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Operazione Bratislava: Sgominata associazione a delinquere dedita alla commissione di reati societari, fallimentari e contro il patrimonio

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27/04/2021 – I Finanzieri del Gruppo di Cassino, al termine di un’articolata indagine di polizia giudiziaria delegata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 11 persone, di cui 2 in carcere, responsabili della commissione, in forma associativa, dei reati di autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, bancarotta e falso in bilancio. L’operazione di servizio è scaturita da un’attività di verifica condotta nei confronti di una società, con sede per un breve periodo a Cassino, esercente l’attività di servizi di pulizia generale di edifici, la quale, pur avendo indicato nei bilanci ricavi per più di 20 milioni di euro, non aveva ottemperato correttamente agli obblighi dichiarativi per gli anni dal 2013 al 2018, risultando sconosciuta al Fisco.

I primi accertamenti condotti dai Finanzieri mettevano subito in evidenza il ruolo di “testa di legno” svolto dall’amministratore di diritto della società e la connessione della stessa con un contesto più ampio, ramificato nell’hinterland capitolino. Lo sviluppo delle indagini, durate oltre due anni e coordinate dalla Procura capitolina, consentiva di individuare un sodalizio criminoso dedito alla commissione di plurimi reati di natura economico-finanziaria. In particolare, le investigazioni di polizia giudiziaria, svolte attraverso l’esecuzione di intercettazioni telefoniche ed ambientali, accertamenti bancari, approfondimento di segnalazioni di operazioni sospette e attività di osservazione e pedinamento, hanno consentito di individuare un’associazione per delinquere, strutturata come una vera e propria holding della truffa, che gestiva una galassia di società – di cui 8 italiane, con sede in Roma, e 3 estere, con sede in Bratislava (Slovacchia) -, tutte formalmente amministrate da soggetti “prestanome” privi di esperienze manageriali nonché di capacità economica, utilizzate con l’unico fine di ottenere la concessione di ingentissimi finanziamenti da parte di istituti di credito.

Leggi anche: Operazione Duty free – Arrestati 15 soggetti responsabili di contrabbando di Tle e traffico di stupefacenti

Gli organizzatori avevano messo a punto una strategia criminale organizzata sin nei minimi dettagli: dapprima si preoccupavano di presentare le società come affidabili e fiorenti, mediante la presentazione di bilanci di esercizio che indicavano ricavi per oltre 150 milioni di euro e business plan con importanti progetti di crescita e sviluppo; in un secondo momento, istruivano i prestanome nella interpretazione del ruolo di manager di successo in occasione degli incontri con le banche e con i fornitori, scegliendo finanche i capi di abbigliamento che dovevano indossare e suggerendo le frasi da utilizzare nel corso dei colloqui.

Grazie a tali espedienti, raggirando i funzionari preposti ai controlli, i sodali carpivano la fiducia degli istituti di credito, ottenendo complessivamente finanziamenti per oltre 7 milioni di euro. Una volta ricevuti i prestiti, le società venivano portate al fallimento, causando non solo un danno nei confronti delle banche per circa 5 milioni di euro, ma anche dell’Erario, con debiti tributari per oltre 70 milioni di euro. Fondamentale, nella strategia criminale, è risultato l’apporto di conoscenze e competenze da parte dei due soggetti a capo del sodalizio criminale, peraltro gravati da plurimi e specifici precedenti di polizia, i quali curavano con cura scientifica e maniacale tutte le fasi dell’illecita attività: il sodalizio, infatti, disponeva di uffici nei quali erano impiegati, in pianta stabile, collaboratori e segretarie che demoltiplicavano incessantemente le disposizioni dei capi a tutti i sodali.

Gli accertamenti bancari eseguiti nel corso delle investigazioni hanno consentito di ricostruire puntualmente i flussi di denaro illecitamente ottenuti, giustificati da operazioni commerciali mai poste in essere: sono state ricostruite, infatti, sui vari conti correnti delle società, movimentazioni bancarie per oltre 9 milioni di euro, in parte destinate anche all’estero.
Sulla base delle evidenze acquisite, il G.I.P. del Tribunale di Roma ha emesso un’ordinanza di applicazione di misure cautelari nei confronti di 11 soggetti, di cui 2 in carcere e 9 agli arresti domiciliari, oltre ad un provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni costituenti profitto dei reati ascritti per un valore pari a 4,5 milioni di euro. I due soggetti al vertice del sodalizio criminale (L.R. di 46 anni e M.V. di 57 anni), entrambi di Roma, amministratori “di fatto” di tutte le società coinvolte – nei confronti dei quali è scattata la custodia cautelare in carcere – conducevano una vita “da nababbi”, riciclando i guadagni illeciti mediante l’acquisto di immobili, auto di grossa cilindrata ed orologi di lusso, mentre agli amministratori di diritto veniva riconosciuta una “paghetta” mensile di poche centinaia di euro.

