14/03/2019 – Dopo le polemiche suscitate dalle motivazioni alla sentenza che ha visto la condanna dell’ecuadoriano Javier Gamboa, scendere dai 30 richiesti del pm a 16 anni con le attenuanti generiche, per l’uccisione della moglie Jenny Reyes, parla il giudice che l’ha emessa, Silvia Carpanini, del tribunale di Genova. “Le regole del diritto sono una cosa, le emozioni dell’opinione pubblica un’altra”, afferma il magistrato in un’intervista a La Stampa. “Anche un assassino può fare compassione, – aggiunge. – Quella donna lo aveva umiliato più volte“.
“Ho applicato le norme – afferma il giudice – ma c’è omicidio e omicidio; tutti commentano le sentenze, in pochi conoscono sul serio i processi nei dettagli. Ribadisco: ci sono delitti che sono ‘meglio’ altri che sono ‘peggio’”.
E questo era ‘meglio’?, incalza il giornalista de La Stampa. “L’imputato – spiega Carpanini – aveva già lasciato quella donna, era tornato in Sudamerica esasperato che lei avesse una vita extraconiugale intensa, per lui umiliante. La ex lo ha supplicato di riprovarci e gli ha pagato il biglietto aereo, ma all’uomo è stato chiaro che persino la notte precedente l’amante aveva dormito con sua moglie, sebbene lei avesse fornito tutt’altre rassicurazioni”.
E’ sufficiente per giustificare il massacro? “No, tant’è che Gamboa ha preso sedici anni e mi pare che nella sentenza sia rimarcata più volte la gravità del gesto. Semmai, quel che ha patito è sufficiente a compensare le aggravanti”.
Il killer quindi le faceva pena? “Ha vagato per un paio di notti – ha risposto il giudice, – si è lasciato catturare: per certi aspetti sì, faceva pena. Non ha premeditato per giorni il suo raid, non ha infierito con trenta coltellate come mi è capitato di vedere in altre occasioni molto più truculente”.
“La legge prevede massimi e minimi di pena – conclude Carpanini, – altrimenti per un omicidio faremmo sentenze fotocopie: ergastolo o 30 anni, a prescindere dalla storia. Sarebbe più giusto?”. – [Tgcom24.mediaset.it]
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