10/03/2017 – I soldi per tutti non ci sono. E anche quelli a disposizione dovranno aspettare un decreto legislativo, che potrebbe arrivare tra un mese come tra due anni, per essere spesi. Ma il quadro politico è turbolento e il governo aveva bisogno di un tema forte con cui rispondere all’ offensiva politica e a quella giudiziaria. Di qui l’ idea di cavalcare con decisione il nuovo Reddito di inclusione sociale, una misura dall’ evidente «suono» grillino (il M5S si batte da anni per il reddito di cittadinanza) e in grado, per la platea a cui si rivolge, di riscuotere ampi consensi anche nel mare in tempesta alla sinistra del Pd, che potrebbe rendere complicata la sopravvivenza di Paolo Gentiloni.
Poco importa che la partita sia iniziata più di anno e mezzo fa, con il Piano nazionale contro la povertà previsto dalla legge di stabilità 2015, e che lo scorso settembre il governo abbia già ampiamente celebrato l’ avvio del Sostegno per l’ inclusione attiva, misura sperimentale prodromica al Reddito.
Oggi il Senato ha dato il via libera finale alla legge delega. E tanto basta. Sul piatto ci sono 1,6 miliardi di euro. Un plafond che in realtà vede solo 600 milioni di fondi nuovi. E un altro miliardo recuperato attraverso l’ accorpamento di diversi stanziamenti già predisposti negli anni scorsi: la Carta acquisti, in vigore dal 2008 (200 milioni), il Sostegno per l’ inclusione attiva, finanziato dal 2013 (370 milioni), l’ Assegno di disoccupazione, finanziato dal 2015 (380 milioni), l’ indennità per i Co.co.pro, introdotta nel 2008 (54 milioni). Aggiungendo una quota proveniente dai fondi europei, secondo quanto spiegato dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, si arriverà ad una dota complessiva di 2 miliardi di euro.
I quattrini saranno destinati alle famiglie povere con almeno un minore a carico. I criteri definitivi dovranno essere individuati dal successivo decreto legislativo, ma l’ idea di fondo è quella di muoversi sulla falsariga del Sostegno per l’ inclusione già sperimentato in alcune città italiane.
Quindi famiglie con almeno un componente minorenne, un figlio disabile o una donna in stato di gravidanza con un Isee annuo inferiore a 3mila euro e trattamenti assistenziali o previdenziali complessivi non superiori a 600 euro mensili. Nessun componente della famiglia potrà poi possedere auto immatricolate negli ultimi 12 mesi oppure di cilindrata superiore a 1.300 cc (o 250 cc in caso di motocicli) acquistati nei tre anni antecedenti la domanda.
Oggi per ottenere il Sia è inoltre necessaria una «valutazione multidimensionale del bisogno», che dovrà avere un punteggio uguale o superiore a 45 punti. Chi usufruirà del bonus dovrà poi comportarsi da «bravo cittadino», pena la revoca.
In altre parole, ha spiegato Poletti, dovrà avere «un comportamento responsabile, accompagnare i figli a scuola, seguire corsi di formazione ed accettare eventuali proposte di lavoro».
Considerando un assegno mensile (o una carta prepagata) di 480 euro (dai 400 già previsti dal Sia), cifra peraltro ancora da definire, i tecnici del Welfare hanno calcolato che il beneficio potrebbe riguardare circa 400mila nuclei familiari, vale a dire circa un milione e 770mila individui. E qui sorge il problema principale. Secondo l’ Istat infatti in Italia ci sono circa un milione e 582mila famiglie in condizione di povertà assoluta, che equivale a 4 milioni e 598mila invidui. Poletti ottimisticamente ha ammesso che la misura per ora raggiungerà un po’ meno del 50% della platea complessiva. In realtà è poco più del 38%. Del resto, come ha più volte spiegato l’ Alleanza per la povertà, per garantire un reddito d’ inclusione a tutti i poveri del nostro Paese servirebbero almeno 7,5 miliardi. Mancano dunque all’ appello oltre 5 miliardi. Soldi che difficilmente il governo, schiacciato tra manovra correttiva e clausole di salvaguardia, riuscirà a recuperare. di Sandro Iacometti