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Maxi-blitz contro la ‘ndrangheta: 90 arresti tra Europa e Sudamerica. Colpite famiglie della Locride

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05/12/2018 – Nel mirino la ‘ndrangheta e le sue ramificazioni all’estero. L’operazione scattata alle prime luci di oggi, vede poliziotti e finanzieri eseguire 90 misure cautelari, sia in Italia che – in collaborazione con le autorità di quei paesi – in Germania, Olanda, Belgio e in alcuni paesi del Sud America. L’indagine è stata coordinata dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e riguarda diversi importanti esponenti di famiglie storiche della ‘ndrangheta operante nella Locride. Le accuse ipotizzate nei confronti dei soggetti destinatari del provvedimento vanno, a vario titolo, dall’associazione mafiosa al riciclaggio, dall’associazione dedita al traffico internazionale di droga alla fittizia intestazione di beni e altri reati aggravati dalle modalità mafiose.

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Il blitz di oggi è il frutto di un lungo lavoro investigativo svolto da una squadra investigativa comune costituita presso Eurojust tra la magistratura e le forze di polizia di Italia, Paesi Bassi e Germania. Al team investigativo hanno aderito per l’Italia la Dda di Reggio Calabria e diversi reparti di Polizia e Guardia di Finanza. Dal Sudamerica alla Turchia passando per il nord Europa. Le ramificazioni internazionali della ‘ndrangheta sono note e l’operazione condotta all’alba ne è l’ulteriore conferma. Fulcro della rete internazionale, secondo quanto emerso dalle indagini, coordinate in Italia dalla Dda di Reggio Calabria, le principali cosche della Locride, a cominciare dai Pelle-Vottari di San Luca per passare ai Ietto di Natile di Careri ed agli Ursini di Gioiosa Ionica.

Erano loro, secondo l’accusa, a gestire l’imponente traffico di cocaina che dal Sudamerica giungeva in Italia e nel nord Europa, in particolare in Germania, Olanda e Belgio, grazie anche alla collaborazione di alcuni cittadini turchi che avrebbero avuto un ruolo ben preciso, quello di realizzare vani segreti in camion e auto per consentire il trasporto dello stupefacente. Gli arresti in Calabria, secondo quanto si è appreso, sarebbero stati una trentina. Del gruppo di investigatori che hanno condotto le indagini, per l’Italia hanno fatto parte la Squadra mobile di Reggio Calabria, lo Sco di Roma, la sezione Goa del Gico del Nucleo di Polizia economico finanziaria della Guardia di finanza di Catanzaro, lo Scico di Roma e il Nucleo speciale di polizia valutaria. [QuìCosenza.it]
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Pioggia di soldi per le Moschee: cosi i paesi Arabi islamizzano l’Italia

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24/09/2018 – L’islam sta raggiungendo l’Italia. Non con l’immagine classica dell’immigrazione, ma con i fiumi di denaro provenienti dal Golfo Persico. A raccontare un episodio particolare di questa penetrazione delle monarchie arabe è La Verità, che ricorda come, dopo il terremoto che ha colpito il modenese, il Qatar pagò quasi 500mila euro per ricostruire la moschea caduta con il sisma. La Qatar charity foundation per anni ha cercato di finanziare progetti per la costruzione di moschee e centri di indottrinamento. Il suo progetto prevedeva 43 centri islamici partendo dalla Sicilia.

E l’idea era di investire da sud a nord. Come scrive La Verità, “sono arrivati a Ravenna, dove la seconda più grande moschea in Italia è stata sovvenzionata con 800.000 euro spediti direttamente dal Qatar (e con altri 500.000 dall’amministrazione locale) e, ancora, a Roma, Piacenza, Vicenza, Saronno, dove i centri islamici sono sorti come funghi”.

