicolo, a rischio il processo sul voto di scambio. La Corte sporge denuncia

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12/09/2019 – I fascicoli sono stati smarriti negli uffici del tribunale di Napoli per cui il processo rischia di saltare. Proprio così: c’è la concreta prospettiva che non si faccia il processo di secondo grado sul voto di scambio politico elettorale durante le elezioni comunali di Acerra, elezioni segnate da una serie di violenze, minacce e illegalità. Elezioni che nel 2012 proclamarono sindaco il geometra Raffaele Lettieri, sostenuto da una coalizione composta da Udc, Verdi e liste civiche, Lettieri che ha poi rivinto nella successiva tornata del 2017. Intanto ecco il motivo del possibile flop giudiziario: non si trovano le carte del processo di primo grado. L’appello rischia quindi di saltare, cosa che rende sempre più concreta la conseguente possibilità che i reati contestati finiscano in prescrizione. Reati contestati che nel processo di primo grado hanno portato, era il marzo del 2017, alla condanna a 10 mesi di reclusione dell’ex consigliere comunale di maggioranza e imprenditore della vigilanza privata.

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Condannati in quell’occasione anche un dipendente di una ditta dell’ex consigliere di maggioranza, a quattro mesi, e una terza persona, un muratore disoccupato e reclutato, stando all’accusa, allo scopo di promettere posti di lavoro in cambio di voti. Il manovale ha poi patteggiato una condanna a 6 mesi. Ma ora c’è una spada di Damocle da evitare: il rischio che salti il processo d’ appello. Il fascicolo del primo grado, proveniente dal tribunale di Nola, è stato infatti smarrito nel tribunale di Napoli. Qui la quinta sezione della Corte d’Appello avrebbe dovuto fissare già da un pezzo la data dell’inizio del processo di secondo grado. Ma il fascicolo non si trova per cui c’è il rischio che il reato venga prescritto a cavallo tra i mesi di ottobre e novembre. A questo punto è scattata una corsa contro il tempo. L’allarme è stato lanciato dai componenti della parte civile al processo (tra gli altri figurano gli ambientalisti Alessandro Cannavacciuolo e Vincenzo Petrella). Hanno riferito che il dirigente della sezione di Corte d’Appello in cui si dovrà tenere il processo di secondo grado ha provveduto a sporgere denuncia di smarrimento del fascicolo. Sullo sfondo si stagna una situazione complessa, molto delicata. In base alla legge spazza corrotti, varata appena alcuni mesi fa, le aziende dell’imprenditore Ricchiuti potrebbero infatti non avere più rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni se in Appello la condanna dovesse essere confermata.

Nel frattempo i legali della parte civile stanno lottando contro il possibile colpo di spugna tentando di ricostruire il fascicolo del processo di primo grado con l’obiettivo di far partire quello di secondo grado, cosa che bloccherebbe la prescrizione del reato e la mancata applicazione di un’eventuale condanna definitiva in Cassazione. Retroscena da pelle d’oca. Il processo coinvolge un personaggio importante della vita politica di Acerra. Importante non solo perchè Nicola Ricchiuti è imparentato con il sindaco Lettieri. L’imprenditore opera infatti nel campo della vigilanza privata e, sempre in base al primo grado, durante la campagna elettorale alle comunali del 2012 avrebbe promesso una serie di posti di lavoro in questo settore a giovani e meno giovani, tutti disoccupati. Ricchiuti compare anche nel dossier antimafia della Polizia di Stato con cui un ex dirigente del locale commissariato, nel 2013, tentò invano di dare il via a una retata in municipio e al contestuale scioglimento del Comune di Acerra, già commissariato per infiltrazioni della camorra nell’ormai lontano 1992. Fu chiesta al tribunale di Nola un’ ordinanza di custodia cautelare per 26 tra politici e loro accoliti. Una richiesta finita nel nulla. – [FONTE]
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Capitano senza gloria. Spallata flop a Conte. Al Senato la Lega non ha i numeri e sbatte contro la maggioranza M5S-Pd-Leu

