17/09/2017 – Quando Craxi gridava al golpe contro i partiti che rubavano, gli tiravano le monetine. Quando B. gridava al golpe contro se stesso e le sue aziende che corrompevano, frodavano il fisco e taroccavano i bilanci, gli ridevano in faccia. Ora che Salvini grida al golpe contro la Lega che si fregava i finanziamenti pubblici, lo prendono tutti a pernacchie. Invece, se Renzi, Franceschini, Orfini, Zanda, Pinotti e altri noti statisti gridano al golpe giudiziario dei carabinieri e del pm Woodcock contro lo stesso Renzi (mai indagato) per i traffici del babbo Tiziano, del galoppino Carlo Russo e del Giglio Magico alla Consip, tutti li prendono sul serio. A cominciare da Repubblica, il quotidiano che più di ogni altro (insieme al nostro) ha sempre smontato le accuse di eversione a chi osava indagare su Craxi, B. e Lega. Si era sempre detto, anche quando emergevano errori in questa o quell’indagine: contano solo i fatti, lasciamo che i magistrati giudichino e poi, se qualche inquirente ha sbagliato, ne risponderà, ma senza assolvere chi quei fatti ha commesso. Ora che c’è di mezzo Renzi e il Pd parla la lingua di Craxi, B. e Salvini, quella regola aurea non vale più: se qualche inquirente del caso Consip ha sbagliato dolosamente (ed è ancora tutto da dimostrare), i fatti e le prove evaporano, gli accusati diventano accusatori e viceversa. Anche se gli eventuali errori non spostano di un millimetro il quadro accusatorio di Consip scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano nell’editoriale di oggi 17 settembre 2017, dal titolo “Prendono i buchi e gridano al golpe”.
Il procuratore di Modena, Lucia Musti, denuncia a scoppio ritardato due ufficiali del Noe al Csm (che non ha alcun diritto di indagare né di fare domande sui carabinieri), in un verbale segreto subito pubblicato dai censori delle fughe di notizie altrui (come la nuova indagine su Woodcock). Il primo è Sergio De Caprio, che nel 2015 le portò per competenza il fascicolo sulla coop Cpl Concordia e le avrebbe detto: “È una bomba, se vuole può farla esplodere”. Renzi e Consip non c’entravano nulla: la coop rossa era legata ad ambienti dalemiani antirenziani. Il secondo è Giampaolo Scafarto che, incontrandola un anno fa per le indagini su Cpl, le avrebbe confidato di lavorare a un grosso caso: “Succederà un casino, arriviamo a Renzi”. Avendo appena raccolto pizzini e intercettazioni sull’intenzione di Romeo di stipendiare Tiziano e Russo con 30 mila e 2500 euro al mese e di sborsare 2 milioni per salvare l’Unità renziana, che doveva pensare Scafarto? Che stava arrivando a D’Alema? A Berlusconi? A Corona? Ovvio che pensasse a Renzi.
Sbagliò a parlarne alla pm? Certo. Era un reato? Pare di no, altrimenti la pm ne avrebbe commesso un altro, omettendo di indagarlo. Se dici “arriviamo a Renzi” significa che stai fabbricando prove false per incastrarlo? No, significa che tutti gli indizi raccolti portano a lui e al suo entourage familiare e politico.
Questi sono i fatti. Dove sta allora il golpe di cui cianciano i vertici Pd? E le “manovre e veleni” su cui titola Repubblica, in perfetta simbiosi col Giornale di Sallusti (“Renzi sa chi sono i mandanti del complotto”)? Per dimostrare l’inesistente congiura bisogna falsificare i fatti, truccare le carte, manipolare i verbali, taroccare le date, proprio mentre si accusano Scafarto, Ultimo, Woodcock e il Fatto delle stesse condotte. È quel che fa, più di tutti, Repubblica.