L’attività in argomento testimonia come la Guardia di Finanza rivesta un ruolo centrale, quale polizia economico-finanziaria, a tutela dell’economia in generale e del sistema creditizio in particolare. L’aggressione dei patrimoni illeciti così accumulati, infatti, tutela al contempo sia il risparmio dei consumatori che il sistema finanziario, particolarmente esposti nell’attuale crisi economica causata dall’emergenza pandemica. – [FONTE]

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Associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari, fallimentari, societari e turbativa d’asta

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13/03/2020 – La Procura della Repubblica di Milano, ha diramato un comunicato stampa relativo all’operazione di servizio Mala Compensatio condotta dal dipendente Gruppo Lecco. I finanzieri, coordinati dalla Procura meneghina, primo dipartimento specializzato in crisi di impresa, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misure cautelari detentive ed interdittive emessa nei confronti di tredici soggetti indagati a vario titolo per associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più reati di natura tributaria, fallimentare, societaria nonché di turbativa d’asta. La principale delle numerose condotte illecite contestate è l’aver cagionato il fallimento di una società con sede in Milano ma operante in tutto il Territorio Nazionale nel settore delle rilevazioni ed analisi di mercato.

L’attività di indagine, infatti, ha consentito di accertare come la società potesse operare sul mercato con prezzi assolutamente concorrenziali derivanti soltanto dalla metodica e perdurevole evasione fiscale, annoverando fra i clienti anche importanti società quotate sui mercati azionari. La società dichiarata fallita nell’ottobre 2018 dal Tribunale di Milano, operava attraverso l’affitto dei rami d’azienda di ulteriori società, riconducibili ai medesimi soggetti, dichiarate fallite nel 2014, già pesantemente indebitate nei confronti dell’erario, ed in soli 4 anni di attività ha accumulato ulteriori debiti tributari per oltre 20 milioni di euro.

La sistematica omissione di ogni adempimento fiscale ha costituito per decenni, difatti, una forma di auto finanziamento; riprova di tale aspetto è la totale assenza, alla data del fallimento, di debiti verso istituti di credito. Gli amministratori della società, a partire dal 2017, stante la rilevante esposizione debitoria verso l’Erario si affidavano consapevolmente a sedicenti consulenti fiscali che aggravavano ulteriormente il dissesto, eseguendo compensazioni tributarie con crediti d’imposta del tutto inesistenti azzerando, solo fittiziamente, ogni pendenza con il Fisco.

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Tale sistema di frode, ideato e posto in essere da un commercialista partenopeo già attinto nel 2018 da due diverse misure cautelari personali, si sostanziava principalmente nella:

individuazione di persone fisiche o giuridiche gravate da rilevanti debiti tributari e previdenziali con proposta di risanamento delle posizioni debitorie mediante l’utilizzo in compensazione di crediti fiscali fittizi
predisposizione e trasmissione dei modelli F24 da parte dello stesso commercialista o suoi collaboratori. Mediante procedure standardizzate venivano utilizzati, infatti, in compensazione crediti tributari fittizi contrassegnati, ad esempio, dai codici tributo 1130 (somme a titolo d’imposte erariali rimborsate dal sostituto d’imposta a seguito di assistenza fiscale art. 15 comma 1 lettera A), ovvero, da codici tributi riferibili a società di capitali quando il soggetto beneficiario era in realtà una persona fisica
non corrispondenza dei crediti fiscali portati in compensazione con le dichiarazioni fiscali delle contribuenti beneficiari.
Da un lato, quindi, precedentemente al fallimento, gli amministratori della società procedevano al licenziamento collettivo di oltre 350 dipendenti (poi reintegrati dal Tribunale di Milano); dall’altro lato venivano accertati gravi fatti di mala gestio fra cui la distrazione di fondi societari verso Stati esteri, quali la Bulgaria ed il Perù, attraverso trasferimenti di denaro per oltre 4 milioni di euro privi di alcuna ragione economico – imprenditoriale ovvero prelievi ingiustificati di denaro dalle casse sociali per oltre 9 milioni di euro.

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Un fatto sintomatico dello scellerato depauperamento degli attivi societari è l’aver annoverato, per anni, fra il personale dipendente della fallita anche un fratello del proprietario della società. Tale soggetto, beneficiario di regolare stipendio e di ogni benefit aziendale, da autovetture di lusso ad utenze cellulari, nella realtà dei fatti è stabilmente residente in Spagna da oltre 30 anni senza aver mai prestato alcuna attività lavorativa in favore della fallita.

Considerato il grave quadro indiziario il GIP del Tribunale di Milano, ha emesso 13 misure cautelari personali, di cui 2 in carcere, 7 agli arresti domiciliari e 4 misure interdittive disponendo contestualmente il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente per oltre 30 milioni di euro. Le attività di sequestro di conti correnti, beni immobili ed autovetture di lusso sono in corso sia sul Territorio Nazionale che negli stati della Bulgaria, Germania e Regno Unito con la collaborazione di EUROJUST e delle Autorità Giudiziarie Estere.