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14/08/2019 – Fallisce la blitzkrieg del Capitano. Neppure il rinnovato sostegno delle truppe di FI e FdI e una strategia dell’ultima ora per irretire il Movimento 5 Stelle sono riusciti ad evitare ieri pomeriggio a Matteo Salvini di restare impantanato a Palazzo Madama. Il campo di battaglia che velocemente lo doveva portare a schiacciare il premier Giuseppe Conte e tornare alle urne è diventato incredibilmente infido per lui, che non è riuscito a mantenere neppure una posizione. Al Senato non si tornerà a discutere prima del 20 agosto e il campo non sarà quello tracciato nelle mappe approntate dal leader della Lega al Papeete, ma quello più congeniale ai pentastellati e anche al Pd, con il presidente del Consiglio che presenterà una sua informativa anziché dover assistere a un voto di sfiducia in una sorta di corte marziale che avrebbe voluto allestire il Carroccio.

COLPO DI SCENA. Resosi conto che lo scacchiere sta mutando e il rischio di restare a urlare sui banchi dell’opposizione anziché accomodarsi a Palazzo Chigi è concreto, Salvini ieri ha cercato di mettere il Movimento 5 Stelle con le spalle al muro, assicurando di essere pronto a tagliare i parlamentari purché poi si torni subito al voto. Un colpo di scena. Compiuto prestando grande attenzione a chiamare in continuazione amici i pentastellati e ad attaccare con ferocia soltanto il Pd e in particolare Matteo Renzi. Invano. In Aula il M5S ha specificato che se si vota una riforma come quella della riduzione del numero di parlamentari allora non si vota prima la mozione di sfiducia al governo che quella riforma ha portato avanti.

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E poi è intervenuto Luigi Di Maio con un post su Facebook, dicendosi soddisfatto da una parte per la Lega che si è spostata sulle posizioni del Movimento per quanto riguarda il taglio dei parlamentari e dall’altra di essere preoccupato per l’aumento dell’Iva nel caso in cui si proceda verso nuove elezioni. “Non mi sono mai piaciute quelle persone che fanno gli amici di tutti – ha concluso. Per me l’amicizia è una cosa seria, è un valore fondamentale nella vita, straordinario. E soprattutto, i veri amici sono sempre leali. Per quanto riguarda il voto, il Movimento cinque stelle è pronto, ma è il presidente della Repubblica il solo ad indicare la strada per le elezioni. Gli si porti rispetto”. Un modo insomma per dire che con il contentino del taglio dei parlamentari la Lega non può sperare di evitare che il Movimento 5 Stelle formi un nuovo governo facendo precipitare Capitano e sottufficiali leghisti all’opposizione.

LA DECISIONE. Respinte tutte le proposte della Lega, di Fratelli d’Italia e di Forza Italia per votare subito la sfiducia a Conte, il Senato ha così deciso, con una nuova maggioranza composta da M5S, Pd e Leu, di tornare a Palazzo Madama soltanto il 20 agosto. E dopo l’informativa, senza essere sfiduciato, Conte potrebbe recarsi al Quirinale, rimettere il mandato ed eventualmente poi ottenerne un secondo per cercare di formare un altro esecutivo. Doveva essere una Vittorio Veneto nei piani fatti in spiaggia e la giornata di ieri al Senato per il Capitano è stata una mezza Caporetto. Nessuna gloria per lui. L’unico omaggio è sembrato quello della presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati che lo chiamava presidente anche se non è ben chiaro di cosa. – [FONTE]
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Sono sedici minuti quelli che il leader della Lega Matteo Salvini ha avuto a disposizione, in Senato, in occasione delle dichiarazioni di voto per calendarizzare la sfiducia al presidente Conte. Intervento nel quale è proprio l’ex Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, l’interlocutore e bersaglio principale. Fra le frasi dette dal vicepremier: “Non ho paura come Renzi di andare a votare, capisco la sua preoccupazione di perdere la poltrona, se gli italiani vorranno votarlo di nuovo tanti auguri”. Non sono mancate da parte del partito democratico urla e proteste, mentre Renzi rideva divertito. .



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Di Maio: “Raggiunto accordo di maggioranza sul salario minimo”

10/07/2019 – “Sono contento che in queste ore si sia raggiunto un accordo di maggioranza” sul salario minimo orario. Così il vicepremier e ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, in occasione della presentazione del Rapporto Inps. Si tratta, ha spiegato Di Maio, di “una legge di civiltà” per cui auspico “non ci siano divisioni tra maggioranza e opposizioni”. “Non è più accettabile che in Italia ci siano cittadini pagati due o tre euro l’ora”.

