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Sequestro di oltre 21 milioni di euro tra cui conti correnti, fondi d’investimento, partecipazioni societarie, veicoli di lusso e beni immobili

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06/03/2020 – I Finanzieri del Comando Provinciale di Viterbo, in esecuzione di provvedimento del Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Roma, hanno sottoposto a sequestro preventivo beni collocati in ambito nazionale ed estero.

Il sequestro ha riguardato da un lato quote di società, con finalità impeditiva, dall’altro denaro, fondi d’investimento, partecipazioni societarie, veicoli e motoveicoli di lusso, nonché beni immobili fino ad una concorrenza di oltre € 21.000.000, al fine di confisca diretta e per equivalente.

Il provvedimento, eseguito nei confronti di n. 8 soggetti tra amministratori di fatto e prestanome di società operanti nel settore della distribuzione al dettaglio, pulizie di edifici, trasporti e facchinaggio, consegue alle ipotesi di reato di concorso in frode fiscale, indebite compensazioni e riciclaggio.

Tra i beni sottoposti a vincolo ha particolare risalto un fondo d’investimento estero di circa due milioni e mezzo di euro.

La complessa attività investigativa è conseguente ad un intervento operativo eseguito, nel mese di giugno del 2017, dalla Compagnia di Viterbo presso i locali di un supermercato di generi alimentari operante nella provincia viterbese, risultato gestito di fatto da un imprenditore romano.

Le immediate ricerche, estese dai militari nel locale/ufficio dell’amministratore di fatto della società gestore della medesima attività commerciale, permettevano di rinvenire copiosa documentazione amministrativa, contabile ed extracontabile, nonché numerosi timbri ad inchiostro riconducibili a diverse società, tutte con sede dichiarata a Roma ma in realtà, come si è scoperto nel corso delle indagini, impiegate esclusivamente per l’emissione e l’utilizzo di fatture false.

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Le successive attività investigative, condotte dai Finanzieri del Comando Provinciale di Viterbo sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Roma, hanno infatti permesso di accertare una truffa sistematica commessa nei confronti dell’Erario e degli Istituti Previdenziali, perpetrata dai titolari di uno studio commercialistico di Roma attraverso un gruppo di società che hanno presentato dichiarazioni fraudolente,indicando costi fittizi per € 18 milioni al fine di ottenere un credito IVA, quantificato in € 3 milioni e mezzo, risultato essere inesistente ed utilizzato successivamente per compensare il versamento di ritenute fiscali e di contributi previdenziali, che invece sarebbero stati tenuti ad effettuare.

L’attività di polizia giudiziaria eseguita ha permesso di accertare che tali società sono state costituite da uno dei titolari dello studio commercialistico, considerato l’amministratore di fatto, e che le quote societarie, come pure le cariche di amministratore, sono state intestate e attribuite a soggetti terzi compiacenti, dietro il pagamento di un compenso periodico.

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Altre società, per gran parte amministrate da soggetti “prestanome”, riportavano costi fittizi, consistenti nell’acquisto di beni immateriali (in realtà mai acquisiti), per oltre € 40 milioni e crediti IVA inesistenti per quasi € 10 milioni, che venivano poi impiegati sempre per compensare le ritenute fiscali ed i contributi previdenziali che avrebbero dovuto versare.

La frode aveva anche importanti conseguenze sui lavoratori delle società che si avvalevano della collaborazione illecita dello studio commerciale: è stato infatti accertato che quando una delle società di cui erano dipendenti aveva “esaurito” il credito IVA fittizio, i lavoratori venivano licenziati, per poi essere assunti da nuove società, appositamente costituite, che avevano appena creato il credito d’imposta secondo il medesimo sistema di frode sopra descritto. Il legame lavorativo, quindi, non seguiva il merito, le capacità o l’impegno, ma le alterne esigenze delle dinamiche della frode fiscale.

Tutte le partecipazioni delle società coinvolte, quantificate in circa 60, sono state sottoposte a sequestro e affidate alla custodia di un amministratore giudiziario.

In conclusione, vista nel suo complesso, l’attività di polizia economico-finanziaria svolta dalle Fiamme Gialle viterbesi, sotto l’egida della Autorità Giudiziaria capitolina, ha permesso di constatare imposte evase (IRPEF, IRES, IVA e IRAP) per un importo superiore ad € 11.000.000 mentre le indebite compensazioni delle ritenute fiscali e dei contributi previdenziali ammontano a circa € 13.000.000.