L’esecuzione della misura cautelare è stata eseguita nel pieno rispetto dell’emergenza sanitaria, con subdelega delle attività ai comandi territorialmente competenti in relazione alla residenza degli indagati, e, per quanto riguarda l’esecuzione delle due misure in carcere, con l’individuazione dell’istituto più idoneo. – [FONTE]
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Operazione Piazza di Spagna: Crediti iva inesistenti. Smantellata associazione a deliquere

10/03/2020 – Le Fiamme Gialle del Comando Provinciale di Cuneo hanno condotto, nelle scorse settimane, una vasta operazione di Polizia economico-finanziaria che ha interessato, oltre alla Provincia “Granda”, anche altre località in Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania e Calabria e che ha permesso di scardinare un’articolata associazione a delinquere, dedita alla commissione di complesse frodi fiscali.

Sono stati oltre 70 i militari impiegati nell’esecuzione di un provvedimento di sequestro di beni e disponibilità per 25 milioni di euro emessa dal G.I.P. del Tribunale di Cuneo – dott. Alberto Boetti – dopo due anni di investigazioni, coordinate dalla locale Procura – dott.ssa Carla Longo.

Le indagini sono state svolte dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Cuneo nei confronti di un sodalizio criminale, operante su tutto il territorio nazionale, composto da imprenditori, professionisti e prestanome (11 gli indagati) che aveva escogitato un articolato meccanismo fraudolento, al fine di evadere l’erario, attraverso l’indebita formazione di crediti IVA inesistenti, arrivando a mettere in pratica un vero e proprio “modello evasivo”, sfruttando indebitamente l’istituto, previsto dalla normativa, dell’accollo fiscale.

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Il sofisticato meccanismo di frode ha visto coinvolte nr. 6 società, tutte con sede in Roma, ed è stato reso possibile anche grazie alla compiacenza di due professionisti, che apponevano il visto di conformità sulle dichiarazioni fiscali contenenti il credito inesistente, venendo ricompensati di questa condotta illecita attraverso una percentuale sul risparmio tributario indebitamente ottenuto.

Tra i beni oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca figurano nr. 21 immobili (tra cui, un prestigioso appartamento in un quartiere di lusso in Roma), nr. 33 terreni, nr. 6 autovetture e quote societarie di n. 27 società (quest’ultime per un valore nominale di oltre 1 milione di euro).

Il servizio in corso costituisce ulteriore dimostrazione della costante attenzione che la Guardia di Finanza di Cuneo (anche in questi difficili momenti in cui la priorità è la salvaguardia della Salute Pubblica) nell’ambito dell’azione di prevenzione e repressione dell’evasione fiscale, rivolge al contrasto delle più articolate ed insidiose frodi ai danni dell’Erario nazionale. – [FONTE]
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Mafia: Berlusconi indagato nel procedimento sulle stragi del 1993

ANSA, 25/09/2019 – Silvio Berlusconi è indagato nel procedimento aperto dalla procura di Firenze sulle stragi mafiose del 1993. La notizia si apprende a Palermo. I legali di Beslusconi, hanno depositato alla corte d’assise d’appello, la certificazione da cui risulta che l’ex premier è indagato a Firenze.Gli avvocati Coppi e Ghedini che assistono l’ex premier, dopo la citazione a deporre del loro assistito da parte dei difensori di Dell’Utri nel processo sulla trattativa Stato mafia, avevano chiesto alla corte d’assise d’appello di Palermo di definire in quale veste giuridica sentirlo: se come teste o indagato di reato connesso, stato questo che gli consentirebbe di avvalersi della facoltà di non rispondere. Il nodo è stato sciolto dagli stessi avvocati dell’ex premier che si sono informati con i pm fiorentini.

l processo di Palermo
Nell’ambito di questo dibattimento l’ex premier è stato citato come teste dalla difesa del senatore Marcello Dell’Utri. I legali avevano però chiesto di conoscere la veste giuridica in cui si sarebbe dovuto presentare e hanno ottenuto da Firenze una conferma ufficiale delle indiscrezioni giornalistiche circolate nel 2017. L’inchiesta su Berlusconi e sullo stesso Dell’Utri fu riaperta (i due erano già stati indagati e archiviati) a seguito delle intercettazioni in carcere dei colloqui del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, che tirava in ballo il leader di Forza Italia come complice e mandante occulto degli eccidi avvenuti fuori dall’isola.

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Le intercettazioni
Sono i colloqui in cui il capomafia di Brancaccio diceva al suo compagno di detenzione, nell’aprile 2016, spezzoni di frasi come queste: «Novantadue già voleva scendere… e voleva tutto»; e ancora: «Berlusca… mi ha chiesto questa cortesia… (…) Ero convinto che Berlusconi vinceva le elezioni … in Sicilia … In mezzo la strada era Berlusca… lui voleva scendere… però in quel periodo c’erano i vecchi… lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa…». Frammenti di conversazione, nei quali i riferimenti al fondatore di Forza Italia seppure in un contesto di non facile interpretazione, sono abbastanza chiari. «Nel ‘94 lui si è ubriacato perché lui dice ma io non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato… Pigliò le distanze e fatto il traditore», dice ancora il boss condannato all’ergastolo per le stragi del ‘92 e del ‘93, arrestato a Milano nel gennaio 1994 , che in un altro passaggio afferma: «Venticinque anni fa mi sono seduto con te…Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi è successa una disgrazia, tu cominci a pugnalarmi… Ma vagli a dire com’è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste…».