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Questo fino a quando, dopo alcuni anni, la Qatar foundation ha bloccato completamente i versamenti nei confronti dei progetti italiani. L’Ucoii (Unione comunità islamiche d’ Italia) ha confermato più volte di non ricevere più alcun soldo dall’emirato. C’è chi pensa sia per colpa dello scandalo dell’imam di Bergamo, che aveva ricevuto milioni di euro per un progetto innescando le indagini della procura. C’è chi pensa al mutato quadro politico nazionale e internazionale. Ma sta di fatto che quel rubinetto di è chiuso.

L’Italia può tirare un sospiro di sollievo? No. Perché se è vero che dal Qatar non arrivano più finanziamenti, è anche vero che le comunità islamiche non se la passano affatto male. Le moschee e le varie “associazioni culturali” che propagano il Corano muovono un volume d’affari difficilmente calcolabile, ma che raggiunge certamente decine di milioni di euro l’anno. Secondo alcune stime, sempre riportate da La Verità, si calcola un volume d’affari di 42 milioni annuali.



E oltre alle donazioni dirette da parte dei fedeli, ci sono altri Paesi interessati a finanziare progetti di islamizzazione in Italia, come Marocco, Turchia e Arabia Saudita. Riad è da tempo interessata a conquistare il “mercato” delle moschee italiane. A tal punto che gli sceicchi sauditi, tramite particolari ong, vogliono essere il primo partner per i musulmani italiani. Questo chiaramente anche per uno scopo politico e confessionale: avere moschee pagate dai sauditi significa avere centri di propagazione di una specifica ala islamica, conservatrice e profondamente legata alla monarchia wahabita.

Queste moschee, come spiega Mohammad Ben Abd Ul-karim Al-Issa, segretario della Lega musulmana mondiale, saranno esclusivamente ufficiali e rientrano nel piano previsto da Marco Minniti, allora ministro dell’Interno. Ma i dubbi restano, soprattutto per la rete di legami internazionali coinvolti in queste moschee. Ogni moschea ha un Paese finanziatore. E ogni Paese finanziatore ha una sua idea di islam che serve per portare avanti una sua politica. E l’Italia rischia di diventare un laboratorio di guerre intestine alla fede musulmana. – FONTE
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Siria, pronti a fuggire 2 milioni di profughi. Idlib: una bomba che nessuno sa come disinnescare

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03/09/2018 – È una bomba da due milioni di rifugiati pronti a lasciare la Siria raggiungere la Turchia, passare in Grecia e risalire i Balcani. Ma è una bomba che nessuno sa come disinnescare. Il suo nome è Idlib. Fino a otto anni fa era una provincia agricola di quell’angolo di Siria chiuso a Nord Ovest dalla provincia turca di Antiochia. Con la guerra è diventata un nuovo Califfato controllato da 10mila combattenti di Jabhat al Nusra, la costola siriana di Al Qaida, e da 20mila militanti jihadisti e salafiti. Il perché della metamorfosi si nasconde negli accordi di resa accettati dai ribelli dopo le battaglie che hanno restituito alle forze di Bashar Assad, appoggiate dai russi, il controllo delle più importanti aree del Paese da Homs ad Aleppo, da Daraa a Ghouta. Al termine di quelle battaglie Damasco offriva ai ribelli due possibilità. La prima era firmare un accordo di riconciliazione e tornare alle proprie case dopo aver deposto le armi. La seconda, preferita dai militanti più radicali e dai jihadisti stranieri, era salire su dei pullman dell’Onu e venire trasferiti a Idlib.

