Dalla vecchia camorra ai nuovi zingari: ecco i 75 clan che comandano a Roma

12/11/2017 – C’è un episodio fulminante, a scartabellare tra le tantissime inchieste sulla criminalità organizzata che portano la firma del procuratore Giuseppe Pignatone e dell’aggiunto Michele Prestipino, che racconta tutto della nuova mafiosità declinata alla romana. Accade nel 2015, ai tempi del funerale sfarzoso e pacchiano per il capostipite dei Casamonica, Vittorio. Salvatore Casamonica pretende il pizzo dagli esercizi commerciali del Tuscolano e al titolare di un pub fa il seguente discorso: «Voi con ’sta movida avete rotto. La gente fa rumore, così in piazza passano di continuo i carabinieri e i miei non possono più lavorare». Sottinteso, con la droga. «Ora, siccome io non ci voglio rimettere… Me dovete dare ’sti sordi. So’ 500 euro a settimana».

Così la criminalità va all’assalto di Roma. La città è ai loro occhi una ricca, grande, indifesa riserva d’oro. E c’è spazio per tutti. Secondo l’ultimo monitoraggio della Direzione nazionale antimafia sarebbero 75 i clan grandi o piccoli che si sono insediati all’ombra del Cupolone. O che sono nati qui. Per dirla con le parole del procuratore Pignatone: «Non si può certo affermare che Roma sia una città mafiosa nel senso in cui lo sono molte città del Sud, dove un’unica organizzazione esercita il controllo quasi militare del territorio. Ma è sicuramente un errore anche più grave negare l’esistenza di significative presenze mafiose, anche autoctone, e la necessità di contrastarle».

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Ci sono davvero tutti, al gran banchetto. I siciliani. I calabresi. I napoletani. I camorristi ostentano nomi dal lugubre pedigree criminale: Femia, Moccia, Mallardo, Iovine, Alfieri, Sarno. Molti continuano a presidiare anche gli antichi radicamenti in Campania; alcuni si trasferiscono in blocco. Quando i Moccia da Afragola decidono di piazzare a Roma i loro prodotti caseari, si spalancano loro le porte di tanti ristoranti già nelle mani della camorra, ma anche della Conad. Il metodo di imporsi sul mercato si scopre da un’intercettazione: «Lui quando dice il cognome suo, si sa che è, chi sono, chi non sono… si mettono sugli attenti e lui… basta che fa il cognome, giusto no?».

Michele Senese – condannato due giorni fa dalla Cassazione a 30 anni per l’omicidio di uno degli ultimi boss della Banda della Magliana – è uno dei capi. Era stato protagonista della mattanza di camorra, alleato di Carmine Alfieri e nemico di Cutolo. È poi finito a Roma dove si ritiene che controlli tutta l’area del Tuscolano assieme al suo alleato, il temibile Pagnozzi Domenico, «noto negli ambienti malavitosi come “Mimì o’ professore” o “occhi di ghiaccio”, già elemento di spicco dell’omonima famiglia camorristica di stanza a San Martino Valle Caudina (Avellino)». In un’intercettazione, uno del gruppo si vanta: «A noi ci chiamano “I napoletani della Tuscolana”. Questa è tutta roba nostra».



Scrive il gip nel 2015: «La consorteria ha basi operative nel rione Monti, al Pigneto mentre organizza, su vasta scala, lo spaccio e il traffico di stupefacenti sulle piazze del Quarticciolo, Centocelle, Tuscolana, Quadraro. L’organizzazione opera anche nei settori dell’usura e dell’estorsione arrivando, spesso, ad estromettere le vittime dei delitti dalle proprie attività».

Quanto fossero cattivi questi napoletani, se ne sono accorti per primi proprio i Casamonica, il clan di zingari che si è insediato tra Cinecittà, Tor Bella Monaca e la Romanina. Per una partita di droga non pagata, stava per finire malissimo. Poi però Pagnozzi e i suoi finiscono in carcere e il gruppo di zingari prende ad espandersi. E con loro altri due clan rom, i Di Silvio, «padroni» di Ciampino, e gli Spada, all’onore delle cronache di Ostia.


Ma la storia noir di Roma è una continua altalena di equilibri. A Ostia, per dire, i siciliani Triassi, imparentati con i Cuntrera-Caruana (due latitanti li arrestarono nel 1998 proprio a Ostia: quell’operazione porta la firma dell’indimenticato Nicola Calipari e del colonnello dei carabinieri Mario Parente, capo dei servizi segreti esteri) entrarono in conflitto con i Fasciani. Vito Triassi viene gambizzato una prima volta nel 2006. Una seconda, l’anno dopo. Infine è incendiata l’autovettura del genero. Uno sgarbo terribile. Prima che si scateni la guerra, interviene Senese e grazie al suo carisma criminale viene stipulata una pax mafiosa che sul litorale regge da 10 anni. Vi ha fatto riferimento di recente anche Pignatone: «Tra i capi dei gruppi più importanti operanti nell’area romana sono stati accertati contatti diretti a risolvere i contrasti senza ricorrere alle armi».

Non sono mafie queste? La procura ordina decine di arresti e moltiplica la pressione anche sui patrimoni. Sono stati sequestrati (in parte confiscati) alcuni miliardi di euro. Ma la guerra sarà lunga. –
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