La facoltà di non rispondere
Oggi la certificazione da cui risulta che l’ex premier è indagato a Firenze, presentata dagli avvocati Coppi e Ghedini che assistono il leader azzurro, permette a Berlusconi di avvalersi della facoltà di non rispondere al processo — connesso a quello sulle stragi — sulla trattativa. Convocato per il 3 ottobre, l’ex premier aveva declinato l’invito, sostenendo di non poter essere presente in quella data per via di impegni istituzionali al Parlamento europeo. Indignata la moglie di Dell’Utri, che esprime «sorpresa, rabbia, incredulità, amarezza». Secondo Miranda Dell’Utri, «la testimonianza di Berlusconi è decisiva anche per i giudici»: «Qui c’è la vita di Marcello in gioco…». – [Corriere.it]
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Ex presidente di un’associazione antimafia indagato per truffa su contributi di Regione e Provincia

18/04/2019 – In sette anni, periodo in cui ha ricoperto la carica di presidente di una nota associazione antimafia, avrebbe truffato la Regione e la Provincia. E’ scattato il sequestro. Avrebbe percepito contribuzioni pubbliche per 400mila ritenute illegittime, su un totale erogato dagli enti che ammonta invece a oltre 800 mila di euro. Stamattina la Guardia di Finanza di Reggio Calabria nel corso dell’operazione denominata “Creonte”, ha sottoposto oggi a sequestro beni per oltre 200 mila euro a carico di Claudio Antonio La Camera, ex numero uno dell’Associazione Culturale Antigone-Osservatorio sulla ‘ndrangheta.

Gli investigatori hanno eseguito delle accurate indagini visionando la documentazione esibita dall’associazione e il carteggio ufficiale acquisito negli enti erogatori, ma anche effettuando dei controlli incrociati su fornitori, accertamenti bancari, oltre che intercettazioni telefoniche e telematiche delle utenze e dispositivi in uso a La Camera ma anche appostamenti e pedinamenti che avrebbero accertato l’illecito profitto derivante dalla percezione dei contributi pubblici attraverso un presunto sistema di frode, finalizzato alla distrazione di fondi. Il periodo in questione va dal 2007 e il 2014 e secondo le indagini, l’ex presidente avrebbe presentato agli enti della documentazione falsa per ottenere la liquidazione delle somme. Secondo le fiamme gialle a fronte delle spese dichiarate come effettuate, ai fornitori non sarebbe invece stato pagato il relativo importo.

I regolamenti che disciplinano la concessione dei contributi, inoltre, prevedevano la liquidazione delle spese già sostenute, certificate e quantificate da apposite attestazioni che, invece, l’allora presidente avrebbe incassato preventivamente destinandone successivamente solo una parte alla realizzazione di manifestazioni ed eventi di interesse pubblico. L’associazione avrebbe anche portato a rimborso fatture di importo sovrastimato per l’acquisto, in particolare, di un impianto di videosorveglianza del “Museo della ‘ndrangheta”.

Le Fiamme Gialle hanno scoperto persino come alcuni documenti di spesa sarebbero stati presentati più volte per essere liquidati allo stesso o a diversi enti erogatori e che le rendicontazioni risulterebbero, in più circostanze, non attinenti alle finalità dei progetti finanziati. La Camera è stato segnalato alla Procura della Repubblica reggina per falso ideologico, truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche e malversazione a danno dello Stato. Il Tribunale di Reggio ha disposto il sequestro preventivo, in via diretta o per equivalente, della somma degli oltre 217 mila euro cautelando le disponibilità finanziarie e patrimoniali dell’indagato fino alla concorrenza del cosiddetto “profitto del reato”. – [QuìCosenza.it]
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Di Maio contestato a Napoli diserta il convegno: “È alleato della Lega, non può parlare di legalità”

18/02/2019 – Luigi Di Maio era atteso a Napoli presso l’Università Federico II per un convegno promosso dalle associazioni antiracket. L’iniziativa ha coinciso con la giornata di votazioni online degli iscritti al Movimento 5 Stelle per l’autorizzazione a procedere per Matteo Salvini sul caso della nave Diciotti che aveva soccorso i migranti in mare. Dalle prime ore del mattino alcuni studenti dei collettivi della Federico II hanno occupato l’ingresso dell’aula magna dove si sarebbe dovuto tenere l’incontro. Il Ministro Di Maio, che si trovava a pochi chilometri di distanza, presso lo stabilimento Leonardo di Pomigliano d’Arco, ha deciso di disertare l’incontro per evitare contestazioni.

