20Lug, 2013
IL CABLO ARRIVATO DA ASTANA CHE INCHIODA ALFANO: “DEPORTATE LA SHALABAYEVA” (Carlo Bonini)
Ci hanno raccontato per cinquanta giorni – dal ministro Angelino Alfano, al suo capo di gabinetto, all’intero Dipartimento di Pubblica Sicurezza – che la notte del 28 maggio la nostra Polizia, teleguidata dalla diplomazia kazaka accampata al Viminale, cercava solo Mukhtar Ablyazov, “un pericoloso latitante”. E che quando la caccia si rivelò infruttuosa la storia fini lì. Che di Alma Shalabayeva e della sua bimba Alua di 6 anni nessuno sapeva, né poté sapere, se non a cose fatte. Che la loro espulsione fu un “danno collaterale”. Per «un blocco cognitivo». Per un cortocircuito dei «flussi informativi ascendenti e discendenti».
Ebbene, è un falso. Ora documentabile.
Negli atti allegati alla relazione del Capo della Polizia Alessandro Pansa e depositati all’attenzione dei senatori che ieri hanno rinnovato la fiducia al ministro, una nota Interpol proveniente da Astana la mattina del 28 maggio chiede alla nostra Polizia, alla vigilia del blitz, di identificare, fermare e “deportare” la donna che i kazaki ritengono viva con Ablyazov e che con lui dovrebbe trovarsi all’interno della villa di via di Casal Palocco 3. Alma Shalabayeva, nata il 15 agosto 1966. Anche questo, un “dettaglio” cruciale espunto dalla sintesi della relazione finale del Capo della Polizia letta in Senato venerdì scorso da Alfano. Per ragioni evidenti. Dissimulare una verità che giorno dopo giorno si conferma tuttavia incoercibile. Che, sin dall’incipit, l’operazione orchestrata tra Astana e Roma aveva un unicoobiettivo. L’intera famiglia Ablyazov. E che a quell’operazione tout-court il ministro dell’Interno Alfano diede impulso mettendo a disposizione dei kazaki la nostra Polizia.
Vediamo.
IL PRIMO CABLO DA ASTANA La mattina del 28 maggio, alle 10,15, sui terminali di “Arianna”, il sistema informatico della nostra Direzione Centrale della Polizia Criminale, lampeggia l’alert che indica l’arrivo di una nota Interpol. Il cablo è in lingua inglese, porta il numero 22/3-1614 e proviene dall’ufficio collegato di Astana, Kazakistan. È la nota — ne abbiamo dato conto nei giorni scorsi — che di fatto resuscita un polveroso inserimento di un ordine di cattura internazionale nei confronti del cittadino kazako Mukhtar Ablyazov inserito nel sistema Interpol nel marzo del 2009, ma da allora rimasto in sonno. Sappiamo già che, nel sapiente canovaccio predisposto dai kazaki, la nota è cruciale. Deve cioè attivare l’ufficio Interpol italiano obbligandolo ad aggiornare la banca dati delle nostre polizie. Un passaggio cruciale necessario a eccitare, di lì a poche ore, il capo della squadra Mobile di Ro-ma e a convincerlo che le richieste che si sentirà fare dall’ambasciatore Yelemessov (la visita in Questura è delle 15.30) hanno una patente di legittimità. Alle 12.26, il cablo kazako comincia dunque ad essere lavorato e tradotto dai nostri uffici Interpol i quali, sulla base delle informazioni che hanno ricevuto, attestano che “Ablyazov Mukhtar” è un ricercato, utilizza false identità, e — si legge testualmente — «vive a Roma, in una villa in affitto in via di Casal Palocco 3 di proprietà di una cittadina tedesca, utilizza una macchina modello Volvo XC90 targata EP241FJ e unLancia Voyager con targa olandese».Ancora: «È spesso accompagnato da un maschio asiatico che guida una Nissan Qashqai targata EM089MZ e potrebbe essere scortato da bodyguard armate in grado di reagire al suo arresto». Nello stesso cablo, i kazaki chiedono alla nostra Polizia di verificare queste informazioni e procedere all’arresto del lati-tante, «verificando l’identità di altri eventuali uomini presenti nella villa». Quindi, una chiosa. Già in qualche misura cruciale. «Non è escluso — si legge — che, nella stessa villa in affitto, viva con Ablyazov sua moglie, una cittadina kazaka di nome Alma Shalabayeva Boranbaevna, nata il 15 agosto 1966».