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Così oggi, cadute le altre roccaforti, Idlib non è solo l’ultimo baluardo jihadista, ma anche l’ultima prigione delle comunità cristiane e l’ultimo ostacolo alla vittoria finale di russi e governativi. I cristiani di Idlib, la cui fede risale ai tempi di San Paolo, vivono da anni reclusi nelle loro case e sono stati costretti a sottoscrivere la rinuncia a qualsiasi simbolo religioso dalle croci, al suono delle campane fino al divieto di celebrare la messa. Ma nonostante Assad prema per una veloce riconquista Vladimir Putin non ha fretta. La sua prudenza è dettata prima di tutto dalla minaccia della bomba migranti. Il rischio di un esodo di due milioni di persone, già discusso con la Merkel, è stato evocato ieri anche da Papa Francesco che ha invitato «tutti gli attori coinvolti ad avvalersi degli strumenti della diplomazia, del dialogo e dei negoziati per salvaguardare le vite dei civili». Un appello diretto innanzitutto al Cremlino impegnato nella ricerca di una soluzione per garantire la fuoriuscita in Turchia dei militanti di Al Qaida e un accordo di riconciliazione tra Damasco e le formazioni ribelli. Gli accordi di riconciliazione con i gruppi meno radicali sono affidati al sottosegretario agli Esteri russo Mikhail Bogdanov e a Nasra al-Hariri, un ex parlamentare siriano definito dal Cremlino un «leader dell’opposizione costruttiva».



Ma l’asse più complesso del negoziato passa per la Turchia. Trasformata in un partner negoziale dopo la crisi del 2015 che portò Ankara e Mosca a un passo dallo scontro armato, la Turchia è una dei garanti di quegli accordi di Astana, sponsorizzati dal Cremlino, in base ai quali Idlib è diventata una «zona di de-conflittualizzazione» affidata all’esercito turco. Rischiare uno scontro con i soldati di Ankara presenti a Idlib è oggi quanto di più lontano dalle intenzioni di un Putin che vede nello scontro tra Erdogan e Trump un’opportunità per dividere la Nato. Ma la Turchia, nonostante il suo ruolo di madrina delle formazioni ribelli più radicali, si rifiuta di chiedere ad Al Qaida di deporre le armi proponendole in cambio il trasferimento sul proprio territorio dei suoi militanti. La soluzione, vista come l’unica possibile per sventare un’imminente offensiva russo-siriana richiede, come contro partita, la neutralizzazione della presenza curda nei territori di confine tra Siria e Turchia.

Così, mentre la trattativa si prolunga e la macchina militare scalda i motori, la miccia della bomba migranti si fa inesorabilmente più corta. – FONTE
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Erdogan rieletto presidente della Turchia, vince al primo turno. Governerà altri 5 anni e con più poteri

25/06/2018 – In Turchia vince Erdogan. lo sfidante ammette la sconfitta. Al presidente 52% dei voti, ora avrà nuovi e più ampi poteri. Recep Tayyip Erdogan festeggia l’ennesimo trionfo nelle elezioni anticipate in Turchia. A scrutinio pressoché concluso (98%), il capo dello stato uscente si è detto ormai certo della rielezione, che stavolta gli metterà in mano i larghissimi poteri attributi dal nuovo sistema presidenziale. “Una vittoria della democrazia”, l’ha definita, rivendicando il successo in un breve discorso.

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“La competizione non è stata equa, ma accetto che (Recep Tayyip Erdogan) ha vinto”. Così Muharrem Ince, principale candidato dell’opposizione nel voto presidenziale in Turchia, in un messaggio inviato via WhatsApp in diretta a un giornalista del canale tv Fox. Finora, il suo Chp aveva contestato i dati diffusi dall’agenzia statale Anadolu, che a spoglio pressoché concluso (98,4%) danno a Erdogan il 52,5% dei consensi, e dunque la vittoria al primo turno.


Anche la coalizione che sostiene Erdogan mantiene la maggioranza assoluta in Parlamento, grazie al risultato sopra le attese dei nazionalisti dell’Mhp, veri vincitori di questo voto. Senza di loro, l’esito sarebbe stato rovesciato. Ora, per il Sultano si profila un mandato di cinque anni con poteri quasi assoluti, ma in un Paese sempre spaccato a metà. Per il nuovo esecutivo la priorità sarà l’economia, dopo il crollo della lira turca che negli ultimi due mesi ha perso il 20%. Forte la delusione per l’opposizione. Dopo il bagno di folla nelle piazze, lo sfidante laico Muharrem Ince non ha tradito nelle urne, superando il 30%: un risultato che il suo Chp non toccava dagli anni Settanta. Ma non è bastato. [ANSA]
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Erdogan e la vittoria a ogni costo. Il presidente turco ha preparato molti tranelli per assicurarsi il voto.