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“Ci chiediamo con quale legittimità Di Maio ci venga a parlare di legalità – spiega Davide uno degli attivisti dei collettivi – visto che sono alleati alla Lega Nord che ha rubato 49 milioni di euro agli italiani”. I collettivi hanno definito il governo Conte, sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle, un governo antimeridionale a trazione nordista, riferendosi alla discussione intorno all’autonomia differenziata. La polizia, giunta in forze all’ingresso dell’università, ha vigilato sull’occupazione fino a quando il ministro Di Maio non ha annunciato la sua volontà di disertare l’incontro. – [Napoli.Fanpage.it]
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Processo Breakfast, nuova accusa contro Scajola: ”Ha agevolato associazione segreta”

05/12/2018 – Nuovo colpo di scena al processo “Breakfast”, in corso a Reggio Calabria, che vede come imputati l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, e Chiara Rizzo, ex moglie dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, latitante a Dubai dopo la condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, accusati di procurata inosservanza della pena per aver favorito la latitanza di Matacena. Il Procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, ieri in udienza ha infatti depositato un’ordinanza in Tribunale con cui riqualifica il capo d’imputazione nei confronti dei due imputati “di avere agevolato un’associazione segreta collegata all’associazione di tipo mafioso ed armata ‘ndrangheta da rapporto di interrelazione biunivoca, destinata ad estendere le potenzialità operative del sodalizio di tipo mafioso in campo nazionale ed internazionale”.

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Tale condotta, si afferma ancora nel capo d’imputazione riformulato dal Procuratore aggiunto Lombardo, “è stata posta in essere, consentendo, o comunque, agevolando condotte delittuose diversificate nell’ambito delle quali va inserita l’attività di interferenza svolta da Vincenzo Speziali (l’imprenditore italiano residente in Libano, ndr) su funzioni sovrane, quali la potestà di concedere l’estradizione, in capo alle rappresentanze politiche della Repubblica del Libano, finalizzate a proteggere la perdurante latitanza del Matacena, già condannato in via definitiva quale concorrente esterno della ‘ndrangheta reggina, per il rilevantissimo ruolo politico ed imprenditoriale svolto a favore della predetta nell’ambito di una più vasta operazione avente ad oggetto anche la programmata ed in parte eseguita latitanza all’estero di Marcello Dell’Utri”.

Nei mesi scorsi, infatti, l’accusa aveva depositato gli atti della nuova indagine che andrebbe a comprovare le sovrapposizioni della latitanza in Libano di Marcello Dell’Utri, l’ex senatore di Forza Italia che sta scontando ai domiciliari la condanna rimediata per concorso esterno in associazione mafiosa, e il tentativo di fuga nel paese dei cedri dell’armatore reggino Matacena. Secondo il pm Lombardo, inoltre, “per questa via, Scajola e Rizzo operavano per mantenere inalterata la piena operatività del Matacena e della galassia imprenditoriale a lui riferibile, costituita da molteplici soggetti giuridici a lui riconducibili, fornivano un costante e qualificato contributo a favore del complesso sistema criminale, politico ed economico collegato alla predetta organizzazione di tipo mafioso, che risultava interessato a mantenere inalterata la piena operatività di soggetti chiave, quali Matacena e Dell’Utri, e riservata la vera natura delle relazioni politiche, istituzionali ed imprenditoriali garantite dai predetti a livello regionale, nazionale e internazionale”.

Rinuncia alla testimonianza di Dell’Utri
Dopo continui rinvii, intanto, il pm Lombardo ha anche deciso di rinunciare alla testimonianza nel dibattimento dell’ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri. La decisione è stata presa a seguito della rinuncia da parte dell’ex parlamentare a rispondere alle domande dei giudici. Il processo ‘Breakfast’ è stato aggiornato al 14 dicembre quando, con ogni probabilità, la Dda reggina formulerà nuove richieste istruttorie. [AntiMafiaDuemila.com]

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Catania, “estorsioni a chi voleva accedere a fondo vittime”: arrestato il presidente associazione antiracket in Sicilia

30/10/2018 – La sua attività di presidente dell’Associazione siciliana antiracket era per lui “un lavoro che deve essere soddisfatto”. Erano le parole che – intercettato – utilizzava Salvatore Campo arrestato dagli uomini della Guardia di Finanza di Catania con le accuse di falso ideologico, peculato ed estorsione continuata. Per lui il giudice per le indagini preliminari della città etnea ha disposto gli arresti domiciliari. Gli inquirenti ritengono che l’uomo esercitasse pressioni su alcune vittime del racket che avevano richiesto accesso allo specifico fondo di solidarietà statale.

Il gip ha anche disposto il sequestro preventivo di circa 37mila euro, pari ai fondi pubblici erogati dalla Regione Siciliana a favore dell’associazione antiracket Asia di cui, secondo l’accusa, Campo si sarebbe “illecitamente appropriato, utilizzandoli per fini esclusivamente personali“. L’associazione Asia ha sede ad Aci Castello.
L’indagine è durata un anno ed è scaturita da un monitoraggio delle associazioni e organizzazioni antiracket e antiusura del territorio e da esposti presentati alla procura da altre associazioni antiracket. Secondo gli investigatori Campo avrebbe costretto le vittime di usura ed estorsione della criminalità a pagargli una sorta di “pizzo”, che oscillava tra il 3 e il 5%, sui riconoscimenti che ottenevano dal fondo di solidarietà. Campo avrebbe per questo preparato delle scritture private non registrate che avrebbe fatto firmare alle vittime. I pagamenti sarebbero avvenuti in contante o attraverso versamenti bancari qualificati apparentemente come contributi volontari.