L’odierno sequestro conferma la straordinaria importanza rivestita, nel nostro ordinamento, dalla possibilità di colpire i patrimoni degli amministratori di enti e società in relazione a fatti tributari penalmente rilevanti. L’ablazione dei patrimoni illecitamente costituiti nel tempo attraverso attività fraudolente sembra infatti il più efficace ed insostituibile strumento per far sì, ad un tempo, che venga garantita la soddisfazione del credito erariale che lo Stato vanta nei confronti degli indagati, che questi ultimi non abbiano la possibilità di trarre ulteriori indebiti vantaggi economici dalle frodi commesse, che risulti evidente ai cittadini onesti come i comportamenti criminali, ed i relativi indebiti guadagni, non sfuggano all’attività di controllo degli Enti preposti ed anzi, una volta scoperti, hanno anche un gravosissimo costo economico e sociale per gli autori. – [FONTE]
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Costretti a lavorare per 5 euro l’ora. Caporalato, sfruttamento e truffa all’Inps: sequestri della Finanza

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06/07/2019 – Ieri all’alba oltre 70 finanzieri del comando provinciale di Viterbo, in collaborazione con l’Ispettorato del lavoro, hanno eseguito 11 sequestri preventivi (valore complessivo di 612.000 euro) ritenuti profitto dei reati di sfruttamento del lavoro, caporalato e di truffa aggravata ai danni dell’Inps. Una cooperativa e tre società sono state sequestrate e affidate a un amministratore giudiziario; effettuate 47 perquisizioni ai domicili degli indagati e delle aziende a essi riconducibili.

L’operazione si è svolta tra Tarquinia, Montalto di Castro, Frascati (Roma), Civitavecchia, Fiumicino, Roma, Novara, Campobasso e Anagni (Frosinone). Le indagini, coordinate e dirette dalla Procura presso il Tribunale di Civitavecchia, ed eseguite dai finanzieri della compagnia di Tarquinia, hanno visto fasi di osservazione, effettuazione di perquisizioni e sequestri, audizioni di decine di operai, esame di migliaia di documenti contabili ed extracontabili e di rapporti bancari e intercettazioni telefoniche.

«L’indagine ha portato alla luce un sistema perverso e spregiudicato di sfruttamento di operai», dicono gli investigatori. I lavoratori coinvolti, oltre 300 in tutto, sono stati costretti ad espletare attività lavorativa «a fronte di una bassissima retribuzione e subire la lesione di diritti primari, quali quelli alla fruizione di ferie, al trattamento di fine rapporto e alla quattordicesima». Le vittime sono per la maggior parte, lavoratori (camerieri, baristi, banconisti, addetti al carico e scarico merci, operatori di impianti di recupero, panificatori, commessi, ecc.) a cui non vengono richieste particolari competenze tecniche e pertanto facilmente esposti all’abuso e all’approfittamento di chi li ha reclutati ed utilizzati.

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In base ai contratti collettivi di lavoro applicabili ai vari settori economici coinvolti, gli operai avrebbero dovuto percepire una retribuzione oraria non inferiore in alcuni casi a euro 12,48; mentre dalle indagini è emerso che gli stessi dovevano accontentarsi di appena euro 5 l’ora. Condizioni che non potevano rifiutare visto lo stato di bisogno e l’assoluta precarietà della propria situazione economica.

In particolare le indagini hanno consentito di appurare che i gestori della cooperativa, tra cui un ragioniere commercialista di Tarquinia, dagli anni 2014/2015 in poi hanno contattato diverse ditte e società di Tarquinia, Montalto, del litorale laziale della provincia di Roma nonché della stessa capitale, proponendo ai titolari delle stesse notevoli vantaggi economici, mediante abbattimento dei costi di gestione del personale, tasse, contributi ed indennità varie attraverso il licenziamento degli operai, fino a quel momento regolarmente assunte da quelle imprese, e il loro passaggio alle dipendenza della cooperativa.

In sostanza, la forza lavoro già in servizio, (per la maggior parte costituita da cittadini italiani), sarebbe dovuta transitare solo cartolarmente in carico alla Cooperativa (appaltatrice) rimanendo invece a svolgere le stesse mansioni originarie presso il medesimo luogo di lavoro e presso l’effettivo datore di lavoro, mediante la stipula di un contratto di appalto o di distacco fittizio. Alcuni lavoratori sono risultati completamente ignari del “cambio” del datore di lavoro e ne hanno preso atto solo successivamente a seguito della consegna delle buste paga contenenti le nuove indicazioni e le conseguenti condizioni peggiorative. Si trattava di una falsa cooperativa di lavoratori.