24/06/2018 – Elezioni in Turchia. i poteri assoluti di Erdogan alla prova del votoIstanbul In Turchia è il giorno del giudizio.

Oggi per la prima volta più di 56,3 milioni di cittadini (oltre ai tre milioni residenti all’estero) sono chiamati a eleggere un capo dello Stato con i nuovi poteri esecutivi attribuiti dal contestato referendum costituzionale dello scorso anno, vinto di stretta misura dai sì. Il voto, anticipato di un anno e mezzo rispetto alla scadenza della legislatura, è stato voluto a sorpresa da Recep Tayyip Erdogan che è al potere ininterrottamente dal 2003. Il vincitore della contesa potrà nominare vicepresidenti e ministri e non avrà bisogno di un voto di fiducia. Per l’occasione l’opposizione ha unito le forze ed è riuscita a candidare personaggi carismatici: il socialdemocratico Muharrem Ince del Chp, l’ex ministra degli Interni nazionalista Meral Aksener del Partito Buono e Selahattin Demirtas, il co-fondatore del partito filo curdo Hdp che è stato costretto a fare campagna elettorale dal carcere, oltre a due candidati minori.

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L’ultimo giorno di campagna elettorale è stato frenetico. Erdogan ha tenuto cinque comizi in diversi quartieri di Istanbul elencando tutti i progressi compiuti dal Paese in questi anni: «Una presidenza richiede esperienza, non è come insegnare la fisica», ha detto riferendosi al rivale del Chp. E i suoi sostenitori gli danno ragione. «Non c’è altri che lui», applaude Ahmed, 36 anni operaio, insieme con la moglie e la figlia. «Voi occidentali in verità ce lo invidiate — dice Yasmin, 49 anni, interprete di lingua francese — infatti ora scegliete anche voi gli uomini che decidono». E mentre il candidato secolarista radunava milioni di persone sulla sponda asiatica della megalopoli, il filo curdo Selahattin Demirtas lanciava dalla prigione, tramite il suo avvocato, il primo comizio online su Twitter: «Saluto con il cuore tutti quelli che hanno riempito questa arena. È la prima volta che si fa da una cella. Parlando di storia della democrazia. Oggi ne abbiamo scritto una pagina».

Ma la vera sfida per i curdi è in Parlamento. Per ottenere uno dei 600 seggi in palio — in precedenza erano 550 — bisogna passare la soglia del 10%. Se l’Hdp riuscisse nell’impresa il governo potrebbe perdere la maggioranza nella Grande Assemblea. La posta in gioco è così alta che molti secolaristi hanno deciso per il voto disgiunto: Ince alle presidenziali e Hdp alle politiche. «Ho sempre votato Chp — dice un tassista — ma questa volta mi turo il naso e scelgo i curdi».


La grande paura è che ci siano brogli. L’ha detto apertamente il leader del Chp, Kemal Kiliçdaroglu, subito rintuzzato dal primo ministro Binali Yildirim: «Tutte le misure di sicurezza sono state prese». L’Osce ha inviato 400 osservatori e tutti i partiti avranno rappresentanti nei seggi. I curdi lamentano anche che nella loro regione, nel Sudest del Paese, decine di migliaia di persone saranno costrette a votare fuori sede perché i loro seggi sono stati spostati a chilometri di distanza per «motivi di sicurezza». «Così sperano che i vecchi e i malati non si rechino alle urne ma noi non demordiamo», ha commentato una casalinga di un villaggio colpito dal «trasloco» delle urne. [Corriere.it]
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Turchia choc, il via libera degli imam: “Sì alle spose bambine di 9 anni”

04/01/2018 – Gli imam della Turchia sono concordi: le bimbe possono sposarsi anche a nove anni. Basta abbiano raggiunto la pubertà, ovvero siano in grado di procreare. Non importa se la Turchia è candidata (ormai sempre più lontana) ad entrare nell’Unione Europea che il matrimonio con le bambine lo vieta. E lo condanna. Le autorità religiose di Ankara hanno dichiarato lecita la pratica delle spose bambine, ancora molto diffusa nel Paese guidato da Erdogan.