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“Non è più concepibile che nel nostro Paese ci siano cittadini pagati 2-3 euro l’ora. Questa è una legge di civiltà e che allinea l’Italia agli altri paesi europei. Sul salario minimo sono contento che si sia raggiunto l’accordo di maggioranza. Ma auspico che su questa legge non ci siano divisioni tra maggioranza e opposizioni. Qualunque tipo di flat tax, di taglio del cuneo fiscale dovrà avere come unico obiettivo quello di aiutare il ceto medio di questo Paese”. Così il vice premier Luigi Di Maio alla presentazione della relazione annuale dell’Inps.

Le dichiarazioni del ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio durante la presentazione della relazione annuale dell’Inps:
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Lorenza Carlassare, Costituzionalista:“Mattarella non poteva mettere il veto su Savona”

30/05/2018 – Lorenza Carlassare – professore emerito a Padova, una dei nostri costituzionalisti più autorevoli – risponde al telefono con l’abituale fermezza: “Non è difficile valutare alla luce della Carta i fatti di questi giorni. Si discute se il comportamento del capo dello Stato sia stato corretto. La risposta per un costituzionalista è facile, perché noi valutiamo le situazioni solo ed esclusivamente in rapporto al dettato costituzionale e a ciò che rientra nella tradizione del sistema parlamentare. La nostra non è una Repubblica presidenziale: da qui discendono molte conseguenze. Il presidente quando forma il governo non fa il suo governo, ma quello della maggioranza”.
E come si deve regolare?
Semplicemente tenendo conto di qual è l’orientamento della maggioranza parlamentare e di quale governo potrà ottenere la fiducia delle Camere. Quel governo dovrà avere la fiducia e conservarla, altrimenti dovrà dare le dimissioni. L’unica stella polare che deve guidare il cammino del presidente è questa valutazione sulla possibilità o meno che quell’esecutivo abbia la fiducia del Parlamento.
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Dove risiede il potere decisionale del presidente?
Dopo le consultazioni, deve valutare qual è la persona maggiormente idonea a ricoprire la carica di presidente del Consiglio. È una valutazione che però non si basa su opinioni o convincimenti personali del capo dello Stato, ma sulla base delle consultazioni che altrimenti sarebbero inutili. Dopo aver individuato la persona e conferito l’incarico, la responsabilità passa al presidente incaricato che deve comporre la lista dei ministri del suo gabinetto. La proposta di cui parla l’articolo 92 della Carta vincola il capo dello Stato, che può esprimere valutazioni di cui il presidente incaricato può tenere conto se lo ritiene. Il diniego sul nome di un ministro può esserci per incompatibilità col ruolo, per conflitto d’interessi o indegnità causata, per esempio, da condanne penali, dunque solo per ragioni oggettive.
Il presidente può fare valutazioni politiche?
No. Perché non è organo di indirizzo politico. La dottrina – da Serio Galeotti a Livio Paladin, per citare due autorevolissimi costituzionalisti – è sempre stata concorde nel ritenere il presidente un organo di garanzia e non di indirizzo politico. Si dice che il presidente si sia fatto garante della Carta, che all’art. 47 assicura la tutela del risparmio. 
Mi fa felice riscontrare questo interesse per il risparmio degli italiani che per decenni non si è mai manifestato né da parte del presidente Mattarella, né dei suoi predecessori. Tanto è vero che tanti risparmiatori sono stati messi in ginocchio. E non mi riferisco solo a quelli truffati dalle banche: il risparmio è stato distrutto dai meccanismi attuali. È bene che il presidente se ne faccia carico, ma voglio far notare che nel programma di governo non erano previsti provvedimenti distruttivi del risparmio. La valutazione sulla linea economica è stata squisitamente politica. E questa sfugge alle prerogative presidenziali.
Ci sono punti del programma di governo che suscitano perplessità?
Credo quelli sulla sicurezza, citati anche in un’intervista a Gustavo Zagrebelsky qualche giorno fa su Repubblica, come l’autodifesa sempre legittima, o l’uso della pistola a onde elettriche considerata dall’Onu uno strumento di tortura, l’introduzione di reati specifici per i migranti clandestini o il trasferimento dei fondi destinati ai profughi ai rimpatri coattivi. Sono cose in evidente contrasto con la Carta: il presidente avrebbe potuto farlo notare e comunque respingere i singoli provvedimenti.


