Il trionfo di Davigo alle elezioni per il Csm: la sinistra perde anche tra i magistrati

12/07/2018 – Piercamillo Davigo entra al Consiglio superiore della magistratura da vincitore assoluto, il più votato tra i quattro candidati in corsa per i due posti riservati ai giudici di Cassazione; primo per distacco di oltre 750 preferenze sull’altro eletto che pure rappresenta una sorpresa: Loredana Micciché, della corrente di Magistratura indipendente, la più conservatrice del sindacato delle toghe. Questo esito, in attesa dello scrutinio per i dieci posti assegnati ai giudici di merito (che ieri sera s’è interrotto a metà) e i 4 dei pubblici ministeri (per i quali sono in lizza solo 4 candidati, uno per gruppo, sicuri dell’elezione), indica già un cambiamento di rotta: la magistratura italiana si sposta a destra, sulle orme di ciò che è accaduto nel Paese alle ultime elezioni politiche.

Davigo — l’ex pm di Mani pulite leader del gruppo Autonomia e indipendenza, nato da una scissione da Mi consumatasi tre anni e mezzo fa — ha raccolto 2.522 preferenze su 8.010 votanti; un terzo dell’elettorato ha scelto lui. Miccichè, di Mi, è passata con 1.761 voti, mentre Carmelo Celentano, della corrente centrista di Unità per la costituzione, è rimasto fuori con 1.714 preferenze. Ultima è arrivata Rita Sanlorenzo, rappresentante della sinistra giudiziaria raccolta nel cartello di Area ma espressione dell’ala considerata più radicale di Magistratura democratica, bloccata a 1.528 voti.
Un rovesciamento totale rispetto al Csm uscente, dove i due posti della Cassazione erano andati proprio a Unicost e ad Area, quando Mi radunava ancora tutta la destra giudiziaria.

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La presenza di un candidato noto, popolare e molto «mediatico» come Davigo potrebbe aver dato un sapore particolare alla sfida in Cassazione, insieme alle lotte intestine tra le altre correnti dovute alle diatribe sulla scelta dei candidati. E probabilmente ha pagato la strategia scelta dal candidato e dal suo gruppo: nel 2016 s’è fatto eleggere presidente dalla Giunta unitaria dell’Associazione nazionale magistrati, con conseguente, massiccia presenza in tv e sui giornali; trascorso un anno e passato il testimone al successore di Area, ha fatto uscire la corrente dalla Giunta mettendosi all’opposizione e criticando la gestione dell’Anm e del Csm.

Aspettando di capire se ciò è valso non solo per lui ma anche per il suo gruppo, il voto segna comunque la drastica sconfitta del raggruppamento di sinistra delle toghe, che da sette rappresentanti nell’organo di autogoverno dei giudici rischia di averne solo quattro. E la vittoria di Mi che da tre seggi ne otterrà probabilmente cinque. Ha perso chi ha governato la magistratura negli ultimi quattro anni, procedendo al più massiccio ricambio alla guida degli uffici direttivi e semidirettivi (dovuti al drastico abbassamento dell’età pensionabile da 75 a 70 anni, voluto dal governo Renzi) con l’idea di cambiare qualcosa o di conservare i vecchi equilibri, a seconda dei punti di vista; ha vinto chi auspica e promette — almeno a parole — la rottura delle logiche spartitorie e rivendica meritocrazia, autotutela e istanze che all’esterno possono apparire corporative ma all’interno mietono consensi. Per esempio sugli stipendi e i carichi di lavoro.


A voler leggere il risultato (ancorché parziale) con le logiche e le categorie della politica, sovrapponendo per quel che si può le correnti ai partiti, anche tra le toghe si affermano tendenze conservatrici e/o populiste, che fanno il paio con l’affermazione in Parlamento di Cinque Stelle e Lega. Non a caso Davigo passa per il magistrato più amato dai grillini, anche per il suo modo di comunicare molto diretto e mirato a cogliere il consenso immediato, che evidentemente ha fatto presa anche sui giudici. Probabilmente tra i circa duemila appena entrati in ruolo che hanno votato per la prima volta, voto giovanile e forse de-ideologizzato che si sommerebbe a quello mancato dei neopensionati (gli ultrasettantenni) che stavolta non hanno potuto sostenere le altre correnti.

A disegnare il nuovo Csm arriveranno anche gli otto componenti «laici» che il Parlamento dovrebbe eleggere la prossima settimana; secondo la spartizione disegnata sulla base dei consensi ricevuti dai partiti, tre dovrebbero essere indicati dai Cinque Stelle, due dalla Lega e uno ciascuno da Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Tra questi bisognerà scegliere il vicepresidente, che dovrà lavorare in stretto contatto con il capo dello Stato (presidente di diritto), per il quale sarà comunque decisivo il voto dei togati. – FONTE
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