Tale situazione ha comportato la denuncia all’A.G. di tutti i datori di lavoro che hanno indotto i propri dipendenti ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi inferiori a quelli previsti per legge; a rinunciare al Tfr maturato fino alla risoluzione del rapporto di lavoro per il successivo passaggio alla cooperativa; a diventare soci lavoratori della cooperativa di fatto inesistente; ad effettuare orari di lavoro estenuanti a fronte di paghe fisse; a rinunciare alle ferie, alla 14^ e alle altre indennità spettanti per legge, finanche al bonus di 80 euro. Per coloro che protestavano, l’unica alternativa era starsene a casa.

Le aziende pseudo-committenti che hanno aderito, hanno beneficiato di un considerevole risparmio dell’Irap in quanto hanno potuto dichiarare imponibili in misura inferiore a quella reale, a causa della mancanza della voce relativa al costo del lavoro (indeducibile ai fini IRAP) nonché detrarre indebitamente l’Iva grazie alle fatture “per servizi” emesse dalla cooperativa per le prestazioni di lavoro. – [IlMessaggero.it]
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Violenta due bambine a Viterbo, arrestato pakistano con permesso umanitario perché gay

02/06/2019 – Un immigrato pakistano è stato arrestato ieri a Viterbo con l’accusa di aver commesso abusi sessuali su due bambine di 11 e 13 anni. Era in Italia dal 2017: come richiedente asilo aveva dichiarato al giudice di essere omosessuale. Il caso è finito immediatamente all’attenzione del ministero dell’Interno, con l’ennesimo scontro con un ufficio giudiziario. Il 29enne, fermato dalla Squadra mobile del capoluogo dopo esser stato riconosciuto dalle giovani vittime, sarebbe stato regolarizzato dal tribunale di Firenze. Quel tribunale con cui il leader della Lega ha un conto aperto.

I fatti di ieri. Lo straniero incarcerato a Viterbo è accusato di violenza sessuale aggravata commessa su due minori ai primi del mese scorso.

LA VICENDA. Sarebbe accaduto nelle vie del centro storico, quello già scosso poche settimane fa dal caso dello stupro nel pub di CasaPound; e poi dall’omicidio del negoziante in un tentativo di rapina. Secondo la polizia il giovane, senza precedenti e regolare per il permesso, dipendente di una azienda agricola, a distanza di poche ore avrebbe avvicinato le bambine negli androni delle proprie abitazioni. Dopo aver chiesto se lì ci fossero appartamenti da affittare, le avrebbe palpeggiate ripetutamente nelle parti intime.

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Le due vittime sono un’italiana e una bambina nata in un Paese comunitario. La prima aggressione è avvenuta mentre la ragazzina tornava da scuola; l’altra bambina, più tardi, era invece attesa dalla mamma in auto davanti al portone. Ma a Viterbo sono in corso indagini perché altri episodi analoghi potrebbero esser stati commessi in quei giorni. A far scattare le indagini sono state le denunce dei genitori, mentre le due minori non hanno esitato nell’identificare in una foto il pakistano.

Dopo l’arresto di ieri mattina, nel pomeriggio il ministero dell’Interno ha specificato che lo stesso immigrato «ha ottenuto nell’aprile 2017 la protezione dichiarando di essere omosessuale» – quindi a rischio dell’incolumità nel suo Paese di origine – e che è «regolare sul territorio nazionale per decisione del tribunale di Firenze». Attenzione: il ministero precisa poi che proprio qui è stata istituita una «sezione specializzata sull’immigrazione presieduta da Luciana Breggia, relatrice della sentenza che ha escluso il Viminale dal giudizio sull’iscrizione anagrafica di un immigrato».