Cosa pensa della ventilata messa in stato d’accusa?
Mattarella ha certamente esorbitato dalle sue funzioni. Ma la messa in stato d’accusa è qualcosa di più complesso: bisogna dimostrare, anche con comportamenti reiterati, l’intenzione di sovvertire la Costituzione. Non è questo il caso. In ogni caso, nell’interesse del Paese è un discorso che va abbandonato perché paralizza il funzionamento delle istituzioni.
Si cita spesso il precedente di Napolitano, che ha interpretato in maniera vigorosa il suo ruolo: per Renzi anche imponendo il percorso di riforme costituzionali.
Le rispondo così: quando il presidente Cossiga esorbitava dalle sue funzioni, i costituzionalisti manifestavano le loro critiche continuamente proprio per evitare che si potesse parlare di una prassi consolidata.
La presidenza della Repubblica ne esce ammaccata?
Mi auguro con tutto il cuore di no.
 – Silvia Truzzi FQ 30 maggio 2018 –

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Mattarella non farà il ‘Napolitano’. La maggioranza devono trovarla i vincitori


06/03/2018 – Sergio Mattarella ha fatto sapere ai partiti che cosa vuole da loro quando saliranno dopo il 23 marzo al Quirinale per le consultazioni: si tratta di un pacchetto di seggi pari al il 51% di parlamentari necessari a dar vita a una maggioranza e quindi a far nascere un governo.
Se nessuno, come sembra, supererà la soglia per avere la maggioranza autosufficiente per formare il governo, il capo dello Stato non ha nessuna intenzione di interpretare un ruolo da protagonista, creando nuove maggioranze, inventando presidenti del Consiglio o delineando nuovi governi. Con tutta la pazienza necessaria, visti i risultati elettorali, il capo dello Stato si appresta a far passare le due settimane abbondanti che ci separano dalla elezione dei presidenti delle due Camere e dalle consultazioni ma ha già fatto sapere qual è la sua impostazione.

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Dalle urne sono usciti tre protagonisti: centrodestra, M5S e PD. Se nessuno di loro avrà la maggioranza, dovrà trovarla attraverso la convergenza con uno degli altri due. Insomma, per capirci, Mattarella non si accontenterà di un governo di minoranza e prima di dare l’incarico al nuovo presidente del Consiglio vorrà contare sulla sua scrivania nello studio alla Vetrata i seggi necessari per far nascere un nuovo governo.

Questa è la moral suasion che il Quirinale intende mettere in campo: lontano dall’interventismo di Giorgio Napolitano, Sergio Mattarella ha indicato dei paletti all’interno dei quali vuole che si muovano i partiti, confidando che questo basti a far nascere un dialogo ed auspicabilmente una alleanza. Due sono quindi presumibilmente le strade più praticabili: da una parte una coalizione di centrodestra che trovi i voti necessari a raggiungere la maggioranza direttamente in Parlamento e contattando singoli deputati; dall’altra parte un accordo tra M5S e un PD ‘de-renzizzato’. Ma su questa ultima strada, che sembrava quella preferita da Luigi Di Maio, si è messo di traverso proprio Matteo Renzi. Solo così si possono leggere le dimissioni, da molti definite fake, che ha rassegnato poche ore dopo la chiusura delle urne.



