È già ieri di Marco Travaglio. Editoriale del 08/05/2018

08/05/2018 – Siccome la politica ricorda ormai È già ieri, il film con Antonio Albanese condannato a rivivere ogni giorno lo stesso giorno, sopraffatti dalla noia abbiamo saltato a pie’ pari le prime 4-5 pagine dei quotidiani e siamo passati oltre.

Purtroppo è cambiato poco: stesse bugie, slogan, discorsi vuoti e assurdi dei politici, ma in bocca ad altri soggetti – un giornalista e un magistrato – che da quel mondo (e da quel linguaggio) dovrebbero tenersi a debita distanza, essendone teoricamente gli arbitri.

Su La Stampa, nella stessa pagina, parlavano Mario Orfeo, il giornalista più importante d’Italia (per la carica che occupa: è ad e dg della Rai), e Rita Sanlorenzo, sostituta Pg della Cassazione, ex segretaria di Magistratura democratica, ora candidata al Csm.

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Orfeo sta per scadere dal vertice di una Rai mai così disastrata e, come tutti gli uscenti, potrebbe finalmente raccontarci – da ex cronista – quale mission impossible sia governare il “servizio pubblico” con la legge Gasparri-Renzi che l’ha consegnato, se possibile, ancor più nelle mani del governo. Alla Rai lo sanno anche le pietre che l’ossessione di Renzi e dei suoi sgherri per il controllo della tv è stata persino più asfissiante che ai tempi di B. Infatti tutt’e tre le reti e i tg sono di stretta obbedienza renziana (B. – forte dell’altra metà dell’etere – subappaltava almeno Rai3 e Tg3 alla sinistra). Via Gabanelli, Giannini, Giletti e Porro.


Ora Di Maio nota la metamorfosi dei notiziari e dei programmi Rai da prima a dopo la cura: prima del 4 marzo erano un assalto all’arma bianca e a reti unificate contro i 5Stelle, ora sono una gara di moine e carezze coi guanti bianchi al partito più votato. Nella migliore tradizione del trasformismo e del salto sul carro del vincitore. Soffietti imbarazzanti a Di Maio, a Fico, a Grillo firmati dagli stessi che fino al 3 marzo li massacravano (scomparse le rubriche quotidiane “caos Raggi” e “caos Appendino”, insieme ai topi e ai rifiuti di Roma e alle indagini su piazza San Carlo).

E grandi ritorni in prima serata di personaggi in odor di “populismo” che fino alle elezioni non potevano neppur avvicinarsi a viale Mazzini. Anziché farsi una risata, condita da una battuta alla napoletana, e suggerire qualche buona regola che risparmi al suo successore le figuracce toccate a lui, Moiro Orfeo s’è inalberato, raccontando tutto impettito: “Mai subìto pressioni, i politici sapevano che avrebbero bussato invano alla nostra porta e ai nostri cellulari”.

Se fosse vero, sarebbe pure peggio: vorrebbe dire che i politici non chiamano più perché il loro agente all’Avana obbedisce agli ordini prim’ancora di riceverli.

Infatti ieri Orfeo ha respinto sprezzante la richiesta del consigliere Freccero e di una petizione su Change.org perché la Rai trasmetta il bel docufilm La Trattativa di Sabina Guzzanti, molto applaudito nel 2014 al Festival di Venezia ed elogiato dalla critica, per colmare 10 anni di vuoto informativo sulla trattativa Stato-mafia. Forse gli conveniva dire che gli ordini sono ordini, anziché rivendicare anche l’ultima censura e raccontare che il numero 1 della Rai lo porta la cicogna.

Ancor più istruttiva, su come la lunga buia stagione berlusconian-renziana ha ridotto i poteri “terzi”, è l’intervista della Sanlorenzo, che parla di Piercamillo Davigo (pure lui candidato di Cassazione al Csm) come un Orfini o uno Scalfarotto parlano di Di Maio e di Salvini. Con la differenza che lei parrebbe essere un magistrato.

Davigo – uno dei pm che diedero lustro alla magistratura italiana nel mondo con la più grande inchiesta anticorruzione mai vista e ha sempre resistito alle sirene della politica – sarebbe colpevole, nell’ordine, di: “Ipocrisia”, “strumentalizzazione elettorale”, “cinismo”, “fisionomia ideologica precisa”, “formazione di destra… una destra che cavalca l’illusione securitaria con slogan semplicistici che vogliono solo più reati (dunque Davigo sogna che si delinqua ancor di più, ndr), pene più alte, più carcere. Priva di ogni cultura delle garanzie”, “un’ideologia permeata di pulsioni vagamente autoritarie” (ecco: Davigo vuole il golpe militare, tipo Pinochet e i colonnelli greci). Senza contare le frasi “agghiaccianti e rivelatrici” (naturalmente mai pronunciate), tipo questa: “Di fronte a un imputato dichiarato innocente bisogna chiedersi se non sia un colpevole che l’ha fatta franca”. E, quel che è peggio, la “sovraesposizione mediatica” e “disponibilità televisiva”: cioè la Sanlorenzo dà un’intervista per rimproverare un collega di dare interviste.

A un certo punto, a parte il timore che Davigo prenda più voti di lei per il Csm, si capisce dove questa brava donna vuole andare a parare: Davigo vuole riformare il Csm per evitare nomine scandalosamente politicizzate, correntizie e antimeritocratiche, quando non addirittura illegali, tipo quella dell’ex parlamentare Pd Donatella Ferranti, non più eletta e subito paracadutata dal Csm in Cassazione (coi voti della corrente della Sanlorenzo) senza uno straccio di concorso.

Come se fare politica, per un giudice, non fosse un handicap, ma una medaglia al valore che giustifica corsie preferenziali e promozioni speciali. Una sconcezza che, se avesse riguardato una toga ex forzista, avrebbe visto i compagnucci di Md sulle barricate. Le barricate intermittenti dell’Anm e del Csm che protestavano e scioperavano contro le leggi vergogna di B., salvo poi accoccolarsi mansueti sulle leggi vergogna del centrosinistra (magari firmate Ferranti).

Ora che il danno è fatto e il re è nudo, la Sanlorenzo s’interroga pensosa su tre fenomeni per lei inspiegabili: “La disaffezione di molti magistrati verso il Csm”, l’“evaporare dell’impegno associativo” e le “platee osannanti” quando parla Davigo. Ma va? Chissà mai perché.
dal FQ.it 8 maggio 2018
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