Di cosa si tratta? La questione di dare un indirizzo legale agli stranieri richiedenti asilo è un altro dei fronti aperti nei mesi scorsi da Salvini sul tema dell’immigrazione. Il quale ha contestato la decisione dello stesso tribunale di disporre un’iscrizione all’anagrafe del Comune di Scandicci di un richiedente asilo. Ma non solo: il ministero ha messo in evidenza come «la sentenza Breggia strappa al ministero la possibilità di opporsi, lasciandola all’autonomia dei sindaci e contrastando un orientamento giurisprudenziale consolidato». Del resto lo stesso ministro, appena quattro giorni fa, aveva affermato: «La democrazia è bellissima: invito questo giudice a candidarsi alle prossime elezioni per cambiare le leggi che non condivide. Ma mi aspetto che un magistrato applichi le norme, anziché interpretarle».
«PUÒ ESSERE ESPULSO». Sul caso di Viterbo il Viminale ha poi puntualizzato: «La commissione territoriale aveva respinto la richiesta di asilo del pakistano, ma l’immigrato aveva fatto ricorso». Però ora, «grazie al decreto Sicurezza, verrà richiesta alla Commissione nazionale la revoca del permesso che comunque scade il 24 luglio 2019. Fatte salve le esigenze cautelari, il pakistano potrà essere espulso». – [IlGazzettino.it]
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Maxi-sequestro di cocaina nella Tuscia: 40 chili nascosti in un camion

11/02/2019 – Trasportava decine di chilogrammi di cocaina: bloccato corriere della droga a Grotte di Castro (Viterbo). Nel piccolo centro della Tuscia, venerdì pomeriggio, agenti della Guardia di finanza potrebbero aver messo a segno un duro colpo allo spaccio internazionale di droga. Nel mirino delle Fiamme gialle è finito un camion proveniente dall’Olanda con un doppio carico eccezionale: oltre 40 chilogrammi di cocaina.

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L’autista del mezzo – che secondo quanto descritto dalle bolle di accompagnamento, trasportava patate da seme – è stato subito arrestato e trasferito nel carcere di Mammagialla (Viterbo). Alla guida del mezzo uno straniero di nazionalità bulgara, ma molto probabilmente Grotte di Castro non era la destinazione finale del carico. Almeno per la cocaina. I finanzieri avrebbero agganciato il mezzo pesante nel primo pomeriggio di venerdì scorso davanti al Ccorav, il Consorzio cooperativo ortofrutticolo dell’Alto Viterbese che associa i produttori di patate.
Dopo una prima ispezione, le fiamme gialle avrebbero trovato, nascosti in un sottofondo, gli involucri con la polvere bianca. Immediato il sequestro della droga, che nei prossimi giorni sottoposta a esami per individuare la quantità di principio attivo. – [IlMessaggero.it]
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Ndrangheta, maxi blitz a Viterbo: aggressioni e gravi atti intimidatori, 13 arresti

25/01/2019 – I Carabinieri del Comando Provinciale di Viterbo, coadiuvati da militari del Raggruppamento Aeromobili, dell’8° Reggimento “Lazio” e dalle unità cinofile, hanno eseguito un’ordinanza di custodia Cautelare – emessa dall’A.G. di Roma – che dispone l’arresto di 13 persone, tutte indagate, a vario titolo, per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso. Numerose le perquisizioni tuttora in corso. L’operazione odierna è l’esito di un’articolata attività investigativa che ha delineato l’esistenza di un’organizzazione dai connotati mafiosi, dedita principalmente ad imporre il proprio controllo su attività economiche, quali negozi per la vendita di preziosi usati (c.d. “compro oro”), locali notturni, ditte di trasloco ed altre attività delittuose come i recupero crediti, nella Provincia di Viterbo.

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Il sodalizio – con solidi collegamenti con ambienti ‘ndranghetisti – si era imposto a Viterbo e Provincia, attraverso una serie di aggressioni e gravi atti intimidatori, esercitando un’azione di controllo del territorio.

E’ stata scoperta un’organizzazione dai connotati mafiosi, dedita principalmente ad imporre il proprio controllo su attività economiche, come ‘compro oro’, locali notturni, ditte di trasloco ed altre attività come i recupero crediti, nella provincia di Viterbo. Le indagini hanno consentito agli investigatori di “ricostruire i tasselli di un mosaico che ha portato alla luce un pericoloso panorama criminale“.

Il sodalizio finito nel mirino del maxi blitz aveva “solidi collegamenti con ambienti ‘ndranghetisti“: l’organizzazione si era imposta a Viterbo e provincia “attraverso una serie di aggressioni e gravi atti intimidatori, esercitando un’azione di controllo del territorio. Particolarmente gravi gli episodi che hanno visto incendiare l’auto a carabinieri“. – [Strettoweb.com]
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