1) “Manipolazione delle carte giudiziarie… affinché fosse affondato l’allora primo ministro… L’idea che sia possibile disarcionare un primo ministro o chiudere una carriera politica attraverso la manipolazione di intercettazioni e un uso sapiente delle rivelazioni ai giornali è sconvolgente”. Bugia: i falsi contestati a Scafarto, tutt’altro che decisivi ai fini delle indagini, risalgono a fine dicembre 2016-marzo 2017, quando Renzi non era più premier (si era dimesso il 5 dicembre). E le “rivelazioni ai giornali” su Consip, cioè lo scoop di Marco Lillo, è del 21-22 dicembre. Comprendiamo l’amarezza di Repubblica per aver preso un “buco” dal nostro giornale, ma questo si chiama scoop, non golpe. Altrimenti anche lo scoop del Corriere, che il 22 novembre ’94 annunciò l’invito a comparire a B. per corruzione durante un vertice internazionale a Napoli sarebbe stato un complotto per disarcionare un premier (quello sì in carica). E chi lo firmò – i bravissimi Goffredo Buccini e Gianluca Di Feo – dovrebbe autodenunciarsi. Di Feo, tra l’altro, ora è vicedirettore di Repubblica.
2) “Resta la necessità di liberare le istituzioni da pezzi di apparati che, come troppe volte nella storia d’Italia, agiscono in modo deviato ed eversivo”, ma purtroppo “i vertici dell’Arma e la Difesa si sono espressi solo venerdì”. Gli apparati deviati nella storia d’Italia agivano per conto del potere, mentre qui il Noe indagava (con tutti i suoi errori) sul potere ed è stato vittima di soffiate per salvare il potere. E chi dovrebbe liberarci degli apparati deviati? I comandanti Del Sette e Saltalamacchia, indagati per favoreggiamento e rivelazione di segreti agli indagati Consip?
3) Il primo atto della “fallita spallata a Renzi” – sempre secondo Repubblica – è quando Woodcock assegna indebitamente il caso Consip al Noe, che dovrebbe occuparsi di “tutela ambientale e non di reati dei colletti bianchi”. Bugia: quando parte, l’indagine riguarda il gruppo Romeo per rapporti con la camorra nello smaltimento rifiuti al Cardarelli: materia di competenza del Noe. Poi si scopre che Romeo traffica con Russo, emissario di Tiziano, per vincere appalti alla Consip.
4) Il secondo atto è il “metodo a strascico… con intercettazioni telefoniche e ambientali”. È il metodo – perfettamente legittimo – usato anche dalla Boccassini per scoperchiare l’affaire “toghe sporche” su vari giudici romani, avvocati Fininvest (Previti in testa) e B. Che tuonava contro le intercettazioni “a strascico”. Come ora Repubblica.
5) “Di ‘bombe’ pronte a esplodere, parla del resto Scafarto al pm Musti anticipando fuori da ogni regola, nel settembre del 2016, quello che di lì a poco accadrà nell’indagine Consip”. Bugia: secondo la Musti, è De Caprio a parlarle di “bomba”, e non nel 2016 a proposito di Renzi, ma nel 2015 a proposito di Cpl.
6) Terzo atto: “La trasmissione degli atti a un’altra Procura… rende impossibile l’identificazione di chi quelle carte veicola. Sempre allo stesso quotidiano: il Fatto. Accade a Modena. Accade a Roma”. Bugia: lo scoop del Fatto sull’intercettazione Renzi-Adinolfi nell’inchiesta Cpl non c’entra nulla con Modena. La telefonata fu segretata da Woodcock, ma depositata da altri pm napoletani a disposizione degli avvocati. Bastava leggersi le carte, come ha fatto il nostro Vincenzo Iurillo e non altri. Ma anche questo si chiama scoop, non golpe.
7) Poteva mancare la giustizia a orologeria? Ieri era in bocca a B., ora è su Repubblica: “Dicembre 2016, un mese politicamente decisivo per il Paese. Il mese del referendum costituzionale. Sono ancora una volta Woodcock e il Noe a decidere i tempi. Il 20 dicembre… Marroni, dopo ore di interrogatorio, ha accusato di rivelazione di segreto il comandante Del Sette… Perché la ‘bomba’ scoppi, il mattino successivo il Fatto avvisa della tempesta che sta per succedere” […]
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