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Come scrive La Stampa, infatti, nel sito della Diyanet, l’Autorità (pubblica) per gli Affari religiosi, si trovano scritte le regole islamiche su pubertà e nozze. Il matrimonio tra un adulto e un adolescente (da 9 a 12) anni non solo è ammesso, ma è considerato lecito secondo la legge dell’islam. La Diyanet a ridotto l’età minima, facendola coincidere con la fine dell’infanzia. Ovviamente, non potrà essere un’unione decisa in autonomia dalla bambina. Saranno i genitori a fare da garanti, almeno fino a 15 anni quando la ragazza potrà scegliere da sola se e quando contrarre un matrimonio.

Da qualche tempo appare evidente la deriva della Turchia di Erdogan. Alla guida della Diyanet, controllata dal governo, il “sultano” turco ha messo Ali Erbas, considerato più ferreo nel rispetto delle tradizioni islamiche rispetto ai suoi predecessori. Non è un caso, dunque, se le stime ufficiali parlano di un 15% di spose con meno di 18 anni (le ong parlano del 33%) nonostante la legge turca vieti il matrimonio sotto i 17 anni.



In numeri assoluti, secondo stime del 2015, significano qualcosa come 181mila spose sotto i 16 anni in tre anni. Il fenomeno sarebbe in rapido aumento. La decisione del Diyanet è solo l’ultimo tassello del puzzle: nei mesi scorsi una legge ha equiparato il matrimonio religioso a quello civile, rendendolo dunque ufficiale e non più simbolico. Inoltre, spesso le spose bambine sono vittime di una sorta di tratta, vendute dalle loro famiglie: i rifugiati siriani e iracheni spesso usano la leva delle nozze per legarsi ad una famiglia turca e garantirsi un po’ di pace nel Paese di Erdogan. Dove sta tornando sempre più forte la legge di Maometto. FONTE


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Sparito nel nulla in Turchia, è un ex consigliere leghista di Castelfranco

10/11/2017 – Una fotografia ed i profili Facebook. Sono due elementi su cui si sono concentrati gli investigatori che stanno indagando sulla misteriosa scomparsa dell’idraulico castellano, Fabrizio Pozzobon, 51 anni, ex consigliere comunale della Lega Nord, sparito nel nulla dopo essersi imbarcato, nel dicembre 2016, all’aeroporto di Venezia, su un aereo diretto in Turchia, ai confini con la Siria.
La foto, inviata da Pozzobon ad un amico, pochi giorni dopo la sua partenza per la Turchia, lo ritrae in posa, con un’arma in mano, con sullo sfondo un possibile scenario di guerra. L’arma era vera o fasulla? È un interrogativo che gli investigatori si sono posti. Quello, in realtà, rappresenta l’unico e ultimo contatto prima che si troncasse ogni comunicazione tra Pozzobon e l’Italia.

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Ci sono poi alcuni profili Facebook, a suo nome e con sue foto, in cui ci sono dei “like” particolari, come quello al celebre tagliagole lo “jihadista John”, simbolo della propaganda Daesh, oltre che ad altre sigle di gruppi e personaggi legati al mondo dell’estremismo islamico. Tutto materiale che è stato visionato ed è oggetto d’indagine dei carabinieri del Ros e della Digos.

Tra le ipotesi, ammesso che il profilo Facebook lo avesse aperto proprio l’idraulico di Castelfranco a suo nome, c’è di conseguenza anche quella del “foreign fighter”. Si tratta soltanto di ipotesi investigative perché l’idraulico castellano non aveva mai manifestato a familiari ed amici radicalizzazioni particolari e, in apparenza, non aveva mai frequentato personaggi sospetti. Perché, dunque, prendere un aereo per la Turchia, facendo scalo in un aeroporto vicino al confine con la Siria?