LA PRIMA MENZOGNA
— come documentano gli atti dell’inchiesta interna del Capo della Polizia — viene trasmesso alla Questura di Roma alle 16.57. E dunque, è possibile sostenere, senza ombra di dubbio, che, il pomeriggio del 28, la nostra Polizia, il capo di gabinetto del ministro dell’Interno, Alfano stesso,appunto.abbiano le informazioni necessarie per sapere che, nell’operazione di “cattura del pericoloso latitante”, balli anche il nome della moglie che con lui vive. La Shalabayeva, Chi ha sostenuto il contrario, non dice il vero. E chi “non ricorda” di aver «mai sentito parlare di una donna» — e sono in molti, diciamo pure tutti i protagonisti dell’af-faire all’interno del Viminale — o ricorda molto male o tace la verità.
Ma c’è di più.
“DEPORTATELA” Sempre quel 28 maggio, qualche ora dopo il primo cablo e mentre a Roma l’ambasciatore kazako fa flanella nell’ufficio di Procaccini in attesa di verificare con i propri occhi che all’operazione venga dato semaforo verde dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza (il blitz scatterà alla mezzanotte), Astana decide di inviare una nuova nota Interpol a Roma. È il cablo 22/3-1625. Leggiamo: «In aggiunta al nostro precedente messaggio concernente l’arresto del ricercato Ablyazov Mukhtar vi informiamo che con lui potrebbe vivere sua moglie Alma Shalabayeva. Vi confermiamo che è una cittadina kazaka, che ha un passaporto kazako NO816235 rilasciato il 3 agosto 2012 e un secondo passaporto N5347890 rilasciato il 23 aprile 2007. La Shalabayeva potrebbe inoltre utilizzare un falso passaporto di un altro Paese, presumibilmente della Repubblica Centro Africana, con numero 06FB04081, rilasciato a nome Ayan Alma l’1 Aprile 2010. A tal riguardo, vi chiediamo dunque di identificare tutte le donne che vivono nella villa di Casal Palocco (…) e, qualora fosse provato che Alma Shalabyeva è in Italia illegalmente (con uso di documenti falsi), chiediamo alle rispettabili autorità italiane di “deportarla” in Kazakistan. Vi preghiamo di fornirci le informazioni sui soggetti in questione e di informarci anche in caso di esito negativo delle ricerche».
LA PROVA REGINA
Eccola, dunque, la prova regina del macroscopico insabbiamento della verità che in questi 50 giorni ha negato prima la logica, quindi l’evidenza dei fatti, aggiustando versioni di comodo in corsa. Eccola l’«inoppugnabilità» dei documenti, per parafrasare il premier Enrico Letta nella sua accorata difesa di Alfano. Che però, come si vede, non assolve il ministro, ma lo affossa con l’intero apparato. Non ci fu “un prima” e un “dopo” nell’Operazione Ablyazov. Alla vigilia del blitz, i kazaki avvertirono l’autorità politica e gli apparati della sicurezza italiani che nella caccia grossa a Casal Palocco le prede erano due. Mukhtar Ablyazov e Alma Shalabayeva, di cui veniva segnalato in anticipo persino il falso passaporto centro africano che avrebbe poi effettivamente mostrato al momento del fermo. Con una differenza. Per Mukhtar, esisteva un titolo almeno formale che ne giustificava la cattura. Alma aveva la sola colpa di essere la sua compagna, madre di una bimba di 6 anni. «Vi chiediamo di deportarla». 28 maggio 2013. Tutti sapevano. Nessuno ha detto la verità. Che, per giunta, ieri in Senato, era sotto gli occhi di tutti. Soltanto a volerla vedere.
da (Repubblica)
20Lug, 2013
M5S, Casaleggio: andremo al governo da soli con il 51%
19 lug – ”Andare al governo e’ l’unica cosa che conta” e ”ci andremo da soli anche grazie alla disgregazione che stanno vivendo per motivi diversi le altre forze politiche. Ci andremo con il 51%”. Lo afferma il guru di M5S, Gianroberto Casaleggio in un’intervista a Wired.
Sulla battuta d’arresto del Movimento 5 Stelle alle amministrative di maggio Casaleggio spiega che ”era tutto previsto, abbiamo voluto perdere. Avremmo potuto prendere piu’ voti aumentando il numero di liste, potevano essere il quadruplo, tante erano le richieste arrivate. Ma abbiamo preferito affrontare le elezioni solamente con le liste radicate sul territorio da almeno un paio di anni”. Sulle elezioni politiche di febbraio rivela invece che ”una settimana prima del voto, nei nostri uffici lanciammo una scommessa sui risultati del movimento e fui l’unico a dire che saremmo stati il primo partito.
