06/07/2019 – Ieri all’alba oltre 70 finanzieri del comando provinciale di Viterbo, in collaborazione con l’Ispettorato del lavoro, hanno eseguito 11 sequestri preventivi (valore complessivo di 612.000 euro) ritenuti profitto dei reati di sfruttamento del lavoro, caporalato e di truffa aggravata ai danni dell’Inps. Una cooperativa e tre società sono state sequestrate e affidate a un amministratore giudiziario; effettuate 47 perquisizioni ai domicili degli indagati e delle aziende a essi riconducibili.
L’operazione si è svolta tra Tarquinia, Montalto di Castro, Frascati (Roma), Civitavecchia, Fiumicino, Roma, Novara, Campobasso e Anagni (Frosinone). Le indagini, coordinate e dirette dalla Procura presso il Tribunale di Civitavecchia, ed eseguite dai finanzieri della compagnia di Tarquinia, hanno visto fasi di osservazione, effettuazione di perquisizioni e sequestri, audizioni di decine di operai, esame di migliaia di documenti contabili ed extracontabili e di rapporti bancari e intercettazioni telefoniche.
«L’indagine ha portato alla luce un sistema perverso e spregiudicato di sfruttamento di operai», dicono gli investigatori. I lavoratori coinvolti, oltre 300 in tutto, sono stati costretti ad espletare attività lavorativa «a fronte di una bassissima retribuzione e subire la lesione di diritti primari, quali quelli alla fruizione di ferie, al trattamento di fine rapporto e alla quattordicesima». Le vittime sono per la maggior parte, lavoratori (camerieri, baristi, banconisti, addetti al carico e scarico merci, operatori di impianti di recupero, panificatori, commessi, ecc.) a cui non vengono richieste particolari competenze tecniche e pertanto facilmente esposti all’abuso e all’approfittamento di chi li ha reclutati ed utilizzati.
In base ai contratti collettivi di lavoro applicabili ai vari settori economici coinvolti, gli operai avrebbero dovuto percepire una retribuzione oraria non inferiore in alcuni casi a euro 12,48; mentre dalle indagini è emerso che gli stessi dovevano accontentarsi di appena euro 5 l’ora. Condizioni che non potevano rifiutare visto lo stato di bisogno e l’assoluta precarietà della propria situazione economica.
In particolare le indagini hanno consentito di appurare che i gestori della cooperativa, tra cui un ragioniere commercialista di Tarquinia, dagli anni 2014/2015 in poi hanno contattato diverse ditte e società di Tarquinia, Montalto, del litorale laziale della provincia di Roma nonché della stessa capitale, proponendo ai titolari delle stesse notevoli vantaggi economici, mediante abbattimento dei costi di gestione del personale, tasse, contributi ed indennità varie attraverso il licenziamento degli operai, fino a quel momento regolarmente assunte da quelle imprese, e il loro passaggio alle dipendenza della cooperativa.
In sostanza, la forza lavoro già in servizio, (per la maggior parte costituita da cittadini italiani), sarebbe dovuta transitare solo cartolarmente in carico alla Cooperativa (appaltatrice) rimanendo invece a svolgere le stesse mansioni originarie presso il medesimo luogo di lavoro e presso l’effettivo datore di lavoro, mediante la stipula di un contratto di appalto o di distacco fittizio. Alcuni lavoratori sono risultati completamente ignari del “cambio” del datore di lavoro e ne hanno preso atto solo successivamente a seguito della consegna delle buste paga contenenti le nuove indicazioni e le conseguenti condizioni peggiorative. Si trattava di una falsa cooperativa di lavoratori.
Tale situazione ha comportato la denuncia all’A.G. di tutti i datori di lavoro che hanno indotto i propri dipendenti ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi inferiori a quelli previsti per legge; a rinunciare al Tfr maturato fino alla risoluzione del rapporto di lavoro per il successivo passaggio alla cooperativa; a diventare soci lavoratori della cooperativa di fatto inesistente; ad effettuare orari di lavoro estenuanti a fronte di paghe fisse; a rinunciare alle ferie, alla 14^ e alle altre indennità spettanti per legge, finanche al bonus di 80 euro. Per coloro che protestavano, l’unica alternativa era starsene a casa.
Le aziende pseudo-committenti che hanno aderito, hanno beneficiato di un considerevole risparmio dell’Irap in quanto hanno potuto dichiarare imponibili in misura inferiore a quella reale, a causa della mancanza della voce relativa al costo del lavoro (indeducibile ai fini IRAP) nonché detrarre indebitamente l’Iva grazie alle fatture “per servizi” emesse dalla cooperativa per le prestazioni di lavoro. – [IlMessaggero.it]
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