L’UNITA’ D’ITALIA HA TRADITO IL SUD

Il Sud è quello che è oggi a causa di una politica fatta in particolare dal Nord e dai Savoia che hanno voluto una guerra civile piena di errori, strategie sbagliate, tragedie e stermini che hanno visto i Borbone e quindi il meridione perdente. Le politiche che hanno accompagnato l’unificazione hanno fatto mancare al Sud investimenti strategici che invece sono stati fatti con accuratezza al Nord.
Gli stermini di massa perpetrati dai garibaldini e dai Piemontesi, nei confronti delle popolazioni del sud Italia. “Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni”. Tale parallelismo viene usato più volte; l’autore (Pino Aprile) prende come riferimento, nelle prime pagine del libro, i massacri della ex Jugoslavia, le fucilazioni di massa nel Kossovo, o, ancora, gli stermini effettuati dell’esercito slavo a danno della minoranza di lingua italiana della Venezia-Giulia e dell’Istria, nel corso della seconda guerra mondiale, per affermare che le stesse cose sono state fatte da coloro che hanno voluto l’Unità d’Italia.
Le città meridionali sono state depredate, saccheggiate, le donne violentate, le comparazioni e gli accostamenti inducono il lettore a sobbalzare sulla sedia, dando uno spessore tragico ed inumano ai fatti eroici del Risorgimento italiano. La tesi predominante è che l’Unità d’Italia ha tradito il Sud; innanzitutto perché è stata condotta una campagna militare improntata sostanzialmente a raggiungere l’obiettivo finale con la forza uccidendo e depredando. In secondo luogo, ad unificazione avvenuta, sono stati fatti mancare gli aiuti economici; questo ha comportato, negli anni ’50, una migrazione verso il Nord ed in particolare verso il triangolo industriale Milano, Torino e Genova, di numerosi meridionali ovvero di manodopera a basso costo che ha prosciugato di energie lo stesso meridione. Le tesi di Aprile, che non sono poi così originali, partono dall’assunto che il Sud al tempo dei Borboni non era poi così sottosviluppato.