Il segretario del PD infatti ha annunciato che si dimetterà solo dopo che saranno stati eletti i presidenti delle Camere e sarà stato formato il nuovo governo; sarà quindi ancora lui a giocare in prima persona la partita per il Pd ed ha già fatto sapere che la sua volontà è di far restare il partito all’opposizione. L’altra opzione possibile è quella di un governo M5S-Lega, per ora escluso da Matteo Salvini e considerato il caso peggiore da molti osservatori e dalle cancellerie europee. Nelle prossime settimane capiremo se la moral suasion di Mattarella, molto meno drastica di quella di alcuni suoi predecessori, sarà altrettanto efficace. FONTE
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Risultati elezioni 2018, al centrodestra mancano 56 seggi per la maggioranza. M5s: 221 deputati. Salvini: “Tocca a noi”


06/03/2018 – Maggioranze lontane, lontanissime per chiunque, dopo ilriparto del proporzionale. Come prevedibile, nessuna forza politica sfiora a Montecitorio quota 316 seggi, quella che garantisce la possibilità di governare in maniera autonoma. La prima forza alla Camera sarà quella del centrodestra che – al netto degli eletti in Valle d’Aosta – vale 260 deputati. Al Movimento Cinque Stelle vanno 133 seggi che si sommano agli 88 uninominali vinti formando una pattuglia di 221 onorevoli, che rappresenteranno il primo gruppo parlamentare.
Il Pd, sulla base del 18,7% dei voti, elegge 86 deputati nel proporzionale, tra i quali ci sono anche i ministri Dario Franceschini e Marco Minniti, oltre al presidente del partito Matteo Orfini. Conteggiando i 24 collegi uninominali vinti, la coalizione di centrosinistra – due eletti nel proporzionale per gli alleati di Svp, zero per +Europa, Civica Popolare e Insieme – sarà composta da appena 112 deputati. A Liberi e Uguali vanno 14 seggi che permettono il ripescaggio anche di Pier Luigi Bersani e Laura Boldrini.
La ripartizione del centrodestra, al quale mancano 56 deputati per avere una maggioranza con ancora 23 seggi da assegnare, vede la Lega in testa con 73 scranni, a seguire da Forza Italia con 59 seggi e Fratelli d’Italia che porta a casa 19 onorevoli. Zero, invece, per Noi con l’Italia che non ha superato il 3 per cento. La Lega, tra l’altro, elegge 7 deputati nelle regioni meridionali: due in Puglia, Campania e Sicilia, uno in Calabria.
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Al Senato, escludendo il riepilogo della circoscrizione Valle d’Aosta, sono 308 su 315 i seggi finora ripartiti. Al centrodestra ne vengono assegnati 135, di cui 37 alla Lega, 33 a Forza Italia, 7 a Fratelli d’Italia assegnati in base alla quota proporzionale e 58 con l’uninominale. L’M5S vede finora assegnati in totale 112 seggi, di cui 44 relativi ai collegi uninominali e 68 alla quota proporzionale. Il Pd totalizza 56 seggi, di cui 13 relativi ai collegi uninominali e 43 al proporzionale; al conteggio si aggiunge un seggio a Svp. Quattro seggi vanno a Liberi e Uguali.
CRONACA ORA PER ORA
11:47 – Centinaio: “Governo M5s-Pd via più naturale”“C’è il rischio di finire all’opposizione semplicemente perché, oggi come oggi, forse diventa più naturale per il Movimento Cinque Stelle, per il Partito Democratico e per Leu provare a chiedere a Mattarella di avere i numeri per poter fare il governo.” a dirlo ai microfoni di 24Mattino su Radio 24 è Gian Marco Centinaio (Lega), intervistato da Luca Telese e Oscar Giannino. “È più naturale per il semplice motivo che effettivamente i voti arrivano tutti da quella parte”, ha spiegato Centinaio.
11:40 – Serracchiani lascia segreteria nazionale Pd“Alla luce del risultato delle elezioni, per senso di responsabilità nei confronti di tutta la comunità del partito, ho preso la decisione di dimettermi dalla Segreteria nazionale del Pd”. Lo ha fatto sapere Debora Serracchiani, presidente del Friuli Venezia Giulia. “Oggi stesso farò pervenire al segretario nazionale la lettera formale con cui comunico un atto che reputo doveroso e improrogabile“.
11:38 – Il segretario umbro del Pd si dimette: “Umbria blu colpo al cuore”Il segretario umbro del Pd Giacomo Leonelli si è dimesso dal suo incarico. Lo ha annunciato nel corso di una conferenza stampa dopo il risultato delle elezioni politiche nelle quali il partito è stato sconfitto in tutti i collegi uninominali di Camera, per la quale lui stesso era candidato a Perugia, e Senato. “Mi dimetto – ha detto – per tre motivi. Per dare un segnale a militanti e simpatizzanti perché vedere l’Umbria blu per loro è un colpo al cuore. Lo faccio poi per fare una valutazione franca senza retro pensieri e tatticismi ma anche per fare un ragionamento sull’Umbria visto che ci sono scadenze importanti per Comune e Regione”.