Se non e’ accaduto e’ stato perche’ viviamo in un paese come l’Italia in cui i media – in particolare la tv – e i partiti coincidono. Senza la televisione, che influenza il voto come nessun altro mezzo, avremmo preso il 40%”. Casaleggio spiega che il governo dovrebbe essere digitalizzato. ”L’80% della burocrazia – dice – e’ senza senso. Il 50% della restante burocrazia utile puo’ essere cancellato dall’uso della rete. Il parlamentare e’ l’esecutore del volere della collettivita’. Per questo ogni decisione importante va sottoposta a referendum. Un discorso a parte va, invece, fatto per la magistratura: il potere giudiziario deve mantenere la sua indipendenza”.
20Lug, 2013
Parla Zagrebelsky: “F35, giustizia e Kazakistan, è l’umiliazione dello Stato”
Siccome i “maltrattamenti” alla Carta continuano, ci tocca disturbare di nuovo – a poche settimane dall’ultima volta – Gustavo Zagrebelsky.
Professore, negli ultimi tempi abbiamo assistito a numerosi episodi di natura politica e costituzionale che hanno suscitato discussioni e polemiche. Lei che ne pensa?
Prima che dagli episodi, iniziamo da un dubbio, da un interrogativo di portata generale, di cui vorremmo non si dovesse parlare. E, invece, dobbiamo.
Prima che dagli episodi, iniziamo da un dubbio, da un interrogativo di portata generale, di cui vorremmo non si dovesse parlare. E, invece, dobbiamo.
Cosa intende?
Una cosa angosciante. Si tratta solo di singoli episodi, oppure di manifestazioni di qualcosa di più profondo, che non riusciamo a vedere e definire con chiarezza, ma avvertiamo come incombente e minaccioso? Qualcosa in cui quelli che altrimenti sarebbero appunto solo episodi isolati, assumono un significato comune. Li dobbiamo trattare isolatamente o come sintomi d’un generale e pericoloso malessere?
Una cosa angosciante. Si tratta solo di singoli episodi, oppure di manifestazioni di qualcosa di più profondo, che non riusciamo a vedere e definire con chiarezza, ma avvertiamo come incombente e minaccioso? Qualcosa in cui quelli che altrimenti sarebbero appunto solo episodi isolati, assumono un significato comune. Li dobbiamo trattare isolatamente o come sintomi d’un generale e pericoloso malessere?
Dica lei.
Guardi: può darsi ch’io pecchi in pessimismo. Mi sembra che sulla vita politica, nel nostro Paese, in questo momento, gravi un “non detto” che spiegherebbe molte cose. Si fa finta di vivere nella normalità della vita democratica, ma non è così. È come se una rete invisibile avvolgesse le istituzioni politiche fossilizzandole; imponesse agli attori politici azioni e omissioni altrimenti assurdi e inspiegabili; mirasse a impedire che qualunque cosa nuova avvenga. Questa è stasi, situazione pericolosa. Se qualche episodio, anche grave o gravissimo, sfugge alla rete, l’imperativo è sopire, normalizzare. Ciò che accade sulla scena politica sembra una messinscena. Ci si agita per nulla concludere. Ma la democrazia, così, muore. Lo spettacolo cui assistiamo sembra un gioco delle parti, oltretutto di livello infimo. Il numero degli appassionati sta diminuendo velocemente. L’umore è sempre più cupo. Bastava guardare i volti e udire il tono di alcuni che hanno preso la parola nel dibattito sulla vicenda della “rendition” kazaka. Sembravano tanti “cavalieri dalla trista figura”. Non si respirava il “fresco profumo della libertà”, di cui ha scritto ieri Barbara Spinelli. Né v’era traccia di quella “felicità” che è l’humus della democrazia, di cui abbiamo ragionato Ezio Mauro e io, in contrasto con l’atmosfera stagnante dei regimi del sospetto, dell’intrigo, della libertà negata.
Guardi: può darsi ch’io pecchi in pessimismo. Mi sembra che sulla vita politica, nel nostro Paese, in questo momento, gravi un “non detto” che spiegherebbe molte cose. Si fa finta di vivere nella normalità della vita democratica, ma non è così. È come se una rete invisibile avvolgesse le istituzioni politiche fossilizzandole; imponesse agli attori politici azioni e omissioni altrimenti assurdi e inspiegabili; mirasse a impedire che qualunque cosa nuova avvenga. Questa è stasi, situazione pericolosa. Se qualche episodio, anche grave o gravissimo, sfugge alla rete, l’imperativo è sopire, normalizzare. Ciò che accade sulla scena politica sembra una messinscena. Ci si agita per nulla concludere. Ma la democrazia, così, muore. Lo spettacolo cui assistiamo sembra un gioco delle parti, oltretutto di livello infimo. Il numero degli appassionati sta diminuendo velocemente. L’umore è sempre più cupo. Bastava guardare i volti e udire il tono di alcuni che hanno preso la parola nel dibattito sulla vicenda della “rendition” kazaka. Sembravano tanti “cavalieri dalla trista figura”. Non si respirava il “fresco profumo della libertà”, di cui ha scritto ieri Barbara Spinelli. Né v’era traccia di quella “felicità” che è l’humus della democrazia, di cui abbiamo ragionato Ezio Mauro e io, in contrasto con l’atmosfera stagnante dei regimi del sospetto, dell’intrigo, della libertà negata.