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All’uomo sono contestati tre episodi. Nel primo il gestore di una libreria vittima di estorsione e usura avrebbe rifiutato di assecondare la sua pretesa, che equileva al 3% del risarcimento. Campo, quindi, gli avrebbe prospettato dal presidente dell’Asia inevitabili lungaggini burocratiche che sarebbero legate al suo mancato intervento. Nella seconda contestazione Campo avrebbe ottenuto dai familiari di una vittima della criminalità organizzata che avevano assistito all’omicidio del loro familiare una busta contenente 1.500 euro in contanti: senza quei soldi avrebbe minacciato di interrompere la sua opera di assistenza. Nel terzo caso uno straniero titolare di un bar sarebbe stato costretto a versare a Campo tremila euro in contanti: era mosso dal timore di non essere adeguatamente seguito nel disbrigo delle pratiche. In più di una circostanza Campo inoltre avrebbe consigliato a un associato/vittima di farsi attestare da un medico compiacente – ora indagato per concorso in falso ideologico – una falsa patologia per ottenere un contributo più corposo dallo Stato.

A una vittima che, gli aveva dato quattromila euro, Campo chiede: “Il mio lavoro… di questi 43mila euro (il risarcimento all’uomo, ndr), me lo ha pagato lei? Non mi ha dato niente…?”. La vittima sorridendo replica ironicamente: “Come pagato? La prossima volta le domando la ricevuta… se lo è scordato che gli abbiamo fatto il regalo anche alla signora?”. E Campo chiede ancora: “Che mi ha dato?”. E la vittima perentoria: “Quattromila euro gli ho dato… dottor Campo!”. A una socia Asia spiega che quello che lui svolge “per me è lavoro… e deve essere soddisfatto… non è… che per dire…”. La donna risponde tranquillizzandolo: “Ma ci mancherebbe… siamo d’accordo non si preoccupi… tranquillo… non è questo il problema…”.

“Ho ricevuto circa un milione e 316mila euro in tre diverse trance. Per ogni importo percepito versavo una somma di denaro al Campo”, ha raccontato una testimone. “In occasione della consegna delle ultime somme risarcitorie – ha messo a verbale un altro degli estorti – fui avvisato dal Campo il quale mi comunicava che era arrivato presso la prefettura il decreto di erogazione delle somme a saldo. Dopo circa due settimane il Campo mi informava che era ormai terminato l’iter risarcitorio per le somme che avevamo richiesto, aggiungendo che era giunto il momento di riconoscere un’altra somma di denaro all’Asia stabilendo personalmente l’importo di tremila euro”

L’indagato è anche accusato di avere utilizzato a fini personali il conto corrente intestato all’associazione, nel quale affluiscono oltre ai contributi riconosciuti dalla Regione siciliana anche contributi volontari che dovrebbero essere vincolati al raggiungimento degli scopi statutari. Secondo la Guardia di finanza ci sarebbe stata un’appropriazione complessiva dei fondi associativi di oltre 70.000 euro. – [IlFattoQuotdiano.it]
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Davide batte Golia: Herambiente ha perso la battaglia. E non potrà bruciare ecoballe di bassa.

VENAFRO (IS) 27/05/2017 – Il Tar ha respinto il ricorso presentato dalla multinazionale che gestisce l’impianto
inceneritore di Pozzilli, nessuna deroga all’Autorizzazione ambientale integrata. Le Mamme per la salute, che insieme ad altre associazioni, a Regione, Provincia e Comuni si erano costituite in giudizio, esultano. Il Tar Molise ha respinto il ricorso di Herambiente. L’inceneritore deve rispettare l’Aia.
Herambiente dovrà continuare a rispettare l’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) approvata nel luglio 2015 dalla Regione Molise. Con tutte le prescrizioni annesse. Lo ha stabilito il Tar nel tardo pomeriggio di ieri con una sentenza che ha fatto gridare alla vittoria le Mamme per la salute e l’ambiente e tutto il popolo di «Ora basta». Dopo dieci giorni dall’udienza di merito, i giudici amministrativi hanno bloccato l’ampliamento della centrale respingendo i tre ricorsi presentati dalla società Herambiente con una sentenza di 55 pagine. La ditta non potrà cambiare nemmeno la tipologia di rifiuto da bruciare. Soddisfatto l’avvocato dell’associazione ’Mamme per la Salute’, Carmela Auriemma: “Abbiamo scongiurato il rischio che vengano bruciati rifiuti pericolosi o che ne sia aumentato il quantitativo”.
All’udienza del 10 maggio scorso, ricordiamo, proprio l’associazione e i cittadini, con una delegazione di amministratori locali del territorio venafrano si erano recati a Campobasso per un sit in davanti alla sede del Tribunale amministrativo regionale che, ieri, ha emanato l’attesa sentenza. Va detto senza mezze misure: è una vittoria piena per il territorio. Certo, poteva essere “pienissima” se la Regione nell’approvare gli emendamenti al Piano dei rifiuti avesse predisposto la Vas (Valutazione ambientale strategica), ma potrà sempre farlo e quindi superare l’accoglimento parziale del ricorso. Senza entrare nel tecnico della sentenza numero 212/2017, si può dire che Herambiente ha perso la battaglia. E non potrà, tra le altre cose, bruciare ecoballe di bassa.
I giudici amministrativi hanno infatti sentenziato che per quanto concerne la parte del ricorso relativa all’annullamento delle prescrizioni contenute nell’Aia e considerate eccessive dalla società che gestisce l’inceneritore di Pozzilli «tutti i motivi del ricorso sono destituiti di fondamento».

