Ricordando vecchi Trucchi per fare cassa sui soldi dei contribuenti
A ROMA GLI AMMINISTRATORI DELLE SOCIETÀ CAPITOLINE NON POTREBBERO GUADAGNARE PIÙ DEL SINDACO. ECCO COME SI PUÒ ARRIVARE A 4 VOLTE TANTO
I tre manager pubblici che gonfiano gli stipendi con cariche e consulenze. I trucchi per superare i tetti stabiliti per legge.
ROMA – Franco Panzironi, Adalberto Bertucci e Gioacchino Gabbuti conoscono bene il problema: gestire un’ azienda municipalizzata è compito da far tremare le vene ai polsi. E chi se lo assume avrebbe diritto a una retribuzione proporzionata alla rogna. Peccato che le regole sui tetti alle retribuzioni dei manager pubblici in qualche caso non lascino scampo.
Non lo lasciano, soprattutto, agli amministratori delle società controllate dai Comuni. Emblematico, il caso di Roma e Milano, dove vige il principio che il presidente o il consigliere delegato delle imprese cittadine non possono guadagnare in ogni caso più del sindaco.
Ne sa qualcosa l’ amministratore delegato della Sea Giuseppe Bonomi, che riuscì a mantenere, e anzi ad aumentare la propria retribuzione grazie a un trucco ormai classico anche in grandi aziende statali come le Poste: farsi nominare direttore generale. Un caso «padano» per eccellenza, quello del leghista Bonomi, che ha fatto scuola anche a Roma. Come dimostrano, appunto, le tre vicende di Panzironi, Bertucci e Gabbuti. Dal 2007 il compenso «fisso lordo annuo» dei presidenti e degli amministratori delle società capitoline non può superare in ogni caso l’ 80% dello stipendio del sindaco, stabilito in 130.172 euro e 50 centesimi? Vero.
Ma con qualche sforzo di creatività si riesce ad arrivare anche a quattro volte tanto. Franco Panzironi è amministratore delegato dell’ Ama: azienda che gestisce la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti e non si trova certamente in una forma smagliante, se è vero che nel 2009, senza un aumento di 40,8 milioni delle tariffe e un contributo speciale di 30 milioni erogato dal Comune avrebbe chiuso il bilancio in rosso per 69 milioni. Fedelissimo di Gianni Alemanno è attualmente anche segretario generale di Nuova Italia, fondazione politica presieduta dallo stesso sindaco di Roma; il quale ha provveduto ad assumere anche il suo figlio venticinquenne Dario nella propria segreteria. Ebbene, secondo quanto denunciato dal consigliere comunale del Partito democratico Athos De Luca il 7 luglio scorso in Campidoglio con un ordine del giorno votato all’ unanimità da tutti i presenti, Panzironi guadagna oltre mezzo milione di euro l’ anno. Come fa? Semplice: 70.293, più altri 30 mila li prende come amministratore delegato. Fin qui la regola dell’ 80% dello stipendio del sindaco quanto all’ emolumento «fisso» è assolutamente rispettata. Poi però ce ne sono ancora 309.807 in quanto dirigente della stessa azienda. E fanno 380.100 euro. Ma Panzironi è anche presidente di un’ altra società municipalizzata, Roma Multiservizi: per quello gli spettano 110.125 euro e 98 centesimi. A cui si devono aggiungere 55.062 euro e 99 centesimi per l’ «indennità di risultato». Totale: 545.288 euro e 97 centesimi. Poco meno della retribuzione spettante nel 2009 all’ ex amministratore delegato dell’ Atac Gioacchino Gabbuti, il quale aveva rinunciato ai 64.435 euro che gli toccavano in base alla carica. Davvero poca roba, rispetto ai 351.678 euro e 47 centesimi della paga da direttore, e al bonus aggiuntivo di 245 mila euro per aver centrato gli obiettivi. La somma fa 596.678 euro. L’ amministratore delegato dell’ Atac, azienda comunale della «mobilità», Adalberto Bertucci, già consigliere di Alleanza nazionale, si ferma invece ad «appena» 359.586 euro e 40 centesimi. Ne incassa 70.293 e 20 centesimi da amministratore delegato, più altrettanti come parte variabile legata ai risultati: 140.586 euro. Quindi, sorpresina, spunta una consulenza da 219 mila euro che gli ha assegnato la stessa società che amministra. Per fare che cosa? La consulenza, c’ è scritto nel verbale del consiglio dell’ Atac, ha per oggetto «le specifiche capacità professionali possedute dal Dr. Bertucci quale consulente del lavoro ed è relativa: in generale alla materia del lavoro con particolare riguardo alle verifiche delle scelte opzionali in tema di previdenza effettuate dai dipendenti, la mappatura delle scelte effettuate, i fondi pensione». Va da sé che il consiglio di amministrazione del quale Bertucci fa parte gli ha affidato l’ incarico solo dopo aver avuto il parere legale da uno studio esterno, presumibilmente pagato in misura adeguata, che «ammette la possibilità di stipulare un contratto di consulenza con l’ amministratore delegato purchè l’ attività affidata non rientri fra quelle attribuite al Dr. Bertucci quale A.D. della società». Bontà loro...
Insomma, mentre ai cittadini vengono chiesti pesanti sacrifici sarebbe il caso che i sacrifici li facessero anche lor signori !!!