Si riferisce alla maggioranza modello “larghe intese”?
Innanzitutto: è una maggioranza contro natura; contraria alle promesse elettorali e quindi democraticamente illegittima, anche se legale; che pretende di fare cose per le quali non ha ricevuto alcun mandato. Ricorderà che è stata formata pensando a poche e chiare misure da prendere insieme: governo “di scopo” (come se possa esistere un governo senza scopi!), “di servizio” (come se ci possa essere un governo per i fatti suoi!) e, poi, “di necessità”. Ora, sembra un governo marmorizzato il cui scopo necessario sia durare, irretito in un gioco più grande di lui. La riforma elettorale, bando alle ciance, non si fa, perché in fondo, oltre che essere nell’interesse di molti, nel frattempo, con l’attuale, non si può tornare a votare. Perfino l’abnorme procedimento di revisione della Costituzione è stato pensato a questo scopo, come si ammette anche da diversi “saggi” che pur si sono lasciati coinvolgere. E, in attesa che la si cambi, la si viola.
Innanzitutto: è una maggioranza contro natura; contraria alle promesse elettorali e quindi democraticamente illegittima, anche se legale; che pretende di fare cose per le quali non ha ricevuto alcun mandato. Ricorderà che è stata formata pensando a poche e chiare misure da prendere insieme: governo “di scopo” (come se possa esistere un governo senza scopi!), “di servizio” (come se ci possa essere un governo per i fatti suoi!) e, poi, “di necessità”. Ora, sembra un governo marmorizzato il cui scopo necessario sia durare, irretito in un gioco più grande di lui. La riforma elettorale, bando alle ciance, non si fa, perché in fondo, oltre che essere nell’interesse di molti, nel frattempo, con l’attuale, non si può tornare a votare. Perfino l’abnorme procedimento di revisione della Costituzione è stato pensato a questo scopo, come si ammette anche da diversi “saggi” che pur si sono lasciati coinvolgere. E, in attesa che la si cambi, la si viola.
Così arriviamo agli episodi. Il caso F-35?
Incominciamo da qui. Il Parlamento è stato esautorato quando il Consiglio supremo di difesa ha scritto che i “provvedimenti tecnici e le decisioni operative, per loro natura, rientrano tra le responsabilità costituzionali dell’esecutivo”, sottintendendo: “responsabilità esclusive”. Chissà chi sono i consulenti giuridici che hanno avallato queste affermazioni, che svuotano i compiti del Parlamento in materia di sicurezza e politica estera? Un regresso di due secoli, a quando tali questioni erano prerogativa regia. Del resto, lei sa che cosa è questo Consiglio? Qualcuno si è ricordato che la sua natura è stata definita nel 1988 da una relazione della Commissione presieduta da un grande giurista, Livio Paladin, istituita dal presidente Cossiga per fare chiarezza su un organo ambiguo (ministri, generali, presidente della Repubblica)? Fu chiarito allora che si tratta di un organo di consulenza e informazione del presidente, senza poteri di direttiva. D’altra parte, chi stabilisce se certi provvedimenti e certe decisioni sono solo tecniche e operative, e non hanno carattere politico? I sistemi d’arma, l’uso di certi mezzi o di altri non sono questioni politiche? Chi decide? Il Parlamento, in un regime parlamentare. Forse che si sia entrati in un altro regime?
Incominciamo da qui. Il Parlamento è stato esautorato quando il Consiglio supremo di difesa ha scritto che i “provvedimenti tecnici e le decisioni operative, per loro natura, rientrano tra le responsabilità costituzionali dell’esecutivo”, sottintendendo: “responsabilità esclusive”. Chissà chi sono i consulenti giuridici che hanno avallato queste affermazioni, che svuotano i compiti del Parlamento in materia di sicurezza e politica estera? Un regresso di due secoli, a quando tali questioni erano prerogativa regia. Del resto, lei sa che cosa è questo Consiglio? Qualcuno si è ricordato che la sua natura è stata definita nel 1988 da una relazione della Commissione presieduta da un grande giurista, Livio Paladin, istituita dal presidente Cossiga per fare chiarezza su un organo ambiguo (ministri, generali, presidente della Repubblica)? Fu chiarito allora che si tratta di un organo di consulenza e informazione del presidente, senza poteri di direttiva. D’altra parte, chi stabilisce se certi provvedimenti e certe decisioni sono solo tecniche e operative, e non hanno carattere politico? I sistemi d’arma, l’uso di certi mezzi o di altri non sono questioni politiche? Chi decide? Il Parlamento, in un regime parlamentare. Forse che si sia entrati in un altro regime?