Il Tar ha quindi approvato l’operato della Regione e della Conferenza dei Servizi, considerato dunque pienamente legittimo, rimarcando altresì con forza il «principio di precauzione». I giudici hanno scritto nero su bianco: «Il “principio di precauzione”, di derivazione comunitaria, impone che quando sussistano incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possano essere adottate misure di protezione senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l’effettiva esistenza e la gravità di tali rischi. Tale principio, lungi dal vietare l’adozione di qualsiasi misura in mancanza di certezza scientifica, quanto all’esistenza o alla portata di un rischio sanitario, può, all’opposto, giustificare l’adozione di misure di protezione sovradimensionate, quand’anche permangano incertezze scientifiche sui rischi». È stato poi tenuto conto dello stato di salute del territorio: la Piana è già inquinata, pertantro non ci si può permettere il “lusso” di rischiare.

Herambiente, invece, avrebbe voluto far passare il messaggio che con l’approvazione del decreto legge 133 del 2014, il cosìddetto Sblocca Italia, le maglie si potessero allargare. Di parere contrario sono stati i giudici amministrativi che hanno bocciato la richiesta di “adeguamento” allo Sblocca Italia e, di conseguenza, a limiti meno stringenti.
In sostanza, su limiti alle emissioni, sulle misurazioni, sulle tipologie di rifiuti, sulle modalità di individuazione dei limiti massimi e dei rifiuti che possono essere bruciati è passata la linea della resistenza, rappresentata – anche al Tar oltre che sul territorio – dalle Mamme per la salute e l’ambiente, Comitato Donne 29 agosto, Codacons, Parco regionale dell’Olivo, Regione, Provincia, Comune di Venafro e Comune di Montaquila. Non costituiti in giudizio, invece, il Comune di Pozzilli, il Consorzio industriale, l’Arpa e l’Asrem (intese queste ultime due come assorbite dalla posizione della Regione).
Tra le altre cose, durante l’udienza e nella sentenza è emerso come l’impianto di Pozzilli non risulti poi così all’avanguardia. Dunque, hanno ragionato i giudici, “bene ha fatto la Regione ad applicare limiti più stringenti in via precauzionale”.

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Nel dettaglio, ecco le prescrizioni che Herambiente voleva vedere cancellate ma che sono state invece confermate in toto, in particolare nelle parti dove: a) stabilisce una drastica riduzione dei valori limite di emissione rispetto all’autorizzazione previgente e ai valori stabiliti dalla normativa tecnica in relazione alle migliori tecnologie disponibili; b) prevede che per il monitoraggio in discontinuo, ai fini della verifica di conformità dei valori misurati ai valori limite, si deve sommare l’incertezza analitica al dato misurato; c) stabilisce, ai fini del rispetto del valore limite di emissione di Co, un limite semi-orario “di colonna B” in asserita difformità a quanto stabilito dall’allegato I Titolo III-bis del D.Lgs. n. 152/2006 (che prevede una valutazione delle medie di 10 minuti, anziché il limite semi-orario di colonna B), e con quanto stabilito dall’Allegato II (che considera soltanto i limiti giornalieri); d) prevede l’applicazione dei valori limite di emissione anche dopo il blocco dell’alimentazione dei rifiuti dovuto a malfunzionamento, o a guasti o a fermate programmate, fino all’esaurimento del rifiuto nel forno; e) prescrive la misura della temperatura in camere di combustione mediante l’uso di termocoppie installate nella zona all’interno della fascia di 7 metri dall’ultima immissione di aria; f) stabilisce il quantitativo massimo dei rifiuti che possono venire conferiti nell’impianto in tonnellate/anno, anziché la saturazione del carico termico; g) non integra i rifiuti ammessi al trattamento nell’impianto con quelli di cui al Codice Cer 19.12.12. vale a dire “altri rifiuti, compresi materiali misti, prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti”; h) non contempla l’installazione di un trituratore per il combustibile rifiuto.



