13/10/2017 – Quello che si è avvicinato di più alla verità, ieri, alla Camera, è stato Renato Brunetta. “Una buona legge elettorale – ha detto – è quella che non accontenta, o che scontenta, tutti i partiti alla stessa maniera. E questa legge scontenta noi, il Pd, la Lega, M5s, ciascuno per ragioni diverse”. E’ vero: il Rosatellum, approvato dal patto ampio tra Pd e Pd insieme a Lega e Forza Italia, non conviene a nessuno dei partiti. Oppure, anzi, conviene a tutti perché fotografa l’esistente. Di sicuro quella che tutti – dal Pd ad Alfano fino ai berlusconiani – definiscono come una “buona legge” non conviene al prossimo Parlamento, però: con qualsiasi combinazione, anche la più fantasiosa, oggi non ci sarebbe nessuna maggioranza in grado di sostenere un governo.
Cosa accadrebbe, oggi, dunque, se il Rosatellum fosse applicato alle intenzioni di voto per ciascun partito? Quello che sanno tutti: non ci sarebbe nessuna maggioranza in Parlamento, qualsiasi fosse la composizione: di sicuro non ce la farebbero le coalizioni classiche, cioè il centrodestra e il centrosinistra. Ma non ci sarebbe un governo neanche con le larghe intese. Una situazione bloccata, simile a quella della Spagna nel 2015, quando il Paese iberico andò a votare per due volte in sei mesi e solo all’ultimo tuffo riuscì a non andarci per la terza. Anche in quel caso, come succede ora in Italia, il problema era quello di tre poli più o meno equivalenti. A confermarlo è un’elaborazione del Corriere della Sera che si basa sui sondaggi di Ipsos negli ultimi 15 mesi, quindi una base statistica larghissima e affidabile.
Di sicuro è uno scenario che conferma come la riforma elettorale, approvata ieri alla Camera grazie al patto tra Pd, Forza Italia, Lega Nord e Alternativa Popolare, sia solo “conservativa” della situazione attuale, che cristallizzi e ingessi lo stato attuale delle cose e al contrario non cerchi neanche di trovare correttivi che possano dare una maggioranza chiara in Parlamento. Per alcune forze politiche è una mossa da follia suicida, almeno in apparenza. Soprattutto il Pd: basti pensare che i principali avversari – i Cinquestelle – con il Rosatellum sarebbero avvantaggiati rispetto a quanto succederebbe con l’Italicum (attualmente ancora vigente alla Camera), conquistando 178 seggi anziché 175.
Nel dettaglio, secondo l’elaborazione del Corriere, il M5s sarebbe di gran lunga il primo gruppo alla Camera, proprio con quei 178 seggi, 70 dei quali conquistati con il maggioritario, cioè con l’uninominale in cui il primo candidato vince tutto, e i restanti con il proporzionale. Difficile capire quanti ne avrà di preciso il Pd perché si alleerà con altre forze politiche: forse con Alfano, forse con Pisapia, forse con altri movimenti centristi. Il Corriere per il momento ha simulato un’alleanza con Ap. In questo caso questo centrosinistra (nuovo e per così dire anomalo) conquisterebbe 174 seggi: dal proporzionale ne andrebbero 105 al Pd e 11 ad Ap, mentre nei collegi – in coalizione insieme – ne prenderebbero altri 58.
Certo, la coalizione più forte sarebbe ampiamente il centrodestra, come dicono anche i dati scorporati di tutti i sondaggi di queste settimane. Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia prenderebbero in tutto 238 seggi così distribuiti: col proporzionale ne prenderebbe 60 Forza Italia, 59 la Lega Nord e 16 Fratelli d’Italia. A questi si aggiungerebbero altri 103 seggi che i candidati dei tre partiti vincerebbero nei collegi. Infine resterebbero 23 seggi (tutti proporzionali) che andrebbero all’area di sinistra (Mdp, Sinistra Italiana, Possibile) e altri 4 che sarebbero distribuiti ad altri partiti. In questo conto non sono compresi i seggi attribuiti dalla Val d’Aosta e dalle circoscrizioni estere.
Se si cercano alleanze in Parlamento, si resta molto delusi. Il centrodestra, come detto, pur essendo la coalizione con il risultato più avanzato, non va oltre i 238 seggi (quindi gli mancano la bellezza di 80 seggi per raggiungere la maggioranza). Il centrosinistra, anche con il fronte più allargato possibile (da Mdp ad Alfano), non supera i 197 seggi. Non ce la fanno neanche le larghe intese (Pd, Fi, Ap) che non superano i 278 seggi, con la maggioranza minima di 316 lontana di quasi 40 deputati. Con l’Italicum – cioè l’attuale in vigore per la Camera dopo la “rivisitazione” della Consulta – erano 286. – FONTE
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