L’affaire kazako è una “brutta figura internazionale” o una violazione dei diritti umani?
Una cosa e l’altra. Ma non solo: è l’umiliazione dello Stato. Ammettiamo che nessun ministro ne sapesse qualcosa. Sarebbe per questo meno grave? Lo sarebbe perfino di più. Vorrebbe dire che le istituzioni non controllano quello che accade nel retrobottega e che il nostro Paese è terreno di scorribande di apparati dello Stato collusi con altri apparati, come già avvenuto nel caso simile di Abu Omar, rapito dai “servizi” americani con la collaborazione di quelli italiani e trasportato in Egitto: un caso in cui s’è fatta valere pesantemente la “ragion di Stato”. Non basta, in questi casi, la responsabilità dei funzionari. L’art. 95 della Carta dice che i ministri, ciascuno personalmente, portano la responsabilità degli atti dei loro dicasteri. Se, sotto di loro, si formano gruppi che agiscono in segreto, per conto loro o in combutta con poteri estranei o stranieri, il ministro non risponderà penalmente di quello che gli passa sotto il naso senza che se ne accorga. Ma politicamente ne è pienamente responsabile. Troppo comodo il “non sapevo”. Chi ci governa, per prima cosa, “deve sapere”. Se no, dove va a finire la nostra sovranità? Chi, dovendola difendere, in questa circostanza, non l’ha difesa?
Una cosa e l’altra. Ma non solo: è l’umiliazione dello Stato. Ammettiamo che nessun ministro ne sapesse qualcosa. Sarebbe per questo meno grave? Lo sarebbe perfino di più. Vorrebbe dire che le istituzioni non controllano quello che accade nel retrobottega e che il nostro Paese è terreno di scorribande di apparati dello Stato collusi con altri apparati, come già avvenuto nel caso simile di Abu Omar, rapito dai “servizi” americani con la collaborazione di quelli italiani e trasportato in Egitto: un caso in cui s’è fatta valere pesantemente la “ragion di Stato”. Non basta, in questi casi, la responsabilità dei funzionari. L’art. 95 della Carta dice che i ministri, ciascuno personalmente, portano la responsabilità degli atti dei loro dicasteri. Se, sotto di loro, si formano gruppi che agiscono in segreto, per conto loro o in combutta con poteri estranei o stranieri, il ministro non risponderà penalmente di quello che gli passa sotto il naso senza che se ne accorga. Ma politicamente ne è pienamente responsabile. Troppo comodo il “non sapevo”. Chi ci governa, per prima cosa, “deve sapere”. Se no, dove va a finire la nostra sovranità? Chi, dovendola difendere, in questa circostanza, non l’ha difesa?
Che dire del blocco del Parlamento decretato per protesta contro l’Autorità giudiziaria?
Che, anche questa, come la manifestazione di decine di parlamentari scalpitanti dentro e fuori il Tribunale di Milano, è una vicenda inconcepibile. Altrettanto inconcepibile è che l’una e l’altra non siano state oggetto di puntuale e precisa condanna. Anche qui: ammettiamo per carità di Patria che l’una sia stata una normale sospensione tecnica e l’altra una visita guidata a un palazzo pubblico. Non basta, però, averli “derubricati”, per poter dire che non è successo nulla. La questione è che non s’è detto autorevolmente che l’intento e i mezzi immaginati sono, sempre e comunque, inammissibili perché contro lo Stato di diritto.
Che, anche questa, come la manifestazione di decine di parlamentari scalpitanti dentro e fuori il Tribunale di Milano, è una vicenda inconcepibile. Altrettanto inconcepibile è che l’una e l’altra non siano state oggetto di puntuale e precisa condanna. Anche qui: ammettiamo per carità di Patria che l’una sia stata una normale sospensione tecnica e l’altra una visita guidata a un palazzo pubblico. Non basta, però, averli “derubricati”, per poter dire che non è successo nulla. La questione è che non s’è detto autorevolmente che l’intento e i mezzi immaginati sono, sempre e comunque, inammissibili perché contro lo Stato di diritto.
C’è una logica che spiega i singoli episodi?
Potrei sbagliare, ma a me pare che su tutto domini la difesa dello status quo e del governo che lo garantisce. In stato di necessità, si passa sopra a tutto il resto. L’impressione, poi, è che in quella rete invisibile di connivenze, di cui parlavo all’inizio, si finisca per attribuire a un partito e al suo leader un plusvalore che non corrisponde al loro consenso elettorale e alla rappresentanza in Parlamento. Come se toccarne gli interessi possa determinare una catastrofe generale. Sembra che tutti siano utili, ma qualcuno sia necessario e, per questo, si debbano tollerare da lui cose che, altrimenti, sarebbero intollerabili.