Un’altra ipotesi presa in considerazione è quella di un allontanamento volontario per raggiungere persone conosciute in precedenti viaggi fatti in Turchia dall’idraulico castellano che dal dicembre scorso, a parte una foto inviata ad un amico, ha interrotto i contatti con la famiglia che ne ha denunciato subito la scomparsa, dopo aver scoperto che l’artigiano se n’era andato in Turchia lasciando uno scritto in cui destinava denaro e attrezzi di lavoro a due familiari.


Nel frattempo, in molti s’interrogano sulla sua scomparsa ingiustificata. Nessun problema economico ed una vita irreprensibile alle spalle. Cosa o chi può averlo portato in Turchia per poi sparire? Pozzobon ha avuto trascorsi
nei banchi del consiglio comunale tra le file della Lega Nord. In due legislature è stato eletto. Nei primi anni Novanta, quando era sindaco Franco Muschetti, e poi, nel2014, subentrando alla dimissionaria Barbara Beggi, sotto la legislatura di Luciano Dussin. FONTE
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Sequestro di spaghetti da Turchia: respinto ricorso azienda Gragnano

09/06/2017 – La notizia è questa: la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso intentato dal pastificio L.Garofalo di Gragnano, famoso per la sua ottima pasta, confermando il maxi-sequestro realizzato ai danni di un carico da un milone di kg di spaghetti provenienti dalla Turchia e diretti in Africa. Proviamo a fare un riassunto di quanto successo. Lo scorso 17 marzo la Guardia di Finanza stava controllando una nave al porto di Genova quando scoprì un ingente carico di pasta proveniente dalla Turchia. Niente di strano. A insospettire gli investigatori, però, non è stata tanto la provenienza straniera, quanto alcuni problemi sull’etichetta. In che senso? È presto detto: l’accusa ritiene che l’indicazione del “made in Turkey”, obbligatoria per legge, fosse troppo piccola e ingannevole. O almeno troppo poco visibile rispetto alla scritta che faceva riferimento al pastificio di Gragnano.



A rilanciare la notizia è stata la Coldiretti, che ha applaudito la scelta della Cassazione di tenere una linea dura in merito al made in Italy. “Bene la Corte di Cassazione che ha censurato l’utilizzo di segni distintivi impropriamente richiamanti il Made in Italy su confezioni di spaghetti di origine estera”, si legge nella nota della Coldiretti. Nota in cui è presente anche la motivazione che a portato alla sentenza: il Tribunale del Riesame ha infatti “ha ritenuto fallaci le indicazioni apposte sulla pasta, tali da ingannare il consumatore sulla provenienza della merce e da integrare l’ipotesi penale poiché la scritta ‘made in Turkey’ era poco visibile e facilmente cancellabile, mentre era in bella vista il richiamo all’Italia e a Gragnano”.

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“La decisione della Cassazione – precisa la Coldiretti – condanna penalmente l’evocazione esplicita dell’italianità dei prodotti di provenienza o di origine estera e costituisce un precedente importante che riforma il precedente orientamento che escludeva la stessa contestazione riguardo al mero passaggio in dogana di pasta di provenienza turca diretta in Africa”. –
FONTE
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Turchia, precipita elicottero: a bordo c’erano giudici e membri della Commissione elettorale

18/04/2017 – Sono tutti morti i 12 passeggeri dell’elicottero turco della polizia precipitato martedì mattina “a causa delle cattive condizioni atmosferiche“. Secondo le autorità, a bordo c’erano sette poliziotti, un sottufficiale, un giudice e altri tre membri della Commissione elettorale. La prefettura locale rende noto che il segnale dell’elicottero Skorsky è stato perso circa 10 minuti dopo la sua partenza, alle 11.40 locali di martedì mattina (le 10.40 in Italia). Sul posto è stata inviata una squadra militare di soccorritori e al momento non si hanno notizie su eventuali sopravvissuti.