11:13 – Tre leghisti campani in ParlamentoPer la prima volta la Campania elegge due deputati e un senatore della Lega, che proprio della trasformazione in partito “nazionale” ha fatto un suo cavallo di battaglia. I tre parlamentari sono tutti eletti in collegi plurinominali. Sono eletti alla Camera Pina Castiello e Gianluca Cantalamessa, mentre al Senato viene eletto Claudio Barbaro.



10:53 – Maroni: “Poteva farsi rimpiangere, si farà solo compatire”“Poteva farsi rimpiangere, si farà solo compatire”: il governatore uscente della Lombardia, Roberto Maroni, ha commentato con queste parole sui social la ‘uscita di scena’ del segretario Pd Matteo Renzi. “Che brutto uscire di scena così, da perdente – ha aggiunto – . Non se lo meritava Matteo Renzi, ma non ha saputo cogliere l’attimo”.
10:51 – Renzi: “Al Quirinale non vado. Sarò a sciare”Lo ha detto il segretario dimissionario del Pd Matteo Renzi a Massimo Giannini, che lo ha rivelato a Circo Massimo su Radio Capital. Renzi ha aggiunto che non intende far parte della delegazione Dem che salirà al Quirinale per le consultazioni per la formazione del nuovo governo.
10:51 – Grazie al listino bloccato entrano Piero De Luca e Paolo Siani
Entreranno per la prima volta a Montecitorio alla grazie al listino bloccato Piero De Luca e Paolo Siani, candidati del Partito democratico in Campania entrambi sconfitti nei rispettivi collegi uninominali di Salerno e Napoli-San Carlo all’Arena. Per entrambi infatti il seggio scatta al collegio plurinominale: Piero De Luca era capolista nel collegio corrispondente alla provincia di Caserta, Paolo Siani nel collegio corrispondente alla provincia di Napoli. Molto limitata la “pattuglia” di parlamentari del Partito democratico eletti nei collegi plurinominali in Campania, dopo la sconfitta in tutti i 33 collegi uninominali tra Camera e Senato. Eletti anche i parlamentari uscenti Gennaro Migliore e Umberto Del Basso De Caro, il consigliere regionale Lello Topo e il ministro dell’Interno Marco Minniti, capolista in provincia di Salerno. Eletti al Senato Valeria Valente, parlamentare uscente, consigliere comunale di Napoli e già candidata a sindaco di Napoli nel 2016, il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli e Gianni Pittella.
10:39 – M5s in Sicilia: liste troppo “corte” rispetto ai seggi da riempireLa valanga di voti per il Movimento in Sicilia crea una problema da risolvere nell’attribuzione dei seggi. Oltre ai 28 eletti all’uninominale l’M5S piazza 25 parlamentari, tra Camera e Palazzo Madama, nella quota proporzionale. Ma la vittoria è tanto larga da creare un problema nei subentri, visto che alcuni dei 5stelle eletti nella quota proporzionale hanno ottenuto il seggio anche all’uninominale. E la lista – che per legge non poteva superare 4 nomi – è troppo breve rispetto ai seggi realmente ottenuti dai grillini. Secondo i giuristi a questo punto si andrebbe a cercare in altri collegi. I nodi da sciogliere sono ad esempio nel collegio proporzionale di Messina ed Enna dove Alessio Villarosa e Francesco D’Uva hanno vinto le rispettive sfide dell’uninominale, e dunque opteranno ovviamente per quel seggio. Alle loro spalle, però, c’è un solo nome, quello di Antonella Papiro.