Potrei sbagliare, ma a me pare che su tutto domini la difesa dello status quo e del governo che lo garantisce. In stato di necessità, si passa sopra a tutto il resto. L’impressione, poi, è che in quella rete invisibile di connivenze, di cui parlavo all’inizio, si finisca per attribuire a un partito e al suo leader un plusvalore che non corrisponde al loro consenso elettorale e alla rappresentanza in Parlamento. Come se toccarne gli interessi possa determinare una catastrofe generale. Sembra che tutti siano utili, ma qualcuno sia necessario e, per questo, si debbano tollerare da lui cose che, altrimenti, sarebbero intollerabili.
Così si è corrivi nei confronti di una parte politica, anche se c’è di mezzo la Costituzione. A chi spetta difenderla?
In democrazia, a tutti i cittadini, che nella Costituzione si riconoscono. Poi, a chi occupa posti nelle istituzioni, subordinatamente a un giuramento di fedeltà. Infine, salendo più su, a colui che ricopre il ruolo comprensivamente detto di “garante della Costituzione”, il presidente della Repubblica.
In democrazia, a tutti i cittadini, che nella Costituzione si riconoscono. Poi, a chi occupa posti nelle istituzioni, subordinatamente a un giuramento di fedeltà. Infine, salendo più su, a colui che ricopre il ruolo comprensivamente detto di “garante della Costituzione”, il presidente della Repubblica.
Da Il Fatto Quotidiano del 18 luglio 2013
19Lug, 2013
Parlamento, ok alla norma “salva sindaci”: via libera alla doppia poltrona
Il favore delle tenebre induce in tentazione. E la tentazione, stavolta, ha avuto il sopravvento nell’istinto di conservazione della casta sul fronte dei doppi incarichi. Siamo alla Camera, in commissione Affari costituzionali e Bilancio.
E’ notte fonda di martedì, la seduta va avanti da ore, sul tavolo il decreto “Del fare”. All’improvviso, quando ormai sono le due di notte passate, il pidiellino Ignazio Abrignani tira fuori un emendamento che con lo sviluppo e con la disoccupazione ha davvero poco a che fare. L’emendamento è firmato anche da Nico Stumpo del Pd e da Martina Nardi di Sel. Nel mirino c’è la legge con cui Tremonti aveva sancito l’incompatibilità di ruoli di governo per chi ricopriva la carica di sindaco. Con un tratto di penna, i tre parlamentari hanno ottenuto l’obiettivo non solo di cancellare questa incompatibilità, ma anche di salvaguardare il ruolo di sindaco per chi è stato eletto parlamentare a patto che il Comune superi i 5mila abitanti. Una sorta di “tana libera tutti”, per intenderci. Di questi tempi, un passo non da poco.
Altro trucco. Nel 2011 era stato previsto di far scattare la norma “dalle prossime elezioni politiche”, cioè quelle che si sono svolte a febbraio. L’emendamento approvato nel blitz notturno, stabilisce invece che l’incompatibilità scatterà solo con le prossime elezioni comunali. In sostanza si permette ai sindaci, attualmente incompatibili, di concludere il loro mandato da primo cittadino. Restando, ovviamente, in Parlamento. Bella mossa. Rivendicata con soddisfazione dallo stesso Abrignani che, comunque, si è schermito sulle reali conseguenze del colpo di penna pro casta: “In realtà – ha sostenuto – i sindaci-parlamentari interessati dalla nuova norma sono in tutto 18, una cifra molto modesta”. Ma come è stato possibile inserire questo tipo di norma in un decreto di matrice economica? Semplice: l’emendamento “salva-sindaci” prevede che “ai fini del contenimento della spesa pubblica per lo svolgimento delle elezioni”, l’articolo 13, comma 3, “del decreto-legge 13 agosto 2011 dovrà essere letto nel senso che la causa di incompatibilità si applica solo per quei sindaci la cui elezione si sia tenuta dopo la data di entrata in vigore del decreto”. Dunque, per chi è stato eletto dopo l’agosto del 2011 l’incompatibilità resta, ma se le elezioni si sono svolte prima , il sindaco potrà restare in sella fino alla fine del mandato. In sostanza si “salvano” tutti quei sindaci-parlamentari che sono stati eletti nel 2009.