La Commissione elettorale è al centro di critiche e polemiche perché durante il referendum costituzionale del 16 aprile ha considerato valide anche le schede non timbrate. Una scelta dovuta al fatto che diversi votanti avevano segnalato che erano state consegnate loro schede senza timbro, ma che per l’Osce “ha minato le garanzie contro le frodi“. In passato, le schede senza timbro venivano considerate nulle. Alev Korun, deputata austriaca membro della delegazione di osservatori dell’Osce, ha detto alla radio Orf che, a causa della scelta della Commissione, ora c’è il sospetto “che fino a 2,5 milioni di schede siano state manipolate“.

E il Chp, il principale partito di opposizione in Turchia, proprio martedì mattina ha annunciato di voler presentare nel pomeriggio un ricorso formale alla Commissione elettorale per chiedere l’annullamento del referendum costituzionale, che con la vittoria del sì ha approvato la svolta al “super-presidenzialismo” voluto da Recep Tayyip Erdogan. – FONTE

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Istanbul, attacco in una discoteca Il governatore: attentatori travestiti da Babbo Natale «almeno 35 morti»

attacco01/01/2017 – Secondo i media turchi ci sono molte persone raggiunte da colpi di arma da fuoco durante i festeggiamenti per il Capodanno. I due assalitori entrati in azione vestiti da Babbo Natale. Uno dei due sarebbe ancora all’interno del locale.

Gen. Wesley Clark, sull’11 settembre: ‘Guerre e Terrorismo architettate dal Nostro Governo’

La Turchia di nuovo sotto attacco. Ad essere colpita, la notte di Capodanno, una discoteca a Istanbul. Ci sarebbero, secondo quanto ha riferito il governatore di Istanbul, Vasip Sahin, 35 morti e un imprecisato numero di feriti. Lo stesso governatore parla di «attacco terroristico condotto da un solo attentatore». Tra le vittime anche un poliziotto che avrebbe provato a fermare gli assalitori all’ingresso del locale. Al momento dell’attentato nel locale erano in corso i festeggiamenti per il Capodanno. Sarebbero stati esplosi diversi colpi di arma da fuoco. Auto della polizia e ambulanze sono sul posto. Gli agenti hanno circondato la zona. Sul posto anche esperti di esplosivi.

Terrorismo, Fatima condannata a nove anni. E’ la prima foreign fighter italiana

Attentatori travestiti da Babbo Natale
Secondo le prime informazioni la sparatoria è avvenuta all’interno del locale , il Reina che si trova nel quartiere di Besiktas, nella parte europea della città, è affacciato direttamente sul Bosforo. Secondo la tv turca Ntv ad entrare in azione un uomo travestito da Babbo Natale che ha aperto il fuoco a colpi di kalashnikov. Alcuni testimoni hanno raccontato che durante la sparatoria l’assalitore gridava frasi in arabo. Dopo l’attacco si sarebbe asserragliato nel locale, forse con ostaggi. Le forze speciali turche si starebbero preparando a fare irruzione. Alcuni dei feriti sono stati soccorsi sul posto, altri sono stati trasportati in ospedale. Al momento, all’interno del Reina c’erano almeno 500 persone. Alcune di loro si sono salvate buttandosi in acqua, direttamente nello stretto del Bosforo, dalle finestre del locale.
Attivata l’Unità di Crisi della Farnesina
Dopo le notizie dalla Turchia è stata attivata l’unità di crisi della Farnesina che sta verificando l’eventuale presenza di italiani nel locale.

Delirio Boschi, Votare Sì al referendum per combattere il terrorismo

Il precedente: l’attentato allo stadio
Non è la prima volta che il quartiere viene colpito da attentati. Lo scorso 10 dicembre l’attacco allo stadio del Besiktas. Allora i morti furono 38 e i feriti 166. – FONTE

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