
04/04/2025 – La guerra dei dazi di Donald Trump contro i partner commerciali, rei secondo il presidente di danneggiare le imprese statunitensi con barriere agli scambi che a suo dire comprendono l‘Imposta sul valore aggiunto, torna a incrociarsi con le richieste del fisco italiano a Big Tech. La settimana scorsa, a pochi giorni dal “Liberation Day” del 2 aprile quando scatteranno le tariffe reciproche nei confronti dei Paesi Ue e non solo, l’Agenzia delle Entrate ha infatti notificato a Meta e X – nei cui confronti le contestazioni erano già note – e anche a LinkedIn avvisi di accertamento rispettivamente per 887, 12,5 e 140 milioni di euro di Iva non pagata per gli anni che vanno dal 2015-16 al 2021-22. Il passo avanti nella vicenda, rivelato da Reuters, è arrivato dopo che i tre gruppi non hanno aderito al contraddittorio preventivo.
Secondo le Entrate e la procura di Milano, che procede sul fronte penale, le tre piattaforme avrebbero dovuto versare l’imposta sui servizi digitali offerti agli utenti perché, pur in mancanza di un pagamento, le loro prestazioni vengono di fatto remunerate attraverso la cessione da parte di chi naviga online dei propri dati personali. E sono dunque imponibili in quanto “operazioni permutative” (l’equivalente di un baratto) ai sensi del Dpr del 1972 che disciplina l’Iva. Una tesi che, se confermata, avrà conseguenze dirompenti per il modello di business di tutte le multinazionali Usa che offrono servizi “gratuiti” in cambio della profilazione a fini di marketing. L’Iva infatti è un’imposta comunitaria e fin dall’avvio dell’indagine su Meta, nel 2023, l’amministrazione tributaria italiana ha investito della questione anche il comitato Iva della Commissione europea per una valutazione tecnica. – [CONTINUA SU FONTE]