Accolta, seppur parzialmente, la parte del ricorso sugli emendamenti al Piano rifiuti che introducevano limiti ancora più stringenti ma che non dovrebbe incidere sull’inceneritore di Pozzilli che dovrà comunque rispettare l’Aia. Gli emendamenti della Regione (come da delibera numero 341/2016) sono stati così cancellati per un vizio formale – l’assenza della Valutazione strategica ambientale, che però potrà essere superato, come suggerito dallo stesso Tar, semplicemente attuando la procedura Vas e riapprovando il Piano. Su questo aspetto, dunque, la palla passa ora alla Regione.
Insomma, la lettura delle 51 pagine della sentenza spiega la gioia delle Mamme e di tutti coloro i quali hanno inteso costituirsi in giudizio. A partire, tra gli altri, dal Comune di Venafro. Il sindaco Antonio Sorbo ha inteso esultare per la straordinaria vittoria. «È un altro passo in avanti in un cammino che comunque resta difficile – ha affermato il sindaco la cui amministrazione è stata sempre vicina alle battaglie delle Mamme -. Alla Regione abbiamo già chiesto con le osservazioni di elaborare un piano di dismissione degli inceneritori entro il 2020. La Regione sta investendo sulla differenziata, quindi a regime solo il 30% dei rifiuti andrà incenerito e simili impianti non servono più. Almeno per i rifiuti molisani. Ci batteremo per questo e chiediamo piena condivisione da parte di tutti. Questa è una vittoria per tutti coloro i quali si sono costituiti ed è una sconfitta non solo per l’azienda ma anche per quelli che potevano costituirsi ma non l’hanno fatto…». Sorbo ha quindi ringraziato l’avvocata del Comune e tutti i legali che hanno dato battaglia nell’udienza del 10 maggio scorso. – Fonte

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L’associazione delle orge gay promuove l’educazione sessuale nelle scuole

anddos22/02/2017 – Si allarga sempre più lo scandalo che ha investito l’Unar e l’Anddos dopo il servizio realizzato dalle Iene che ha portato alle dimissioni di Francesco Spano, direttore dell’Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali.

Già, perché se l’Italia è rimasta sgomenta per quanto visto nei filmati (in passato mostrati anche da ilGiornale, che ha rimediato una querela), ora le associazioni cattoliche lanciano un ulteriore allarme: l’Anddos, l’associazione cui facevano riferimento i circoli incriminati, sponsorizza e promuove corsi di eduzione sessuale a scuola. E fa sorridere il fatto che ad insegnare all’affettività nelle classi italiane possa essere chi “rivendica con orgoglio” le attività dei suoi circoli con dark room, glory hole e via dicendo. Niente di illegale, per carità. Ma forse ora qualcuno capirà le ragioni di quei genitori che da tempo protestano contro la “colonizzazione Lgbt nelle scuole”.

Sesso e Prostituzione finanziate da palazzo chigi: lo Scoop delle Iene! (VIDEO)

Anddos “parlami d’amore”
In prima linea c’è Generazione Famiglia, il movimento organizzatore del Family Day a Roma. “Lo scandalo dei finanziamenti Unar- dice il portavoce Filippo Savarese – assume caratteri ancor più raccapriccianti se si considera che le stesse associazioni sono proprio quelle che entrano nelle scuole italiane di ogni ordine e grado per rieducare i nostri figli e nipoti sui temi delicatissimi della sessualità e dell’affettività”. Per fare un esempio basta guardare ad una delle ultime iniziative lanciate sul sito dell’Anddos, dal titolo accattivante “Parlami d’Amore”. Il 16 dicembre scorso si è svolto un incontro “nell’ambito del progetto Sessualità e Differenze” con l’obiettivo di produrre una “nuova proposta sull’educazione sessuale e di genere nelle scuole”. Cosa significa? Basta andare sul sito: “Sessualità e differenze” promuove il “monitoraggio delle Infezioni Sessualmente Trasmesse”, vorrebbe la distribuzione di preservativi nelle classi scolastiche, chiede “nuovi incentivi per le cattedre universitarie sugli studi di genere” e sponsorizza libri scolastici con “una lingua sessuata che riconosca le professioni al femminile”. Per la gioia della Boldrini.

La rivolta dei cattolici
Ma non è tutto. Ciò che a ragione preoccupa molti è che con la scusa dell’educazione sessuale certe associazioni facciano propaganda gender e promuovano la mastrubazione. “Il progetto di Anddos – spiega Savarese – mira a diffondere negli ambienti scolastici il ‘diritto all’informazione sessuale’ secondo quanto disposto dagli Standard sull’Educazione Sessuale in Europa diffusi nel 2010 col patrocinio dell’Oms. Un documento dal valore pedagogico contestatissimo che raccomanda, tra il resto, di rivolgere informazioni sulla ‘masturbazione infantile precoce’ ai bambini nella fascia d’età 0-6 anni”. E infatti nel progetto si legge che ai bambini bisognerebbe dare informazioni sulla loro anatomia “attraverso una esplorazione di sé e dell’altro e dell’altra da sé”. Toccandosi a scuola?

“Ci pare assurdo – conclude Savarese – immaginare che abbia titolo per affrontare questo discorso chi organizza nelle proprie sedi occasioni di assoluta promiscuità che sono sempre state indicate da tutte le autorità sanitarie come le prime cause di moltiplicazione dei fattori di rischio infettivo”. Un lecito dubbio. – FONTE

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