Il regno Borbonico aveva la terza Marina D’Europa, in Calabria vi erano delle fiorenti acciaierie, il processo di ammodernamento dei trasporti stava toccando livelli altissimi, tutte realtà di uno Stato che stava sviluppandosi all’interno del contesto europeo. Il processo di unificazione fermò l’evoluzione e distrusse tutto. “I meridionali hanno una cultura industriale”, l’autore riporta quanto affermato da Gaetano Cingari nel libro “Nordisti, acciaio e mafia”: “nel giro di pochi anni, dopo l’Unità, l’importante patrimonio industriale del Regno delle Due Sicilie, sminuito a torto, andò distrutto e, per la nuova nazione, ciò ha poi rappresentato un danno irreversibile”. Con le “Dispari opportunità”, l’autore ricorda lo studio di Vittorio Daniele e Paolo Malanima “Il prodotto delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia (1861-2004)”; gli autori dimostrano come “non esisteva, all’Unità d’Italia, una reale differenza Nord-Sud in termini di prodotto pro capite”. Nel medesimo capitolo Aprile afferma che il “Piemonte era pieno di debiti e … che al Sud, con un terzo della popolazione totale, c’era in giro il doppio dei quattrini che nel resto d’Italia …”.
Nel XIX secolo è stato fermato il processo di sviluppo che i Borboni stavano portando avanti con successo. Tale “blocco” continua ancora oggi, a causa dei governi milanesi guidati da milanesi e ispirati dalla lega nord che, non tenendo conto di quanto è stato fatto nei confronti dei ‘terroni’, per ignoranza o volontà, continuano ad ispirare una politica antimeridionale. I meridionali furono costretti ad emigrare in massa. Chi rimase cercò di opporsi all’invasore. Davanti all’oppressione vi fu una reazione. Si crearono quindi organizzazioni militari che andarono ad ingrossare il fenomeno del brigantaggio. Dal 1861 al 1871 ci furono circa “un milione” di vittime. La considerazione sui perché il meridione continua in un certo senso a non risollevarsi, è legato alla “Educazione alla minorità”, a suffragio delle attuali condizioni di vita dei meridionali, Aprile fa un parallelismo con l’esperimento effettuato nella prigione di Stanford dal prof. Philip Zimbardo negli anni contrassegnati dalla protesta contro l’intervento degli USA in Vietnam. All’esperimento parteciparono dei volontari che si immedesimarono nei ruoli di carcerieri e carcerati.
Questi potevano, quando volevano, abbandonare senza costrizioni il carcere simulato e tornare in libertà. A tal proposito l’autore afferma: “Ognuno è libero di andarsene quando vuole. Ma il suo ruolo sopravanza talmente la personalità delle cavie umane, che, entro quarantotto ore, reclusi e guardie si convincono di essere davvero quello che dovrebbero fingere di essere. Qualunque cosa fossero quei ragazzi, in poche ore, non c’è più: al loro posto sono apparse altre persone, figlie del ruolo”. L’esempio, assieme ad altri che vanno da Eichmann uomo considerato del tutto normale dagli psichiatri che lo visitarono ma contemporaneamente tra i carnefici responsabili dello sterminio di sei milioni di ebrei, fino ai padri del Risorgimento, che, sottolinea l’autore, non sono mai stati al Sud prima dell’invasione, vogliono dimostrare come i meridionali vessati, ritenuti inferiori, ecc., ecc., alla fine hanno trasformato gli stereotipi nordisti su di loro in una ragione e se ne sono conformati. Il male diventa banale ed è fatto di cose concrete: il trasferimento della responsabilità all’autorità di cui eseguo i comandi, la deindividuazione, non sono più io ma quello che mi dicono che io sia, la diffusione delle responsabilità nel gruppo di cui si fa parte, tutto questo fa scattare nell’uomo dei “meccanismi potentissimi” di condizionamento che inducono, nella fattispecie, a far credere alle popolazioni del Sud Italia che sono inferiori ed incapaci di autogovernarsi. Nel libro c’è un forte richiamo al valore di essere meridionali ed alle sofferenze che ha passato il Sud: “Il Sud ha le piaghe. Per fortuna”, Aprile afferma che il meridione nel tempo ha collezionato sofferenze, vessazioni, ferite; da queste si può ripartire perché seppur paradossalmente esse sono una opportunità per un nuovo inizio.
C’è da dire anche che, caratteristica molto italiana, si è sempre alla presenza di un’altra verità; e questo atteggiamento molto diffuso, però, è figlio di un contesto socio-politico-culturale che non vuole o vuole fare poco i conti con il passato, magari sforzandosi di mettere nel giusto ordine gli avvenimenti.
Documenti alla mano, Giordano Bruno Guerri dimostra come la politica unitaria trattò il Sud come una colonia da sfruttare e da educare. Il Nord, e qui le argomentazioni si avvicinano alle tesi del precedente libro di Pino Aprile, non considerò italiane le popolazioni del Sud, pur essendoci molti uomini del Sud che facevano parte dell’esercito italiano, che condivisero le idee e gli ideali del Risorgimento. I grandi uomini dell’unità non conoscono il meridione. Cavour non mette mai piede a Roma.Massimo d’Azeglio, a cui si deve la famosa frase pubblica “fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”, nel privato affermava con veemenza che “unirsi con i napoletani è come giacere con un lebbroso”.
Una antistoria, che guarda i fatti anche dalla parte di chi ha subito l’unificazione. Per Guerri, comunque, così come afferma nelle conclusioni, si trattò di “una Unità mal condotta e peggio proseguita”. La reazione, la ribellione alla spinta unitaria fu etichettata come brigantaggio, con questo termine si mettono assieme contadini, clerici, signori, borbonici, e la lotta fu durissima.
BrigantiIl neonato Regno d’Italia impiegò metà dell’esercito che aveva a disposizione per combattere i briganti, con migliaia di morti da entrambi le parti, in quella che si può definire una vera e propria guerra civile con vittime maggiori rispetto a quella del 1943-1945. Due guerre civili che hanno caratterizzato, nell’arco di nemmeno 100 anni, la storia della giovane Italia. Tra questi vi sono personaggi come Carmine Crocco che sottoufficiale dell’esercito garibaldino passo dalla parte dei borboni divenendo l’uomo di punta della restaurazione e il difensore dei poveri.
Cè bisogno – afferma Guerri – di una «profonda opera di revisione storiografica» perché la storia è stata raccontata dai vincitori e non si sono prese in considerazione nel modo dovuto la storia o meglio le storie dei vinti. Non si può sottacere il fatto che i piemontesi non seppero risolvere il nodo della questione agraria, e che questa fu una delle principali cause del brigantaggio: i contadini sognavano una redistribuzione dei terreni che non avvenne mai.
Ed allora il brigantaggio fu combattuto con una legge, la Legge Pica dell’agosto 1863, con cui il governo italiano in realtà “impose lo stato d’assedio, annullò le garanzie costituzionali, trasferì il potere ai tribunali militari, adottò la norma della fucilazione e dei lavori forzati, organizzò squadre di volontari che agivano senza controllo, chiuse gli occhi su arbitrii, abusi, crimini, massacri”. Indubbiamente il monito che proviene dal libro di Giordano Bruno Guerri è che con la storia bisogna fare i conti, che bisogna considerare le diverse sofferenze e modalità che ci hanno portato a diventare una sola nazione che ha unificato un Nord ed un Sud, che ha visto alla fine del XIX secolo e per buona parte del XX secolo una forte emigrazione. Bisogna quindi analizzare gli errori compiuti prima e dopo l’Unità, “Senza questo presupposto – afferma Giordano Bruno Guerri – il federalismo sembra un’idea che il Nord vuole imporre al Sud, quindi pericolosa in partenza”.

NEL VIDEO: Antonio Ciano, direttore di Tele Monte Orlando, intervista, sullo sfondo della fedelissima città di Gaeta, l’editore di Controcorrente Pietro Golia e Luciano Salera, autore del libro Garibaldi Fauchè e i predatori del Regno del Sud.