A dire il vero, tra i nomi di rilievo che potevano beneficiare della norma, due su tre hanno già portato a compimento l’iter di decadenza dall’incarico comunale, come Flavio Zanonato (ex sindaco di Padova) e Graziano Delrio (Reggio Emilia). Vincenzo De Luca, viceministro ai Trasporti e primo cittadino di Salerno, è invece ancora in ritardo e ora “rischia” di conservare anche la poltrona di sindaco della città campana. Questione che ha fatto saltare la mosca al naso a Mara Carfagna, portavoce del Pdl: “Ritengo sbagliata questa norma – ha sottolineato livida – in aula voterò contro”. Carfagna, che è anche commissario provinciale del partito a Salerno, ha precisato che non è “una posizione contra personam, ma solo di buon senso, visto che proprio De Luca rientra nel novero di chi è beneficiato; consentire di cumulare più cariche è un errore in un momento così delicato della vita pubblica del nostro Paese. E poi, far passare il messaggio che sia opportuno e conveniente concentrare posizioni di potere – ha ribadito ancora – è deleterio; uno schiaffo a tutti coloro che chiedono maggiore trasparenza e correttezza”. Ora, però, la parola passa al governo. Che, molto probabilmente, venerdì metterà la fiducia al decreto. E proprio sul testo (guarda caso) uscito dalla commissione.
Da Il Fatto Quotidiano del 18 luglio 2013
19Lug, 2013
Monsanto compra i mercenari Blackwater
Secondo un rapporto di Jeremy Scahill apparso su The Nation, Monsanto avrebbe acquistato Blackwater (poi chiamata Xe Services e più recentemente Academi) il più grande esercito mercenario del mondo. Blackwater fu rinominata nel 2009, dopo essere diventata famosa in tutto il mondo per i numerosi rapporti di abusi in Iraq, incluso il massacro di civili.
Questa compagnia mercenaria rimane comunque il più grande appaltatore privato del Dipartimento di Stato USA “servizi di sicurezza”, che pratica il terrorismo di Stato dando al governo l’opportunità di negarlo. Molti ufficiali della CIA ed ex militari lavorano per Blackwater o per le società collegate, che sono state create apposta per sviare l’attenzione dalla loro cattiva reputazione e fare più profitti vendendo i loro servizi (raccolta informazioni, intelligence, infiltrazioni, pressioni politiche, formazione paramilitare) ad altri governi, banche e corporazioni multinazionali. Scahill sostiene che gli affari con le multinazionali come Monsanto e Chevron e con i giganti finanziari come Barclays e Deutsche Bank, vengono svolti attraverso due compagnie il cui proprietario è Erik Prince, lo stesso di Blackwater: Total Intelligence Solutions e Terrorism Research Center. Queste compagnie condividono con Blackwater funzionari e dirigenti.
Uno di questi, Cofer Black, conosciuto per la sua brutalità come dirigente delle CIA, fu colui che prese contatto con la Monsanto nel 2008 in qualità di dirigente della Total Intelligence. Il contratto comprendeva attività di spionaggio e infiltrazione di organizzazioni di attivisti per la difesa dei diritti degli animali e anti-GM. Contattato da Scahill, l’amministratore della Monsanto Kevin Wilson ha rifiutato di commentare, ma in seguito ha confermato a The Nation che avevano assunto Total Intelligence nel 2008 e nel 2009, secondo la Monsanto solo per monitorare le “rivelazioni al pubblico” dei suoi avversari. Ha anche detto che Total Intelligence era una “entità completamente separata da Blackwater”. Tuttavia, Scahill è in possesso delle copie delle e-mail di Cofer Black dopo l’incontro con Wilson per la Monsanto, in cui spiega ad altri ex agenti della CIA, usando i loro indirizzi e-mail Blackwater, che il risultato della discussione con Wilson era che Total Intelligence era diventata l’intelligence della Monsanto.
Quasi in contemporanea con la pubblicazione di questo articolo su The Nation, La Via Campesina ha riferito dell’acquisto di 500.000 azioni della Monsanto, per più di 23 milioni dollari da parte della Bill e Melinda Gates Foundation. Si tratta di un matrimonio tra i due monopoli più brutali della storia dell’industrialismo: Bill Gates controlla più del 90% del mercato del computing proprietario, e Monsanto circa il 90% del mercato globale delle sementi transgeniche e e in generale del commercio globale di sementi. Non esiste un monopolio così vasto in nessun altro settore industriale. E sia Gates che Monsanto sono molto aggressivi nel difendere i loro monopoli illeciti. Anche se Bill Gates potrebbe provare a dire che la Fondazione non è legata alla sua attività, tutto prova il contrario: la maggior parte delle donazioni della Fondazione finiscono per favorire gli investimenti commerciali del magnate stesso.