10:13 – Seggi proporzionali in Sicilia: 8 senatori a M5s, 3 a FI, 2 al Pd. Otto senatori al Movimento 5 stelle, tre a Forza Italia, due al Partito democratico e uno ciascuno alla Lega, a Liberi e uguali e a Diventerà bellissima. E’ l’attribuzione dei seggi del Senato in Sicilia con il proporzionale. Tra gli eletti il presidente del Senato e leader di Leu, Pietro Grasso, l’ex presidente di Palazzo Madama, Renato Schifani per Fi, assieme alle colleghe di partito Gabriella Giammanco e Urania Giulia Rosina Papatheu. Completano il quadro dei senatori del centrodestra l’avvocato Giulia Bongiornoper la Lega e l’ex sindaco di Catania, Raffaele Stancanellipresente nelle liste di Fdi per Diventerà Bellissima. Due i senatori del Pd: il sottosegretario Davide Faraone e l’ex deputata regionale Valeria Sudano.
10:05 – Chiamparino: “Candidarmi a segretario? Perchè no?”“Candidarmi a segretario? Perché no? Io una mano la posso dare”. Così Sergio Chiamparino, presidente del Piemonte, a Radio anch’io (Rai Radio1). “Io spero che Renzi voglia gestire questa situazione in maniera collegiale. Magari anche congelando le sue dimissioni. Dobbiamo decidere insieme che posizione prendere. Non ci dobbiamo sottrarre dalle responsabilità ma non dobbiamo neanche andare a togliere le castagne dal fuoco agli altri. Sono i vincitori che devono fare una proposta. Poi valuteremo”. Infine sulle decisioni sul futuro del partito: “Io credo sia giusto far pronunciare la base”.
10:01 – Ghisleri: “Salvini ha vinto con i voti di Berlusconi, M5s con quelli di Renzi”
“A livello nazionale alla Camera i voti si sono mossi a blocchi. Nel centrodestra c’è stato un travaso di quasi tre milioni di voti – un po’ meno, due milioni e 700 mila – da Forza Italia verso la Lega che hanno rimpinguato rispetto alle politiche del 2013, dove la Lega aveva fatto un milione e quattrocentomila voti, fino ad arrivare quasi a toccare i sei milioni insieme ai voti centristi”. È l’analisi dei voti della sondaggista Alessandra Ghisleri (Euromedia Research) ai microfoni di 24Mattino su Radio 24 nel corso dell’intervista di Luca Telese e Oscar Giannino che ha poi spiegato: “Si sono mosse le tematiche economiche, soprattutto al Nord, che hanno spinto il voto verso la Lega, verso un certo tipo di cambio”. La Ghisleri ha poi concluso: “Dall’altro lato, il blocco del centrosinistra se si vanno a vedere la somma dei voti – per punire Renzi che ha votato Bonino – più di un milione e mezzo di voti sono andati in blocco verso i Cinque Stelle. Nel 2013 avevano preso 8milioni e 700 mila voti, oggi prendono quasi undici milioni di voti”.
9:35 – Gentiloni, Martina e Richetti ringraziano il ministro
“La scelta giusta, grazie Carlo Calenda”, ha scritto su Twitter il vice-segretario del partito, Maurizio Martina, uno degli uomini più vicini a Matteo Renzi. Stesso tono usato da Matteo Richetti, altro renziano di ferro. Ringrazia anche il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, sempre tramite i social.
9:10 – Calenda: “Mi iscrivo al Pd, va risollevato”
“Non bisogna fare un altro partito ma lavorare per risollevare quello che c’è. Domani mi vado ad iscrivere al Pd”. Così su twitter il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, rispondendo a chi gli chiedeva di iscriversi alla svelta a un partito, o, meglio ancora, di fondarne un altro. – Ilfattoquotidiano.it

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LA MAGGIORANZA DEGLI IMMIGRATI PRENDE LA PENSIONE SENZA AVER PAGATO CONTRIBUTI

02/07/2017 – “Gli immigrati ci pagano le pensioni”. È il ritornello di chi tifa per porte aperte, accoglienza senza limiti, integrazione a ogni costo. Ma non raccontano tutta la verità. Basta guardare un grafico, pubblicato dal Giornale, per capire che sì, i contributi versati dagli stranieri che vivono e lavorano regolarmente in Italia sono maggiori delle uscite che l’Inps riserva alle loro pensioni, ma è vero anche che la maggioranza degl immigrati che percepiscono pensioni in Italia non ha versato alcun contributo.
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Secondo i dati della stessa Inps, nel 2015 gli stranieri che percepivano pensione erano 81.619. Di questi, 49.852 (il 61%) incassano pensioni assistenziali che non prevedono il versamento di alcun contributo. Altri 9.071 percepiscono assegni di indennità o civili (anche questi ottenibili senza contributi) e solo nei casi di incidenti sul lavoro il soggetto garantito ha l’obbligo di aver versato contributi all’Inps. – Fonte