Le loro “donazioni” finanziano progetti distruttivi come la geoingegneria o la sostituzione della medicina naturale con farmaci brevettati di alta tecnologia nelle aree più povere del mondo. Che coincidenza, l’ex segretario della sanità Julio Frenk ed Ernesto Zedillo sono consulenti della Fondazione. Come Monsanto, Gates è anche impegnato nel tentativo di distruggere l’agricoltura rurale in tutto il mondo, principalmente attraverso la “Alliance for a Green Revolution in Africa” (AGRA). Funziona come un cavallo di Troia per privare i poveri agricoltori africani delle loro sementi tradizionali, prima sostituendole con i semi delle loro aziende, e infine con quelli geneticamente modificati (GM). Per questo compito, la Fondazione ha assunto Robert Horsch nel 2006, il direttore della Monsanto. Blackwater, Monsanto e Gates sono tre facce di una stessa figura: una macchina da guerra che si estende su tutto il mondo, che ha come nemici contadini, comunità indigene, persone che vogliono condividere informazioni e conoscenze o chiunque altro non voglia vivere sotto l’egida del profitto e la distruttività del capitalismo. monsanto 2 Ma allora perché così tanti organi di stampa, editorialisti e blogger dicono a gran voce che l’acquisto è stato una “bufala”? Questa è una buona domanda.
I più cinici tra noi potrebbero sospettare un incentivo finanziario da Monsanto per questi “giornalisti”. Monsanto infatti ha ingaggiato un team di pubbliche relazioni per cercare i blog critici e i siti web di segnalazione sui loro crimini contro la natura e l’umanità. Ma l’argomento principale di chi sostiene che l’acquisto di Blackwater da parte di Monsanto non sia vero, sta nel fatto che l’unica cosa che si può uffilmente documentare è che Blackwater è stata assunta per anni da Monsanto. Subito dopo questo ampio lavoro che la Blackwater ha svolto per Monsanto, la compagnia è stata venduta. A causa del modo in cui la vendita è trapelata, è impossibile documentare a chi la compagnia è stata venduta. Tuttavia, la logica e ovvia conclusione per gli addetti ai lavori (in particolare nel settore della sicurezza privata) è che la vendita è stata a favore di Monsanto. Xe (ora Academi) è, infatti, stata acquistata, e mentre non c’è modo di documentare ufficialmente chi sono i nuovi proprietari, la conclusione logica sarebbe che Monsanto, che ha impiegato la compagnia prima della vendita, sia la nuova proprietaria.
Questo, naturalmente, darebbe anche un senso alla segretezza che circonda l’affare e l’identità dei nuovi proprietari. La società è stata acquistata da investitori privati tramite società di private equity che non sono tenute a divulgare nessuna delle loro transazioni, con Bank of America che fornisce gran parte dei 200 milioni di dollari di finanziamento per l’affare. Vari ricercatori hanno cercato di documentare l’acquisto tramite una traccia cartacea, ma finora senza troppa fortuna. Questo, naturalmente, è il punto dell’intera questione. La logica conclusione sembra essere che, nonostante gli argomenti in senso contrario, la Monsanto abbia acquistato la compagnia mercenaria Blackwater, o almeno il gruppo di Servizi rinominato Xe Blackwater (ora Academi). La grande domanda ora è: perché?
19Lug, 2013
#5giornia5stelle – puntata 19 luglio 2013
“5 giorni a 5 stelle” è il notiziario del Movimento 5 Stelle che racconta tutte le attività parlamentari dei portavoce a Cinque Stelle mandati dai cittadini nelle istituzioni, alla Camera e al Senato.
Ecco la quinta puntata, del 19 luglio 2013, per sapere cosa fanno i Cinque Stelle nella scatoletta di tonno, senza dar troppo retta a giornali e televisioni ma informandosi direttamente alla fonte.
Ecco la quinta puntata, del 19 luglio 2013, per sapere cosa fanno i Cinque Stelle nella scatoletta di tonno, senza dar troppo retta a giornali e televisioni ma informandosi direttamente alla fonte.
19Lug, 2013
Sarà la permanenza al governo e non le sue dimissioni a decretare la fine del governo
Come spesso capita, le parole più sensate sullo scenario politico le ha pronunciate il vice presidente Pd della Camera Roberto Giachetti (ex radicale). «Il tema è: Alfano, quando ieri è venuto alla Camera, ha detto la verità o no? Renzi viene massacrato ma ha semplicemente detto la stessa cosa di Cuperlo, Finocchiaro, Bindi e di alcuni esponenti di Lista Civica. Il tema se sia necessario che un ministro si assuma la propria responsabilità e si dimetta, se non ha detto la verità in Parlamento, riguarda tutti. Non è che se uno solleva il problema è perché deve ammazzare il Governo». Le parole di Giachetti non hanno trovato ascolto nel gruppo dirigente del Pd che oggi ha deciso che di votare no alla mozione di sfiducia contro il ministro presentata dal M5S e da Sel che sarà votata domani al senato.