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Colpo di scena si va verso l’elezioni anticipate: Senato, Affari costituzionali: Renzi battuto, a rischio la maggioranza

06/04/2017 – Terremoto nella maggioranza al Senato: l’elezione a presidente della Commissione Affari Costituzionali di Salvatore Torrisi, senatore di Alleanza Popolare, è suonata come uno schiaffo al Partito Democratico che aveva avanzato il nome di Pier Giorgio Pagliari e come un avvertimento al governo guidato da Paolo Gentiloni.

Immediata la reazione del Nazareno i cui vertici si apprestano a chiedere un incontro con il presidente del Consiglio, e con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Una mossa che suona come l’inizio di una crisi politica, visto che quanto accaduto in Commissione Affari Costituzionali del Senato, luogo dal quale dovrà passare la nuova legge elettorale, evidenzia il momento di tensione che vive la maggioranza e la scarsità dei numeri su cui può contare il Partito Democratico. La seconda conseguenza di quanto accaduto in Senato è lo scambio di accuse tra le forze politiche alla ricerca del responsabile di quello che i dem chiamano già un tradimento. Il Movimento 5 Stelle sottolinea che Pagliari è stato “impallinato” da un terzo dei voti della maggioranza, 5 su 16. “Noi non abbiamo rotto nessun patto”, avvertono alcuni senatori di Alleanza Popolare: “Non c’è stato alcun accordo, e anche con la presenza di Ala Pagliari non sarebbe passato. È una questione interna al Pd e a quella parte della maggioranza che non ha voluto votare Pagliari”, aggiungono.
Fonti parlamentari dem sottolineano che “con questa mossa, nei fatti, si blocca la legge elettorale”, il più importante dei temi su cui il governo Gentiloni ha ottenuto la fiducia in Parlamento. Le stesse fonti sottolineano come ci si trovi davanti a un “grande accordo di Movimento 5 Stelle, Forza Italia, Ncd e scissionisti” che ha “fatto a pezzi l’accordo di maggioranza eleggendo Torrisi, uomo di Alfano, contro il candidato Pagliari. Secondo fonti parlamentari, oltre a due senatori di Ala che non hanno partecipato al voto e ad una scheda bianca, sarebbero stati due senatori dem a votare contro l’indicazione del partito. “Oggi sono nate larghe intese in Senato per non fare la legge elettorale”, conferma il senatore renziano Andrea Marcucci: “Mdp, Forza Italia, M5S ed i centristi hanno eletto il loro presidente nella commissione affari costituzionali, con l’obiettivo di consegnare l’Italia al proporzionale”. A tirare direttamente in ballo gli scissionisti di Mdp è la senatrice dem FrancescaPuglisi: “Erano talmente contrari al Patto del Nazareno che al Senato hanno votato il candidato di Alfano, a braccetto con Berlusconi e Grillo”.
La legge elettorale riemerge come tema incandescente al Senato, e non a caso ha avuto un impatto nell’elezione del centrista Salvatore Torrisi alla presidenza della prima commissione del Senato, chiamata ad occuparsene quando sarà stata licenziata da Montecitorio. E se nella maggioranza le fibrillazioni sono particolarmente intense, come si vede nel confronto a distanza soprattutto tra Pd e Mdp, nemmeno Forza Italia è immune da qualche scossone. Secondo quanto apprende l’Adnkronos da fonti di palazzo Madama, infatti, starebbe circolando un documento aperto alla firma dei senatori azzurri e volto a raccomandare al capogruppo Paolo Romani di mantenere ben ferma la barra sulla proposta proporzionalista di Forza Italia, quale formalizzata alla Camera. Al momento sarebbero una trentina i senatori di Forza Italia firmatari del documento, preoccupati dalla possibilità che il gruppo a palazzo Madama rischi di sbilanciarsi sulla proposta Pd di ritorno al sistema elettorale del Mattarellum. FONTE
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